Passaggio in ombra / Mariateresa Di Lascia. Milano: Feltrinelli, 1997.
La mia amica S. - che ha letto da poco Spatriati di Desiati - proprio attraverso questo libro e grazie ai relativi richiami è pervenuta a un altro libro di qualche decennio fa che aveva nelle sue liste di lettura ma non aveva ancora letto. Dopo averlo finalmente terminato, me lo ha molto sponsorizzato e così l’ho comprato anche io e mi sono decisa a leggerlo.
Personalmente non sapevo niente della storia di Mariateresa Di Lascia, attivista e politica radicale morta prematuramente e che ha al suo attivo questo unico romanzo, diventato un cult di nicchia e ora riportato all’attenzione collettiva appunto da Desiati (al punto da convincere Feltrinelli a una ristampa).
È chiaro che la storia personale della Di Lascia è un elemento che contribuisce in maniera significativa a questo piccolo culto, ma in fondo se anche non avessi saputo niente su di lei credo che sarei comunque qui a parlare molto bene del suo romanzo.
Siamo a cavallo tra il dopoguerra e gli anni Cinquanta in Puglia, e la protagonista principale, il fil rouge di questa storia è Chiara, figlia di Anita e di Francesco. I due non sono sposati (uno scandalo per l’epoca) e Francesco è anche partito per la guerra e al suo ritorno il riavvicinamento ad Anita e alla figlia che non ha mai visto non è né immediato né scontato, e avviene quando Chiara ha già almeno quattro anni.
Chiara sta al centro non solo delle storie dei suoi genitori, ma anche di altre due storie familiari: quella della famiglia della madre, e soprattutto quella della famiglia del padre, nella quale sono centrali le figure di Tripoli, il padre di Francesco, donna Peppina, la sorella di Tripoli, e zia Giuppina, la sorella di Francesco. E tutte queste storie esercitano la loro influenza più o meno direttamente e/o inconsciamente sulla vita di Chiara e sulle scelte che farà nella vita adulta.
In realtà, nel libro incontriamo Chiara adulta che vive nella casa di donna Peppina, e che sembra trascinarsi in una vita senza contenuto e senza scopo. Una specie di inerzia depressa che l’ha collocata ai margini della comunità, a un passo dalla patologia. Da qui la Di Lascia ci guida indietro nel tempo a scoprire quale eredità familiare e personale Chiara si porta dietro e quali sono stati i passaggi in ombra che l’hanno preceduta e quello che ha riguardato lei stessa e l’ha portata alla vita da adulta che vive.
Di Lascia dunque ci offre una ‘classica’ saga familiare (incentrata primariamente sui D’Auria, ossia la famiglia del padre di Chiara) in un contesto storico e sociale ben determinato. Di per sé non sarebbe nulla di particolarmente originale, se non fosse che la lingua utilizzata dalla Di Lascia risulta fin dalle prime pagine sorprendente e ammaliante nel suo essere estremamente raffinata, evocativa e suggestiva, conquistandoci persino al di là dei contenuti della narrazione, e trasformando le vicende dei D’Auria in un racconto quasi visivo e fortemente vivido.
Al termine della lettura non si dimenticano facilmente i personaggi che ci hanno accompagnato attraverso le pagine e resta molto netta la percezione linguistica e visiva di questa storia e delle sue sfumature.
Voto: 3,5/5
La mia amica S. - che ha letto da poco Spatriati di Desiati - proprio attraverso questo libro e grazie ai relativi richiami è pervenuta a un altro libro di qualche decennio fa che aveva nelle sue liste di lettura ma non aveva ancora letto. Dopo averlo finalmente terminato, me lo ha molto sponsorizzato e così l’ho comprato anche io e mi sono decisa a leggerlo.
Personalmente non sapevo niente della storia di Mariateresa Di Lascia, attivista e politica radicale morta prematuramente e che ha al suo attivo questo unico romanzo, diventato un cult di nicchia e ora riportato all’attenzione collettiva appunto da Desiati (al punto da convincere Feltrinelli a una ristampa).
È chiaro che la storia personale della Di Lascia è un elemento che contribuisce in maniera significativa a questo piccolo culto, ma in fondo se anche non avessi saputo niente su di lei credo che sarei comunque qui a parlare molto bene del suo romanzo.
Siamo a cavallo tra il dopoguerra e gli anni Cinquanta in Puglia, e la protagonista principale, il fil rouge di questa storia è Chiara, figlia di Anita e di Francesco. I due non sono sposati (uno scandalo per l’epoca) e Francesco è anche partito per la guerra e al suo ritorno il riavvicinamento ad Anita e alla figlia che non ha mai visto non è né immediato né scontato, e avviene quando Chiara ha già almeno quattro anni.
Chiara sta al centro non solo delle storie dei suoi genitori, ma anche di altre due storie familiari: quella della famiglia della madre, e soprattutto quella della famiglia del padre, nella quale sono centrali le figure di Tripoli, il padre di Francesco, donna Peppina, la sorella di Tripoli, e zia Giuppina, la sorella di Francesco. E tutte queste storie esercitano la loro influenza più o meno direttamente e/o inconsciamente sulla vita di Chiara e sulle scelte che farà nella vita adulta.
In realtà, nel libro incontriamo Chiara adulta che vive nella casa di donna Peppina, e che sembra trascinarsi in una vita senza contenuto e senza scopo. Una specie di inerzia depressa che l’ha collocata ai margini della comunità, a un passo dalla patologia. Da qui la Di Lascia ci guida indietro nel tempo a scoprire quale eredità familiare e personale Chiara si porta dietro e quali sono stati i passaggi in ombra che l’hanno preceduta e quello che ha riguardato lei stessa e l’ha portata alla vita da adulta che vive.
Di Lascia dunque ci offre una ‘classica’ saga familiare (incentrata primariamente sui D’Auria, ossia la famiglia del padre di Chiara) in un contesto storico e sociale ben determinato. Di per sé non sarebbe nulla di particolarmente originale, se non fosse che la lingua utilizzata dalla Di Lascia risulta fin dalle prime pagine sorprendente e ammaliante nel suo essere estremamente raffinata, evocativa e suggestiva, conquistandoci persino al di là dei contenuti della narrazione, e trasformando le vicende dei D’Auria in un racconto quasi visivo e fortemente vivido.
Al termine della lettura non si dimenticano facilmente i personaggi che ci hanno accompagnato attraverso le pagine e resta molto netta la percezione linguistica e visiva di questa storia e delle sue sfumature.
Voto: 3,5/5
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