lunedì 8 febbraio 2021

Brevemente risplendiamo sulla terra / Ocean Vuong

Brevemente risplendiamo sulla terra / Ocean Vuong; trad. di Claudia Durastanti. Milano: La nave di Teseo, 2020.

Il romanzo di Ocean Vuong è arrivato inaspettato, un regalo pensato nei contenuti e nei modi appositamente per me da parte di una cara amica.

In realtà, l’avevo adocchiato da tempo e dunque quando è giunto nelle mie mani è stato immediatamente messo in lettura e divorato in pochi giorni. Questo perché la scrittura di Ocean Vuong è ipnotica e suggestiva, capace di avviluppare il lettore e farlo perdere tra le pagine. Probabilmente è uno di quei libri che varrebbe la pena provare a leggere in lingua originale, soprattutto dopo averlo letto in italiano e aver apprezzato la sofisticata traduzione realizzata da Claudia Durastanti.

Del resto, fin dal titolo si capisce l’attenzione e il lavoro interpretativo e mimetico che la traduttrice ha dovuto fare, rendendo lo splendido originale On earth we’re briefly gorgeous con l’italiano Brevemente risplendiamo sulla terra.

Vuong appartiene alla nuova, incalzante generazione degli scrittori a cavallo dei trent’anni che stanno prepotentemente occupando la scena della letteratura internazionale; penso ad esempio a Tiffany McDaniel, a Marieke Lucas Rijneveld, a Sally Rooney, a Ottessa Moshfegh, a Jonathan Bazzi, per fare qualche nome. Secondo me questi autori hanno parecchie cose in comune sia dal punto di vista stilistico che narrativo: penso al fatto che diversi di loro scrivono narrativa ma anche poesia (Vuong, Rijneveld, McDaniels), che molti appartengono alla cultura queer e quasi tutti esprimono punti di vista molto più fluidi rispetto al genere e alla sessualità, che tutti amano attingere alla storia personale ma senza farsi ingabbiare dal genere puramente autobiografico, bensì sperimentando forme narrative ibride, che ognuno dal proprio personale punto di vista racconta una condizione di parziale disagio esistenziale o quanto meno di irrisolutezza esistenziale, di non totale allineamento con le aspettative del contesto.

In alcuni casi – come ho già scritto su questo blog – tendo a sentire un’estraneità e un senso di distanza rispetto ai contenuti e alle modalità narrative di alcuni di questi autori (penso ad esempio a Sally Rooney o anche a Ottessa Moshfegh), altre volte invece – come nel caso di Vuong – questa “nuova” letteratura riesce a parlarmi e a raggiungere la mia sensibilità.

In Brevemente risplendiamo sulla terra mi ha conquistata soprattutto la lingua: dentro un romanzo che è un mix di generi (si presenta come una lettera del protagonista alla madre, con una forte componente autobiografica, intervallata da flussi di coscienza, frammenti poetici e narrazioni più distese) Vuong pone una cura particolare nella scelta delle parole e le combina in modo imprevedibile e talvolta pirotecnico.

Del resto, la lingua inglese ha una parte centrale nella storia del protagonista, Little Dog, che a due anni insieme alla madre Rose e alla nonna Lan lascia un Vietnam messo in ginocchio dalla guerra e dalla povertà per emigrare negli Stati Uniti, ad Hartford in Connecticut. Rose e Lan non impareranno mai l’inglese, cosicché Little Dog sperimenta fin da subito la necessità di conoscere meglio la lingua del paese dove vivono per fare da interprete alla sua famiglia, ma a poco a poco arriva a innamorarsi di questa lingua e a governarla in maniera sempre più completa al punto da diventare poeta e scrittore, in una sorta di riscatto per via linguistica dalla diversità e di appropriazione della cultura ospite per il tramite della lingua.

La storia di Little Dog mi ha ricordato un po’ quella dell’autrice e protagonista del graphic novel Il nostro meglio, Thi Bui: in entrambi i casi parliamo di immigrati di seconda generazione che devono fare i conti con una doppia identità e che sentono la necessità di approfondire la storia dei propri genitori e avi, per indagare i motivi della distanza e le origini di alcuni meccanismi che fanno fatica a comprendere. Alcune cose hanno risuonato anche con un altro graphic novel che ho letto da poco, Ogni cosa è bellissima, e io non ho paura, scritto da una ragazza di origine cinese che vive a New York e che fa i conti con identità e origini. Forse perché, anche nel caso di Little Dog, oggetto di esplorazione non è solo l’identità vietnamita, bensì anche la propria omosessualità, e da qui la strada si apre verso la scoperta dei molti volti e delle molte cause della marginalità sociale, che non dipende solo dal colore della pelle, ma da un coacervo di fattori che possono segnare il destino di chiunque.

Dentro il libro di Vuong non c’è dunque solo il ritratto di una famiglia di immigrati vietnamiti che si porta dietro le ferite di quello che ha vissuto, i traumi del passato e le fatiche del presente, bensì anche il ritratto di un’intera parte della società americana che vive ai margini e per la quale non c’è nulla di più lontano del sogno americano. E per tutti costoro, a partire dalla madre del protagonista fino ad arrivare all’ultimo dei personaggi, Vuong ha parole che sanno essere straordinariamente delicate e poetiche, così come anche incredibilmente dirette e prive di infingimenti, e l’equilibrio tra questi due estremi apparentemente irriducibili si realizza nel ritratto vivido e commovente di Trevor, il ragazzo con cui Little Dog conosce l’amore e il dolore, mescolati insieme esattamente come sono nella vita.

Voto: 3,5/5

Nessun commento:

Posta un commento

Lascia qui un tuo commento... Se non hai un account Google o non sei iscritto al blog, lascialo come Anonimo (e se vuoi metti il tuo nome)!