Siamo in Yemen. Nojoom (Reham Mohammed), una ragazzina di poco più di 10 anni, si presenta in tribunale per chiedere il divorzio da suo marito. Da questa premessa inizia in flashback – ma non in ordine cronologico – la narrazione della sua storia e di tutto quello che precede la causa in tribunale.
La bambina è una dei figli di una famiglia yemenita che vive in un piccolo villaggio sulle montagne: suo padre, che è un agricoltore e un allevatore come tutti gli altri membri del villaggio, ha due mogli e numerosi figli, che l’aiutano nel lavoro e nel sostentamento familiare.
Nojoom è particolarmente legata a suo fratello – quasi coetaneo – con cui condivide giochi e sentimenti.
L’intera famiglia a un certo punto è costretta a trasferirsi in città, in una casa molto piccola e scomoda, e suo padre insieme a suo figlio maggiore ogni giorno sperano di essere scelti per lavorare a giornata nei cantieri o altrove, ma i soldi sono pochi e non bastano per dare una vita dignitosa a tutti. Il perché di questo trasferimento lo scopriremo più avanti nel racconto.
La situazione di povertà in cui versa la famiglia convince il capofamiglia a dare Nojoom in sposa a un uomo molto più grande di lei. La ragazzina, strappata dai giochi dell’infanzia, viene portata in un altro villaggio sulle montagne dove deve soddisfare i bisogni sessuali del marito, sottostare alla suocera e lavorare duramente insieme alle altre mogli.
Il suo malessere cresce al punto tale da determinare prima uno stato depressivo e poi un moto di ribellione che la porterà alfine in tribunale per chiedere il divorzio, chiamando in causa suo marito e suo padre.
Di fronte al giudizio emergerà tutta la verità di una società in cui sono la povertà e l’ignoranza a farla da padroni, e di cui le principali vittime sono le donne e i bambini.
Il film della regista yemenita Khadija Al-Salami non è un capolavoro cinematografico: appartiene alla nutrita categoria dei film a tema con uno smaccato intento didascalico (per l’idea di fondo e in alcuni tratti mi ha ricordato Capharnaum di Nadine Labaki), però è un film coraggioso e necessario che ci fa scoprire un paese bello e selvaggio, ma con un’organizzazione ancora fortemente tribale in cui gli uomini sono i padroni della vita delle donne, ma a loro volta sono sottoposti ai capi tribù e condannati dalla loro stessa ignoranza.
Interessante.
Voto: 3/5
martedì 16 giugno 2020
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