Con Clint Eastwood il mio rapporto è da sempre altalenante: a film che mi colpiscono e mi piacciono molto seguono film che mi lasciano completamente indifferente (e che per questo finiscono nel dimenticatoio), ovvero film che non riesco proprio ad apprezzare. Proprio per questo, però, di fronte all’uscita di un suo nuovo lavoro non riesco quasi mai a sottrarmi alla visione, perché so di potermi aspettare qualunque cosa.
La cosa più sorprendente è che Eastwood ha ancora punti di vista interessanti sul mondo e sulla contemporaneità e riesce ancora a tradurli in prodotti cinematografici di grande lucidità e qualità nonostante la veneranda età di 94 anni.
Con Giurato numero 2 mi pare che Eastwood realizzi – anche grazie alla solida sceneggiatura di Jonathan Abrams - uno dei suoi migliori film degli ultimi 10-15 anni, sebbene non possa fare un confronto puntuale in quanto non ho visto tutti quelli usciti.
Protagonista del film è Justin Kemp (Nicholas Hoult), un giovane uomo che è stato chiamato a far parte della giuria popolare in un caso di omicidio. Si tratta della morte di una donna, Kendall, trovata nel dirupo sotto un ponte dopo essere stata vista litigare con il suo fidanzato James dentro e fuori da un bar. L’avvocata dell’accusa, Faith Killebrew (Toni Collette), è convinta che James sia colpevole e che si tratti dell’ennesimo caso in cui un uomo non accetta di essere lasciato dalla sua donna e reagisce con violenza; si batte dunque come una leonessa durante il processo per dimostrare la colpevolezza, tanto più che dall’esito di questo processo potrebbe dipendere la sua nomina a procuratore distrettuale. Ben presto però Justin, ascoltando la ricostruzione del caso, si rende conto di essere coinvolto in esso, dal momento che la sera del litigio si trovava nello stesso bar di James e Kendall, e sulla via del ritorno a casa, a causa della pioggia e del fatto di essere sconvolto per una vicenda personale, aveva colpito qualcosa sulla strada, senza capire cosa e convincendosi che si fosse trattato di un cervo. Ben presto Justin realizza di essere lui, pur senza esserne consapevole, l’assassino di Kendall.
A questo punto Justin si trova di fronte a un’impasse: se confessa, visto il suo passato di alcolista, rischia moltissimo e non se lo può permettere perché sta diventando padre e sua moglie ha bisogno di lui, ma se non fa qualcosa per convincere gli altri giurati James è destinato a essere condannato ingiustamente.
Quello di Eastwood è un classico film processuale, ma il cuore della narrazione in questo caso non sta nell’interrogare lo spettatore su chi sia il colpevole, dal momento che la verità la conosciamo molto presto, ma nell’indagare sui meccanismi della giustizia e sulla loro imperfezione. Anzi, a dire la verità, a me pare che il film di Eastwood si voglia interrogare sui modi in cui ognuno di noi costruisce opinioni e giudizi sui fatti di cui non abbia esperienza diretta. In Giurato numero 2 non c’è alcuna rappresentazione manichea della società e nessuno dei protagonisti è un mostro: Justin ha un passato da alcolista ma è pulito da parecchio tempo e sta investendo tutte le sue energie nel costruire una famiglia e James ha sicuramente un passato di marginalità e violenza, ma se l’è lasciato alle spalle e lo rivendica fermamente. Tutti gli altri – gli avvocati, i testimoni e i membri della giuria - agiscono sostanzialmente in buona fede, al massimo gli si possono addebitare superficialità e/o pregiudizi, condizionati come sono dal vissuto personale, dai problemi individuali, dalle esperienze pregresse, dai convincimenti ideologici.
Se in Anatomia di una caduta Justine Triet pone gli spettatori di fronte all’impossibilità di conoscere la verità e li costringe a interrogarsi sui meccanismi personali che portano ciascuno a prendere posizioni o a costruirsi il proprio giudizio, in Giurato numero 2 Eastwood rappresenta tutto (o quasi) il ventaglio dei possibili approcci che le persone chiamate a prendere una posizione di fronte a una vicenda adottano e costringe gli spettatori a empatizzare con il protagonista senza la possibilità di collocarsi super partes.
Ne viene fuori il quadro di una società fortemente atomizzata, in cui gli individui fanno sempre più fatica o hanno sempre meno voglia di conciliare la necessità di preservare il proprio benessere con un superiore bene collettivo, una forma di egoismo e superficialità di massa, di cui siamo tutti vittime più che fautori. E tutto questo Eastwood ce lo racconta non in maniera giudicante e moraleggiante, ma come una sconfitta collettiva, senza però abbandonare del tutto la speranza.
Da vedere.
Voto: 4/5
lunedì 2 dicembre 2024
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Andrò a vederlo di sicuro, Eastwood è diventato un regista immenso
RispondiEliminaMi dirai!
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