Ed eccomi ancora una volta alla festa del cinema di Roma, appuntamento a cui noi cinefili romani ci attacchiamo pur sapendo che si tratta di un festival di serie B che poco ha a che vedere con i grandi festival (Cannes, Venezia, Berlino).
Negli ultimi anni, tra l'altro, mi pare che la selezione sia sempre meno entusiasmante, o forse sono io che ho aspettative troppo alte. Moltissimi film italiani, quasi sempre tra l'altro pescati tra quelli in uscita al cinema, e poche chicche vere che consentano scoperte poi non recuperabili nel circuito distributivo normale.
Inoltre, lo studio del calendario - che esce sempre più all'ultimo minuto - e il sistema di prenotazione ogni anno risultano più faticosi (fors'anche perché divento sempre più vecchia), cosicché vediamo come proseguirà nei prossimi anni quest'esperienza. Quest'anno riesco comunque a vedere ben otto film, scelti - come lo scorso anno - sulla base non solo della mia disponibilità, ma anche della location (con una preferenza per quella principale, dove seguire il festival è decisamente più affascinante), e in cui non mi sono fatta mancare qualche film della selezione di Alice nella città, che trovo ogni anno molto ben fatta.
Negli ultimi anni, tra l'altro, mi pare che la selezione sia sempre meno entusiasmante, o forse sono io che ho aspettative troppo alte. Moltissimi film italiani, quasi sempre tra l'altro pescati tra quelli in uscita al cinema, e poche chicche vere che consentano scoperte poi non recuperabili nel circuito distributivo normale.
Inoltre, lo studio del calendario - che esce sempre più all'ultimo minuto - e il sistema di prenotazione ogni anno risultano più faticosi (fors'anche perché divento sempre più vecchia), cosicché vediamo come proseguirà nei prossimi anni quest'esperienza. Quest'anno riesco comunque a vedere ben otto film, scelti - come lo scorso anno - sulla base non solo della mia disponibilità, ma anche della location (con una preferenza per quella principale, dove seguire il festival è decisamente più affascinante), e in cui non mi sono fatta mancare qualche film della selezione di Alice nella città, che trovo ogni anno molto ben fatta.
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How to have sex
La mia avventura con la Festa del cinema di Roma inizia con un film della selezione di Alice nella città, How to have sex, film di apertura che riempie completamente la grande sala dell'Auditorium Conciliazione e che vede una breve introduzione degli organizzatori e delle ospiti che sono la regista Molly Manning Walker e la protagonista Mia McKenna-Bruce.
Il film è stato proiettato la mattina a 500 ragazzi delle scuole e la regista ci dice che si è trattato di una delle proiezioni per lei più emozionanti, anche perché il film - scritto dalla stessa regista ispirandosi a una storia personale - intende rivolgersi proprio alla platea dei giovani e sollevare domande non semplici.
La storia è quella di tre amiche, Tara (Mia McKenna-Bruce), Skye (Lara Peake) ed Em (Enva Lewis), che nell'attesa dei risultati degli esami, partono per un viaggio a Creta, viaggio che si figurano all'insegna del divertimento e del sesso. Solo che, mentre Skye ed Em hanno già fatto le loro prime esperienze e sono dunque più disinibite sull'argomento, Tara è ancora vergine e questa potrebbe essere l'occasione per la sua prima volta. Appena arrivate nel loro albergo, le tre ragazze conoscono e cominciano a frequentare i loro vicini di stanza, che sono Badger (Shaun Thomas), Paddy (Samuel Bottomley) e Paige (Laura Ambler).
Tra alcol consumato a fiumi, nottate in discoteca, hangover post-sbronze e giochi in piscina, cominciano i flirt. Tara, che pure sembra avvicinarsi al più sensibile Badger, vive la sua prima volta con Paddy, e questa esperienza - emotivamente piuttosto traumatica - la segna e ne condiziona l'evoluzione dei rapporti con le amiche e il prosieguo della vacanza.
Al centro del film della Manning Walker c'è l'adolescenza, quell'età della vita che già di per sé stessa è difficile e confusa, in quanto condizionata dall'incompleta formazione della propria personalità e dalle difficoltà conseguenti a relazionarsi con il mondo esterno, ma che oggi è resa ancora più delicata da una spinta performativa fortissima. Di conseguenza, il sesso - che già di per sé è un tema complesso in generale nella vita e in particolare nell'adolescenza - rappresenta un terreno sul quale spesso si consumano piccoli e grandi drammi, dovuti a una scarsissima educazione sociale e a un basso livello di intelligenza emotiva.
Nella storia di Tara c'è dunque la questione del consenso, ma in maniera non banale - e dunque facilmente giudicabile - bensì in modo ambiguo e complesso, tanto che la regista in diverse interviste si dice meravigliata del fatto che molti coetanei della protagonista assolvono in qualche modo il comportamento del ragazzo. Non a caso la Manning Walker parla della necessità di una maggiore gentilezza e attenzione, in un mondo e in un'età nei quali tutto è molto confuso e le questioni non hanno mai risposte semplici e univoche. Quello di How to have sex è dunque un invito a tutti a essere consapevoli che gli esseri umani sono aggeggi fragili, soprattutto in adolescenza, e che l'unica strada che loro stessi e il mondo degli adulti possono percorrere è quella dell'attenzione, rivolta a sé stessi e a chi ci sta intorno.
Anche registicamente il film mi è sembrato riuscito nel tentativo di catapultarci in questa frenetica vacanza di adolescenti esaltati dal desiderio di divertirsi a tutti i costi grazie a una telecamera che sta sempre addosso ai personaggi, soprattutto alla protagonista, e a un montaggio visivo e sonoro a tratti quasi stordente.
Voto: 3,5/5
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Mi fanno male i capelli
Roberta Torre torna al cinema con questo omaggio originale e poetico a Monica Vitti, e sceglie Alba Rohrwacher per interpretare l'attrice romana scomparsa lo scorso anno, dopo una lunga malattia neurodegenerativa che l'aveva allontanata da tempo dalla scena pubblica.
La Torre sceglie di raccontare la storia di Monica (appunto la Rohrwacher), una giovane donna che vive con il marito Edoardo (Filippo Timi) in una casa al mare sul litorale romano (si riconosce chiaramente la spiaggia di Sperlonga). La donna ha cominciato non solo a dimenticare cose e persone della sua vita, ma anche ad avere delle allucinazioni. In questa confusione di realtà e fantasia la donna si è costruita un'esistenza alternativa nella quale si identifica con i personaggi interpretati da Monica Vitti nei suoi film, cosicché man mano che i giorni passano la donna inizia a imparare a memoria dialoghi in cui si riconosce e a vestirsi e pettinarsi come la Vitti. Il marito Edoardo che ha importanti problemi economici cerca di nasconderli alla moglie e di barcamenarsi con la sua malattia, spesso assecondando le fantasie di Monica, dunque interpretando a sua volta i ruoli che furono tra gli altri di Marcello Mastroianni.
Dal punto di vista narrativo il film della Torre è alquanto esile, al punto tale che la storia raccontata in Mi fanno male i capelli mi è sembrata più un pretesto per rendere omaggio a Monica Vitti che l'occasione per raccontare qualcosa di realmente nuovo.
Detto questo, dal punto di vista cinematografico il film è davvero splendido per il mescolarsi di girato della regista, frammenti di filmini amatoriali e spezzoni di film con protagonista Monica Vitti. L'intersecarsi di queste tre dimensioni è lo specchio perfetto di quanto avviene nella mente della protagonista, e anche sul piano tecnico funziona perfettamente. Va anche detto che Alba Rohrwacher compie un'impresa non certo facile, riproducendo la Vitti nelle movenze e nella fisicità, straordinariamente aiutata da un lavoro sui costumi eccezionale. Le scene nelle quali Monica/Rohrwacher si sovrappone e si sostituisce a Monica Vitti sono di un fascino e di una bellezza disarmanti.
Molto suggestiva anche la colonna sonora del giapponese Shigeru Umebayashi, autore delle musiche di In the mood for love, e tra l'altro premio alla carriera alla stessa festa del cinema di Roma.
Voto: 3/5
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Saltburn
La mattina stessa del giorno in cui vado a vedere Saltburn un'amica mi suggerisce un film che avevo perso a suo tempo e che vorrei recuperare, Una donna promettente. Scopro poi, praticamente per caso, che la regista di questo film, Emerald Fennell, è la stessa di Saltburn, il film in programmazione in serata, e la coincidenza mi incuriosisce alquanto, anche perché si tratta degli unici due film che la Fennell ha realizzato come regista.
In Saltburn protagonista è Oliver Quick (come mi fa notare F., un nome che ha una sonorità che un po' ricorda Oliver Twist), interpretato dallo splendido Barry Keoghan (già apprezzato in Gli spiriti dell'isola), un ragazzo di estrazione medio-bassa che arriva - grazie a una borsa di studio - a Oxford. Qui Oliver si ritrova catapultato in un ambiente fatto di ricchi rampolli della società inglese rispetto al quale lui è percepito come un outsider e uno sfigato, e dunque di fatto emarginato. Fin dai primi giorni Oliver viene colpito da Felix (Jacob Elordi), un ragazzo di grande fascino e completamente inserito nell'ambiente di Oxford, che però nemmeno lo vede. Dopo un episodio che consente a Oliver di tirare Felix fuori di impaccio, i due diventano amici e non solo Oliver entra nel giro giusto, ma al termine del semestre viene invitato a trascorrere l'estate nella casa della famiglia di Felix, Saltburn, che è in realtà un castello, con tanto di maggiordomo e servitù. L'ingresso di Oliver nel mondo della nobiltà inglese innescherà una serie di eventi a catena che - colpo di scena dopo colpo di scena - condurranno alla sorprendente conclusione.
Quello della Fennell è un film che trasuda odio di classe e satira sociale da tutti i pori. La famiglia di Felix (in cui spiccano le figure dei genitori interpretati da Rosamund Pike e Richard E. Grant) e il mondo che le ruota intorno sono tratteggiati in maniera così eccentrica da renderli insopportabili, mentre il povero Oliver - che forse si innamora di Felix e che si vuol fare benvolere dalla sua famiglia, inserendosi nelle pieghe della follia e della cattiveria che la attraversano - appare una vittima, certo un po' freak, ma pur sempre degno della nostra empatia. Man mano però l'interpretazione degli eventi cambia e il personaggio di Oliver si fa sempre più complesso e ambiguo, fino al deflagrante e in qualche modo esaltante finale.
Che dire del film della Fennell? Sicuramente grande direzione degli attori e eccezionale bravura di questi ultimi, colonna sonora di grande impatto, soprattutto man mano che l'inquietante verità viene a galla, visivamente molto ricercato, con una fotografia che gioca moltissimo su luci e ombre che trasformano ogni scena e ogni primo piano in un quadro o un ritratto di Rembrandt (come quelli che arredano molte stanze di Saltburn). Luci e ombre sono del resto l'elemento simbolico più comune per bene e male, aspetti che si mescolano in maniera ambigua e indecifrabile in tutti i personaggi del film. Pur nei suoi tratti certamente grotteschi e caricaturali, a volte sovrabbondanti e kitsch, il film della Fennell è capace di mescolare e giocare con i generi cinematografici, ma - nonostante tutto questo - mantiene intatta la credibilità emotiva della parabola narrativa che tratteggia, anche grazie alla bravura del suo protagonista.
Voto: 3,5/5
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Death is a problem only for the living
Tra le visioni di film che ho aggiunto un po' all'ultimo momento c'è questo film finlandese del regista Teemu Nikki, Death is a problem only for the living, interpretato da Pekka Strang e Jari Virman, tutti presenti sul red carpet della festa del cinema.
Si tratta di una commedia nera e grottesca, che a un certo punto si fa talmente nera da non sembrare neanche più una commedia. Protagonisti sono Risto (Pekka Strang), uno stralunatissimo becchino con una dipendenza dal gioco d'azzardo, e Arto (Jari Virman), il suo vicino, cui viene diagnosticato di avere solo un residuo di cervello (!). Entrambi sono a un punto di svolta nella loro vita: Risto è sempre più sommerso di debiti e alla ricerca di modi rapidi per fare soldi, e il rapporto con sua moglie è in crisi, mentre Arto - a causa della diagnosi ricevuta - perde il lavoro, finisce al centro dei pettegolezzi della comunità e comincia ad essere allontanato dalla moglie. Questi due perdenti sono fatalmente destinati a incontrarsi e incrociare i loro destini: Arto viene ingaggiato da Risto per i suoi poco legali trasporti di cadaveri, ma ben presto le situazioni precipitano e una serie di eventi tragici costringe Risto a fare una riflessione sulla propria vita.
Il film di Teemu Nikki ha moltissimo di finlandese, ed è quasi inevitabile che guardandolo si pensi ad Aki Kaurismäki, nonostante l'estetica e il tono di fondo siano profondamente diversi. I film provenienti da questo paese di confine tra penisola scandinava ed Europa orientale sono permeati da una tristezza di fondo e da un disagio esistenziale che non diventano assoluti soltanto perché c'è un'ironia sottile e originale che attraversa le storie di questi personaggi, producendo quell'effetto grottesco e stralunato che spesso caratterizza queste pellicole. Spesso al centro di questi film - e non fa eccezione Death is a problem only for the living - ci sono temi forti come la solitudine, le dipendenze, la grettezza culturale; però al termine della visione non si può non volere bene ai personaggi raccontati, al povero Arto - senza cervello ma dal cuore d'oro - e persino al cinico Risto che passerebbe sul cadavere di chiunque pur di accaparrarsi i soldi necessari a continuare a giocare.
Voto: 3/5
La mia avventura con la Festa del cinema di Roma inizia con un film della selezione di Alice nella città, How to have sex, film di apertura che riempie completamente la grande sala dell'Auditorium Conciliazione e che vede una breve introduzione degli organizzatori e delle ospiti che sono la regista Molly Manning Walker e la protagonista Mia McKenna-Bruce.
Il film è stato proiettato la mattina a 500 ragazzi delle scuole e la regista ci dice che si è trattato di una delle proiezioni per lei più emozionanti, anche perché il film - scritto dalla stessa regista ispirandosi a una storia personale - intende rivolgersi proprio alla platea dei giovani e sollevare domande non semplici.
La storia è quella di tre amiche, Tara (Mia McKenna-Bruce), Skye (Lara Peake) ed Em (Enva Lewis), che nell'attesa dei risultati degli esami, partono per un viaggio a Creta, viaggio che si figurano all'insegna del divertimento e del sesso. Solo che, mentre Skye ed Em hanno già fatto le loro prime esperienze e sono dunque più disinibite sull'argomento, Tara è ancora vergine e questa potrebbe essere l'occasione per la sua prima volta. Appena arrivate nel loro albergo, le tre ragazze conoscono e cominciano a frequentare i loro vicini di stanza, che sono Badger (Shaun Thomas), Paddy (Samuel Bottomley) e Paige (Laura Ambler).
Tra alcol consumato a fiumi, nottate in discoteca, hangover post-sbronze e giochi in piscina, cominciano i flirt. Tara, che pure sembra avvicinarsi al più sensibile Badger, vive la sua prima volta con Paddy, e questa esperienza - emotivamente piuttosto traumatica - la segna e ne condiziona l'evoluzione dei rapporti con le amiche e il prosieguo della vacanza.
Al centro del film della Manning Walker c'è l'adolescenza, quell'età della vita che già di per sé stessa è difficile e confusa, in quanto condizionata dall'incompleta formazione della propria personalità e dalle difficoltà conseguenti a relazionarsi con il mondo esterno, ma che oggi è resa ancora più delicata da una spinta performativa fortissima. Di conseguenza, il sesso - che già di per sé è un tema complesso in generale nella vita e in particolare nell'adolescenza - rappresenta un terreno sul quale spesso si consumano piccoli e grandi drammi, dovuti a una scarsissima educazione sociale e a un basso livello di intelligenza emotiva.
Nella storia di Tara c'è dunque la questione del consenso, ma in maniera non banale - e dunque facilmente giudicabile - bensì in modo ambiguo e complesso, tanto che la regista in diverse interviste si dice meravigliata del fatto che molti coetanei della protagonista assolvono in qualche modo il comportamento del ragazzo. Non a caso la Manning Walker parla della necessità di una maggiore gentilezza e attenzione, in un mondo e in un'età nei quali tutto è molto confuso e le questioni non hanno mai risposte semplici e univoche. Quello di How to have sex è dunque un invito a tutti a essere consapevoli che gli esseri umani sono aggeggi fragili, soprattutto in adolescenza, e che l'unica strada che loro stessi e il mondo degli adulti possono percorrere è quella dell'attenzione, rivolta a sé stessi e a chi ci sta intorno.
Anche registicamente il film mi è sembrato riuscito nel tentativo di catapultarci in questa frenetica vacanza di adolescenti esaltati dal desiderio di divertirsi a tutti i costi grazie a una telecamera che sta sempre addosso ai personaggi, soprattutto alla protagonista, e a un montaggio visivo e sonoro a tratti quasi stordente.
Voto: 3,5/5
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Mi fanno male i capelli
Roberta Torre torna al cinema con questo omaggio originale e poetico a Monica Vitti, e sceglie Alba Rohrwacher per interpretare l'attrice romana scomparsa lo scorso anno, dopo una lunga malattia neurodegenerativa che l'aveva allontanata da tempo dalla scena pubblica.
La Torre sceglie di raccontare la storia di Monica (appunto la Rohrwacher), una giovane donna che vive con il marito Edoardo (Filippo Timi) in una casa al mare sul litorale romano (si riconosce chiaramente la spiaggia di Sperlonga). La donna ha cominciato non solo a dimenticare cose e persone della sua vita, ma anche ad avere delle allucinazioni. In questa confusione di realtà e fantasia la donna si è costruita un'esistenza alternativa nella quale si identifica con i personaggi interpretati da Monica Vitti nei suoi film, cosicché man mano che i giorni passano la donna inizia a imparare a memoria dialoghi in cui si riconosce e a vestirsi e pettinarsi come la Vitti. Il marito Edoardo che ha importanti problemi economici cerca di nasconderli alla moglie e di barcamenarsi con la sua malattia, spesso assecondando le fantasie di Monica, dunque interpretando a sua volta i ruoli che furono tra gli altri di Marcello Mastroianni.
Dal punto di vista narrativo il film della Torre è alquanto esile, al punto tale che la storia raccontata in Mi fanno male i capelli mi è sembrata più un pretesto per rendere omaggio a Monica Vitti che l'occasione per raccontare qualcosa di realmente nuovo.
Detto questo, dal punto di vista cinematografico il film è davvero splendido per il mescolarsi di girato della regista, frammenti di filmini amatoriali e spezzoni di film con protagonista Monica Vitti. L'intersecarsi di queste tre dimensioni è lo specchio perfetto di quanto avviene nella mente della protagonista, e anche sul piano tecnico funziona perfettamente. Va anche detto che Alba Rohrwacher compie un'impresa non certo facile, riproducendo la Vitti nelle movenze e nella fisicità, straordinariamente aiutata da un lavoro sui costumi eccezionale. Le scene nelle quali Monica/Rohrwacher si sovrappone e si sostituisce a Monica Vitti sono di un fascino e di una bellezza disarmanti.
Molto suggestiva anche la colonna sonora del giapponese Shigeru Umebayashi, autore delle musiche di In the mood for love, e tra l'altro premio alla carriera alla stessa festa del cinema di Roma.
Voto: 3/5
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Saltburn
La mattina stessa del giorno in cui vado a vedere Saltburn un'amica mi suggerisce un film che avevo perso a suo tempo e che vorrei recuperare, Una donna promettente. Scopro poi, praticamente per caso, che la regista di questo film, Emerald Fennell, è la stessa di Saltburn, il film in programmazione in serata, e la coincidenza mi incuriosisce alquanto, anche perché si tratta degli unici due film che la Fennell ha realizzato come regista.
In Saltburn protagonista è Oliver Quick (come mi fa notare F., un nome che ha una sonorità che un po' ricorda Oliver Twist), interpretato dallo splendido Barry Keoghan (già apprezzato in Gli spiriti dell'isola), un ragazzo di estrazione medio-bassa che arriva - grazie a una borsa di studio - a Oxford. Qui Oliver si ritrova catapultato in un ambiente fatto di ricchi rampolli della società inglese rispetto al quale lui è percepito come un outsider e uno sfigato, e dunque di fatto emarginato. Fin dai primi giorni Oliver viene colpito da Felix (Jacob Elordi), un ragazzo di grande fascino e completamente inserito nell'ambiente di Oxford, che però nemmeno lo vede. Dopo un episodio che consente a Oliver di tirare Felix fuori di impaccio, i due diventano amici e non solo Oliver entra nel giro giusto, ma al termine del semestre viene invitato a trascorrere l'estate nella casa della famiglia di Felix, Saltburn, che è in realtà un castello, con tanto di maggiordomo e servitù. L'ingresso di Oliver nel mondo della nobiltà inglese innescherà una serie di eventi a catena che - colpo di scena dopo colpo di scena - condurranno alla sorprendente conclusione.
Quello della Fennell è un film che trasuda odio di classe e satira sociale da tutti i pori. La famiglia di Felix (in cui spiccano le figure dei genitori interpretati da Rosamund Pike e Richard E. Grant) e il mondo che le ruota intorno sono tratteggiati in maniera così eccentrica da renderli insopportabili, mentre il povero Oliver - che forse si innamora di Felix e che si vuol fare benvolere dalla sua famiglia, inserendosi nelle pieghe della follia e della cattiveria che la attraversano - appare una vittima, certo un po' freak, ma pur sempre degno della nostra empatia. Man mano però l'interpretazione degli eventi cambia e il personaggio di Oliver si fa sempre più complesso e ambiguo, fino al deflagrante e in qualche modo esaltante finale.
Che dire del film della Fennell? Sicuramente grande direzione degli attori e eccezionale bravura di questi ultimi, colonna sonora di grande impatto, soprattutto man mano che l'inquietante verità viene a galla, visivamente molto ricercato, con una fotografia che gioca moltissimo su luci e ombre che trasformano ogni scena e ogni primo piano in un quadro o un ritratto di Rembrandt (come quelli che arredano molte stanze di Saltburn). Luci e ombre sono del resto l'elemento simbolico più comune per bene e male, aspetti che si mescolano in maniera ambigua e indecifrabile in tutti i personaggi del film. Pur nei suoi tratti certamente grotteschi e caricaturali, a volte sovrabbondanti e kitsch, il film della Fennell è capace di mescolare e giocare con i generi cinematografici, ma - nonostante tutto questo - mantiene intatta la credibilità emotiva della parabola narrativa che tratteggia, anche grazie alla bravura del suo protagonista.
Voto: 3,5/5
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Death is a problem only for the living
Tra le visioni di film che ho aggiunto un po' all'ultimo momento c'è questo film finlandese del regista Teemu Nikki, Death is a problem only for the living, interpretato da Pekka Strang e Jari Virman, tutti presenti sul red carpet della festa del cinema.
Si tratta di una commedia nera e grottesca, che a un certo punto si fa talmente nera da non sembrare neanche più una commedia. Protagonisti sono Risto (Pekka Strang), uno stralunatissimo becchino con una dipendenza dal gioco d'azzardo, e Arto (Jari Virman), il suo vicino, cui viene diagnosticato di avere solo un residuo di cervello (!). Entrambi sono a un punto di svolta nella loro vita: Risto è sempre più sommerso di debiti e alla ricerca di modi rapidi per fare soldi, e il rapporto con sua moglie è in crisi, mentre Arto - a causa della diagnosi ricevuta - perde il lavoro, finisce al centro dei pettegolezzi della comunità e comincia ad essere allontanato dalla moglie. Questi due perdenti sono fatalmente destinati a incontrarsi e incrociare i loro destini: Arto viene ingaggiato da Risto per i suoi poco legali trasporti di cadaveri, ma ben presto le situazioni precipitano e una serie di eventi tragici costringe Risto a fare una riflessione sulla propria vita.
Il film di Teemu Nikki ha moltissimo di finlandese, ed è quasi inevitabile che guardandolo si pensi ad Aki Kaurismäki, nonostante l'estetica e il tono di fondo siano profondamente diversi. I film provenienti da questo paese di confine tra penisola scandinava ed Europa orientale sono permeati da una tristezza di fondo e da un disagio esistenziale che non diventano assoluti soltanto perché c'è un'ironia sottile e originale che attraversa le storie di questi personaggi, producendo quell'effetto grottesco e stralunato che spesso caratterizza queste pellicole. Spesso al centro di questi film - e non fa eccezione Death is a problem only for the living - ci sono temi forti come la solitudine, le dipendenze, la grettezza culturale; però al termine della visione non si può non volere bene ai personaggi raccontati, al povero Arto - senza cervello ma dal cuore d'oro - e persino al cinico Risto che passerebbe sul cadavere di chiunque pur di accaparrarsi i soldi necessari a continuare a giocare.
Voto: 3/5
Non vedo l'ora di vedere "Saltburn", è uno dei film che aspetto di più. Avevo adorato "Una donna promettente", questo spero sia altrettanto bello!
RispondiEliminap.s. sul sistema di prenotazione... no comment! Se a Roma è complesso non immagini a Venezia: ogni anno sempre più a prova di pazienza (e di irritazione). Sembra lo facciano apposta per demoralizzarti e farti rinunciare, e probabilmente è così :(
Pare che Saltburn non abbia ancora un distributore e dunque una data certa di uscita ma sono fiduciosa. Film assolutamente da vedere. Mi dirai!!
EliminaRiguardo a Venezia non oso immaginare e temo per il giorno in cui deciderò di andare!!