lunedì 24 ottobre 2022

Festival del cinema spagnolo e latinoamericano. Cinema Farnese, 6-12 ottobre 2022

L'appuntamento con il Festival del cinema spagnolo e latinoamericano è ormai diventato per me un grande classico dell'autunno cinematografico romano, pur essendo molto vicino alla Festa del cinema di Roma.

Devo dire che quest'anno, avendo sott'occhio entrambi i programmi contemporaneamente, non ho potuto fare a meno di pensare che il programma del festival spagnolo e latinoamericano - pur meno ricco (sebbene più ampio del passato grazie alla presenza della doppia sala al Farnese) - presentasse una selezione più appetibile.

Comunque, alla fine sono riuscita ad andare a vedere ben quattro film, usufruendo dell'ingresso scontato grazie alla nuova formula abbonamento. Ecco le mie impressioni.

****************
Una pelicula sobre parejas

A proposito di commistioni tra i due festival, se non ricordo male questo film era stato presentato alla Festa del cinema di Roma dello scorso anno e l'avevo già puntato, ma non ero riuscita a vederlo. E dunque questo festival mi dà una seconda opportunità.

Si tratta del documentario scritto, diretto e interpretato da Natalia Cabral e Oriol Estrada, due registi dominicani che ci propongono un metadocumentario con un taglio fortemente autoironico. 

Tutto inizia con la presentazione di un loro documentario in una sala quasi vuota e poi con la telefonata di un produttore che gli dice che qualcuno ha deciso di mettere dei soldi sul loro prossimo progetto. Peccato che questo progetto non esista! Inizia così per entrambi - che sono una coppia nella vita - una riflessione sul proprio lavoro e anche su sé stessi come coppia, e arriva così la decisione di girare un documentario sulle coppie che - oltre a condividere il privato - condividono anche l'attività lavorativa.

Ma l'occhio dei registi diventa a più riprese quello degli spettatori che curiosano nella vita privata, nei momenti di incertezza e nelle situazioni lavorative di Natalia e Oriol, sorridendo del fatto che loro sono i primi a prendere in giro sé stessi e questo assurdo lavoro che fanno.

Il film è a tratti godibile e strappa qualche risata, ma ci sono lunghe sequenze che non aiutano a tenere viva l'attenzione. Personalmente - sarà che ero anche piuttosto stanca - ho mollato l'attenzione a più riprese.

Voto: 3/5



****************
Modelo 77

Alberto Rodríguez è l'autore di quel "piccolo" film di culto che è La isla mínima, cosicché anche in Italia si aspettava con ansia il suo nuovo film, tra l'altro ancora una volta ambientato nel periodo della transizione democratica spagnola.

Questa volta siamo a Barcellona nel 1975, precisamente nel carcere di Model (struttura che è stata ora trasformata in un centro culturale, come lo stesso regista ci racconta). Qui arriva Manuel (Miguel Herrán), un ragazzo con un bel completo che ben presto dovrà fare i conti con il duro ambiente carcerario. Nel frattempo però, con la morte di Franco, nel paese si consuma la transizione democratica e molte cose cominciano a cambiare significativamente, mentre in prigione continua a vigere un clima fascista nel quale le guardie spadroneggiano e i carcerati non solo non hanno alcun diritto, ma vengono sottoposti a vessazioni e abusi di potere. Alcuni di loro, quelli più consapevoli e che in alcuni casi sono in carcere per reati non più previsti dal nuovo regime democratico, cominciano ad organizzarsi in un sindacato che riesce anche a realizzare una forma di coordinamento tra diverse carceri. A questi gruppi si unisce Manuel e successivamente anche il riottoso Pino (Javier Gutiérrez). Purtroppo però la battaglia con i metodi del dialogo e della pressione sulle istituzioni non porta da nessuna parte, e i carcerati dovranno cominciare a cercare altre strade.

Il film di Rodriguez è ben scritto, ben diretto e ben interpretato: una ricostruzione magistrale, sebbene con giuste licenze poetiche di carattere narrativo, che non solo è in grado di riportarci indietro nel tempo e di farci percepire il clima interno ed esterno alle carceri in quegli anni, ma ci spinge anche a riflettere sulla più generale situazione carceraria anche al di fuori dei confini della Spagna e anche nel presente. La visione è di forte impatto visivo ed emotivo, e non si può non uscirne piuttosto scossi.

Purtroppo non sono infrequenti, persino in paesi con democrazie solide e di lunghissima tradizione, episodi (chissà se realmente isolati) che evidenziano trattamenti inaccettabili di coloro che sono in carcere e il frequente rischio che le carceri si sottraggano alle regole democratiche e al rispetto dei diritti individuali.

Il racconto che Rodriguez - rispondendo alle domande del pubblico - ci fa della realizzazione del film e della ricostruzione storica che ne è alla base risulta affascinante quasi quanto il film stesso.

Un film che merita un grande successo.

Voto: 4,5/5



****************
Paula

Nella serata delle premiazioni dei film latinoamericani da parte dell'IILA (Organizzazione internazionale italo-latina americana) vedo il corto vincitore della sezione relativa, La última pieza - Ensayo 1 di Silvana Alarcón (una piccola storia di memoria e depressione realizzata a partire dai negativi di foto tagliati dal nonno della regista), e il film vincitore della sezione fiction, Paula di Florencia Wehbe. Entrambe le giovani registe sono presenti in sala e al termine della proiezione raccontano i loro film e rispondono alle domande del pubblico.

Come ci dice la Wehbe, Paula è un film in buona parte autobiografico, ispirato alla sé stessa adolescente, che a 15 anni faceva fatica ad accettare il proprio corpo sovrappeso e aveva preso la strada dei disordini alimentari. Il cuore del film è dunque nei tentativi di questa giovane donna di trovare il proprio posto nel mondo, nei rapporti con la famiglia, con le amiche, con il sesso maschile, e soprattutto volendo bene a sé stessa.

Nel film della regista argentina questa storia universale viene riportata a un presente nel quale gli smartphone sono onnipresenti, e in cui app e social rendono la gestione del proprio senso di inadeguatezza apparentemente più facile, ma in realtà molto più complessa e pericolosa.

Ne esce un ritratto sincero e compassionevole, che fa certamente riflettere sia su quell'età difficile e rischiosa che è l'adolescenza, sia - come ci dice la Wehbe - sui fortissimi condizionamenti sociali che operano soprattutto sulle donne e sui loro corpi, e che tanti danni producono fin dall'età dell'adolescenza.

Un buon film che spero possa trovare una distribuzione italiana.

Voto: 3,5/5



****************
Maixabel

Maixabel Lasa, moglie di Juan Mari Jáuregui, il politico socialista ucciso dall'ETA nel 2000, è un'attivista politica molto impegnata sul fronte della ricostruzione della convivenza civile dopo la fine del periodo della lotta armata dell'ETA nonché promotrice della giustizia riparativa finalizzata a creare una forma di dialogo tra vittime e attentatori.

Il film di Icíar Bollaín racconta appunto la storia di Maixabel, e soprattutto quella del modo in cui attraverso la giustizia riparativa ha potuto realizzarsi l'incontro tra lei e due dei componenti del commando che assassinò suo marito, Luis (Urko Olazabal) e Ibon (Luis Tosar), da tempo in carcere. Intorno a Maixabel la figlia Marìa, che sostiene la madre nella sua scelta seppure personalmente decida di non accedere a questa possibilità, e gli amici del PSOE che in molti casi non comprendono o mal tollerano l'azione di Maixabel.

La proiezione si svolge alla presenza della regista e della stessa Maixabel Lasa, donna forte e mite allo stesso tempo, profondamente consapevole, umile nel perseguire una strada che sa non essere necessariamente per tutti ma che considera una possibilità imprescindibile per creare un dialogo.

Come ci dice lei stessa (in riferimento alla domanda di uno spettatore riguardo ai rapporti tra il film e la vicenda narrata nel romanzo di Aramburu Patria), la sua storia e quanto raccontato nel film sono soltanto uno dei molteplici punti di vista da cui si può raccontare quella vera e propria guerra civile che ha attraversato i Paesi Baschi per circa 40 anni. Ciò che probabilmente accomuna tutti questi punti di vista è il dolore e la paura che hanno attraversato la comunità basca per tutti questi anni, creando fratture dentro le famiglie e le comunità. Per questo, secondo Maixabel l'unica strada possibile non può che essere quella del dialogo e della ricostruzione del tessuto sociale.

Le narrazioni che riguardano la vicenda del terrorismo basco e della sottostante ideologia indipendentista mi colpiscono sempre profondamente (mi era già capitato con Patria), forse per la percezione di quanti danni possano fare queste ideologie e la mia totale incapacità di comprenderne profondamente le radici. Così, fors'anche per il piano fortemente emotivo su cui è giocato il film della Bollaín, tutto il tempo della visione lo passo con un groppo in gola che spesso si scioglie in lacrime che mi rigano il viso o nel naso che cola.

Capisco dunque molto bene perché la regista abbia voluto inserire nel film la presenza frequente della pioggia e dell'acqua ancor prima che lei ci spieghi questa scelta richiamando una citazione da Il mercante di Venezia di Shakespeare che dice "Il carattere della compassione è di non essere costretta; essa scende come una dolce pioggia dal cielo ed è due volte benedetta; benedice colui che la concede e quegli su cui si spande".

Tante volte mi chiedo - senza trovare risposta - come mi collocherei io in una situazione del genere e di quanta compassione sarei realmente capace. Ma forse è la compassione quello di cui il nostro mondo ha oggi più bisogno.

L'elemento narrativo è potente, ma i 3 Goya vinti dal film stanno lì anche a testimoniare la qualità cinematografica di questo film.

Voto: 4/5


Nessun commento:

Posta un commento

Lascia qui un tuo commento... Se non hai un account Google o non sei iscritto al blog, lascialo come Anonimo (e se vuoi metti il tuo nome)!