Alla fine ho collezionato il misero bottino di sei film, e per fortuna almeno un film davvero bello l'ho visto.
Qui la seconda parte delle recensioni.
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The lost king
L'ultimo film di Stephen Frears è ispirato alla incredibile storia vera di Philippa Langley (qui interpretata da Sally Hawkins), una donna inglese che, in un momento delicato della sua vita (si sta separando dal marito, non ha ottenuto una promozione promessa, ha una malattia parzialmente invalidante), si appassiona alla storia di Riccardo III, il re inglese accusato di essere un usurpatore e di aver ucciso i suoi nipoti.
Philippa sente un legame con questo re vissuto molti secoli prima e vede nella possibilità di riscattare la sua memoria la possibilità di riscattare sé stessa. Da storica dilettante ma appassionata, la donna raccoglie dati e convince il Comune di Leicester e l'Università a investire dei soldi sul suo progetto, salvo poi scontrarsi col fatto che l'università è ormai gestita come un'azienda e che è pronta a tirarsi indietro o a salire sul carro dei vincitori - anzi a intestarsi il merito - nel momento in cui la strada si rivela giusta.
L'ossessione di Philippa sarà certamente premiata sebbene la donna dovrà "accontentarsi" di un riconoscimento più sostanziale che formale.
Non conoscendo questa bizzarra storia e visti i suoi tratti davvero incredibili in senso letterale, sono andata avanti per tutto il film a chiedermi se fosse realmente vera o se Stephen Frears ci stesse facendo uno scherzetto, salvo poi realizzare al termine del film - quando il regista offre alcune informazioni su cosa è successo dopo - che la storia di Philippa è reale e in un certo senso Frears ha a sua volta riscattato questa donna dall'oscurità a cui le istituzioni avrebbero voluto relegarla.
Un racconto tenero, buffo, a tratti fantastico e surreale (come quando Philippa parla con il re in persona che vede solo lei), ma che fa riflettere sulla nostra società, sui mali del presente, ma anche su quelli che hanno radici antiche e ancora ci portiamo dietro.
Voto: 3,5/5
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Infinito. L'universo di Luigi Ghirri
Il secondo film che scelgo quest'anno - e anche l'unico documentario che vedo - è quello che Matteo Parisini (presente in sala insieme alla sorella e alle figlie di Luigi Ghirri) ha dedicato al grande fotografo emiliano, sua passione fin dall'adolescenza (come lui stesso ci dice). Considero la visione del film una specie di preparazione per la visita alla mostra dedicata al fotografo attualmente in corso a Modena, e che è una delle tante iniziative a lui dedicate in occasione di due importanti anniversari (30 anni dalla scomparsa quest'anno, e 70 anni dalla nascita il prossimo anno).
Il documentario racconta Ghirri come persona innanzitutto, attraverso i ritratti e le parole dei familiari, degli amici e dei colleghi, ma ovviamente anche come fotografo innovativo che ha profondamente trasformato il modo di guardare e di fotografare, e lo ha fatto senza viaggiare per il mondo, bensì muovendosi prevalentemente nella sua regione.
Da un punto di vista cinematografico sono due gli aspetti secondo me più interessanti (e in parte originali) di questo documentario rispetto ad altri già realizzati sul fotografo: la scelta di raccontare la sua storia e il suo essere fotografo attraverso le parole dei suoi libri e delle sue lezioni (recitate da un altro appassionato di Ghirri che è Stefano Accorsi) e la sonorizzazione delle fotografie che - pur essendo immagini fisse - vengono accompagnate da una ricostruzione dei suoni del contesto, suoni che tra l'altro si armonizzano con una colonna sonora complessiva del film che suggerisce un tono fiabesco come molte delle fotografie del maestro.
Per chi conosce già Ghirri forse il film non aggiunge molto di nuovo; per chi non lo conosce probabilmente non spiega abbastanza, però dal mio punto di vista per i primi si tratta comunque di una visione non solo gradevole ma a tratti anche commovente, per i secondi è certamente l'occasione di farsi venire delle curiosità da approfondire in un secondo momento.
Voto: 3,5/5
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Hourìa
Dopo il film Non conosci Papicha, la regista franco-algerina Mounia Meddour continua il suo percorso nel lungometraggio di fiction, affiancata anche questa volta da Lyna Khoudri, già meravigliosa protagonista del primo film e ora nei panni qui di Hourìa, una ragazza algerina che fa danza classica e sogna di fare il salto al professionismo. Hourìa non ha il padre (scopriremo più avanti perché), mentre la madre insegna danza e non ha un'automobile: per questo la ragazza la sera va ai combattimenti tra montoni per scommettere e raccogliere i soldi per comprarla. Dopo una vincita importante viene inseguita da un giovane delinquente che si sente truffato, e cade per le scale, rompendosi una caviglia. Si sveglierà dall'intervento avendo perso anche la parola per effetto dello shock. Da qui in poi la strada di Hourìa è tutta in salita: una storia di resilienza e di tenacia in un contesto profondamente difficile come quello algerino.
Ciò che mi colpisce dei film della Meddour è il coraggio che dimostrano nel gettare luce su un paese che non sta alla ribalta delle cronache, di cui sappiamo poco o niente, dove non sembra esserci una tensione sociale forte come in altri paesi nordafricani o del medio oriente, ma che in realtà la regista ci racconta nella sua realtà difficile, un luogo che si porta dietro l'eredità del terrorismo anni Novanta, dove la corruzione è fortissima, l'integralismo islamico è presente in maniera significativa, i sogni delle giovani generazioni sono difficili da realizzare, ma anche una vita quotidiana serena non è affatto scontata.
Da un punto di vista cinematografico avevo trovato il film precedente più riuscito e di maggiore impatto emotivo, però magari è soprattutto un'impressione personale dovuta al fatto che alla seconda esperienza ero più preparata.
Voto: 3/5
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The lost king
L'ultimo film di Stephen Frears è ispirato alla incredibile storia vera di Philippa Langley (qui interpretata da Sally Hawkins), una donna inglese che, in un momento delicato della sua vita (si sta separando dal marito, non ha ottenuto una promozione promessa, ha una malattia parzialmente invalidante), si appassiona alla storia di Riccardo III, il re inglese accusato di essere un usurpatore e di aver ucciso i suoi nipoti.
Philippa sente un legame con questo re vissuto molti secoli prima e vede nella possibilità di riscattare la sua memoria la possibilità di riscattare sé stessa. Da storica dilettante ma appassionata, la donna raccoglie dati e convince il Comune di Leicester e l'Università a investire dei soldi sul suo progetto, salvo poi scontrarsi col fatto che l'università è ormai gestita come un'azienda e che è pronta a tirarsi indietro o a salire sul carro dei vincitori - anzi a intestarsi il merito - nel momento in cui la strada si rivela giusta.
L'ossessione di Philippa sarà certamente premiata sebbene la donna dovrà "accontentarsi" di un riconoscimento più sostanziale che formale.
Non conoscendo questa bizzarra storia e visti i suoi tratti davvero incredibili in senso letterale, sono andata avanti per tutto il film a chiedermi se fosse realmente vera o se Stephen Frears ci stesse facendo uno scherzetto, salvo poi realizzare al termine del film - quando il regista offre alcune informazioni su cosa è successo dopo - che la storia di Philippa è reale e in un certo senso Frears ha a sua volta riscattato questa donna dall'oscurità a cui le istituzioni avrebbero voluto relegarla.
Un racconto tenero, buffo, a tratti fantastico e surreale (come quando Philippa parla con il re in persona che vede solo lei), ma che fa riflettere sulla nostra società, sui mali del presente, ma anche su quelli che hanno radici antiche e ancora ci portiamo dietro.
Voto: 3,5/5
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Infinito. L'universo di Luigi Ghirri
Il secondo film che scelgo quest'anno - e anche l'unico documentario che vedo - è quello che Matteo Parisini (presente in sala insieme alla sorella e alle figlie di Luigi Ghirri) ha dedicato al grande fotografo emiliano, sua passione fin dall'adolescenza (come lui stesso ci dice). Considero la visione del film una specie di preparazione per la visita alla mostra dedicata al fotografo attualmente in corso a Modena, e che è una delle tante iniziative a lui dedicate in occasione di due importanti anniversari (30 anni dalla scomparsa quest'anno, e 70 anni dalla nascita il prossimo anno).
Il documentario racconta Ghirri come persona innanzitutto, attraverso i ritratti e le parole dei familiari, degli amici e dei colleghi, ma ovviamente anche come fotografo innovativo che ha profondamente trasformato il modo di guardare e di fotografare, e lo ha fatto senza viaggiare per il mondo, bensì muovendosi prevalentemente nella sua regione.
Da un punto di vista cinematografico sono due gli aspetti secondo me più interessanti (e in parte originali) di questo documentario rispetto ad altri già realizzati sul fotografo: la scelta di raccontare la sua storia e il suo essere fotografo attraverso le parole dei suoi libri e delle sue lezioni (recitate da un altro appassionato di Ghirri che è Stefano Accorsi) e la sonorizzazione delle fotografie che - pur essendo immagini fisse - vengono accompagnate da una ricostruzione dei suoni del contesto, suoni che tra l'altro si armonizzano con una colonna sonora complessiva del film che suggerisce un tono fiabesco come molte delle fotografie del maestro.
Per chi conosce già Ghirri forse il film non aggiunge molto di nuovo; per chi non lo conosce probabilmente non spiega abbastanza, però dal mio punto di vista per i primi si tratta comunque di una visione non solo gradevole ma a tratti anche commovente, per i secondi è certamente l'occasione di farsi venire delle curiosità da approfondire in un secondo momento.
Voto: 3,5/5
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Hourìa
Dopo il film Non conosci Papicha, la regista franco-algerina Mounia Meddour continua il suo percorso nel lungometraggio di fiction, affiancata anche questa volta da Lyna Khoudri, già meravigliosa protagonista del primo film e ora nei panni qui di Hourìa, una ragazza algerina che fa danza classica e sogna di fare il salto al professionismo. Hourìa non ha il padre (scopriremo più avanti perché), mentre la madre insegna danza e non ha un'automobile: per questo la ragazza la sera va ai combattimenti tra montoni per scommettere e raccogliere i soldi per comprarla. Dopo una vincita importante viene inseguita da un giovane delinquente che si sente truffato, e cade per le scale, rompendosi una caviglia. Si sveglierà dall'intervento avendo perso anche la parola per effetto dello shock. Da qui in poi la strada di Hourìa è tutta in salita: una storia di resilienza e di tenacia in un contesto profondamente difficile come quello algerino.
Ciò che mi colpisce dei film della Meddour è il coraggio che dimostrano nel gettare luce su un paese che non sta alla ribalta delle cronache, di cui sappiamo poco o niente, dove non sembra esserci una tensione sociale forte come in altri paesi nordafricani o del medio oriente, ma che in realtà la regista ci racconta nella sua realtà difficile, un luogo che si porta dietro l'eredità del terrorismo anni Novanta, dove la corruzione è fortissima, l'integralismo islamico è presente in maniera significativa, i sogni delle giovani generazioni sono difficili da realizzare, ma anche una vita quotidiana serena non è affatto scontata.
Da un punto di vista cinematografico avevo trovato il film precedente più riuscito e di maggiore impatto emotivo, però magari è soprattutto un'impressione personale dovuta al fatto che alla seconda esperienza ero più preparata.
Voto: 3/5
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