giovedì 12 maggio 2022

Immaginaria Film Festival. Cinema Aquila, 22-26 aprile 2022

Anche quest'anno riesco ad affacciarmi, anche se solo per un giorno, ad Immaginaria. International film festival of lesbians and other rebellious women. Memore dell'esperienza dello scorso anno, quando mi ero resa conto che la cosa migliore del festival sono i documentari (e talvolta i corti), e molto meno i lungometraggi di fiction, scelgo per questa giornata due documentari e un solo film di fiction.
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In her words. 20th century lesbian fiction


Il primo che scelgo è In her words. 20th century lesbian fiction, un documentario realizzato da Lisa Marie Evans e Marianne K. Martin. L'idea iniziale di raccontare la storia e l'impatto della letteratura lesbica nel ventesimo secolo era nata nel 2014 in occasione del National Women's Music Festival di Madison, dove la stessa Martin e la collega Sandra Moran avevano fatto un intervento su questo tema. Dopo la prematura e tragica morte di Sandra, anche col sostegno della di lei compagna Cheryl Pletcher, il progetto è stato comunque portato avanti e giunto a compimento.

Di fatto si tratta di un percorso cronologico all'interno della letteratura lesbica, la cui principale voce narrante è Lillian Faderman, il cui racconto si alterna alle interviste con molte delle scrittrici e delle protagoniste di questa storia, oltre che ad immagini di repertorio e fotografie.

Ne viene fuori una ricostruzione ricchissima e a suo modo spassosa, attraverso la quale si può leggere la storia stessa della società e non solo quella della comunità lesbica ed LGBT in generale.

Dai primi romanzi caratterizzati dagli esiti tragici delle protagoniste (specchio di un mondo in cui essere lesbica era una condanna), a poco a poco la letteratura del settore si apre alla possibilità di storie più "normali" e anche a generi diversi: i gialli, i piccoli romanzi di azione pubblicati sulle riviste (cosiddetta "pulp fiction"), i romanzi storici ecc. Si arriva infine ai giorni nostri e a scrittrici acclamate e quasi mainstream come Sarah Waters, a dimostrazione del lungo cammino che la letteratura lesbica ha compiuto in circa un secolo.

La storia della letteratura lesbica in molti momenti si interseca con la storia del movimento femminista, tra fasi di grande armonia e altre di conflitto, come del resto in molti casi accade ancora oggi. Di questo ci parla ad esempio nella sua intervista Rita Mae Brown, che è protagonista di uno dei passaggi più divertenti e intensi del film.

In her words non racconta però solo le storie delle scrittrici, bensì anche quello delle case editrici, in particolare la Naiad Press, la cui animatrice Barbara Grier emerge come figura determinante nella fase pionieristica dell'affacciarsi della letteratura lesbica sulla scena americana.

Nel complesso un film il cui interesse va ben al di là della comunità LGBT e che racconta un pezzo importante della storia dell'editoria americana, del movimento femminista e della società tutta.

Voto: 4/5

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Bauhausfrauen = Le donne del Bauhaus

Il documentario di Susanne Radelhof è in realtà un mediometraggio realizzato per la televisione tedesca, come lei stessa ci ha spiegato durante l'interessante dibattito che è seguito alla visione del film. In pratica la regista ha voluto ridare voce e spazio alla parte femminile di quella straordinaria scuola d'arte nata a Weimar nel 1919, grazie all'iniziativa di Walter Gropius, che ha rivoluzionato il mondo dell'arte e del design. La forza del Bauhaus è stata quella di non considerare le arti in maniera astratta e avulsa dalla società, ma di farle dialogare con l'artigianato e la produzione industriale, trasformandole in qualcosa di nuovo e originale. Ma la grandezza del Bauhaus non si limita solo ai grandi nomi che a esso sono associati e ai prodotti che sono stati realizzati e che ancora oggi sono esempi mirabili di stile, bensì anche alle idee che la scuola ha portato avanti, in termini di uguaglianza, di diritti, di libertà di pensiero, di creatività piena. O almeno queste erano le intenzioni iniziali del suo fondatore, che fecero sì che inizialmente gli studenti della scuola erano equamente divisi tra uomini e donne.

Susanne Radelhof ci racconta la parabola per cui le donne del Bauhaus, alcune davvero eccezionali per talento e versatilità, da protagoniste della scuola furono via via spinte ai suoi margini, relegate al laboratorio tessile, non riconosciute nelle loro capacità e in buona parte dimenticate dalla narrazione che la scuola ha fatto di sé stessa nel tempo.

Lo stesso Gropius, da posizioni molto progressiste, si spostò nel tempo verso posizioni più conservatrici, fors'anche perché preoccupato della sopravvivenza della scuola, molto legata ai finanziamenti esterni.

Certamente la storia di queste donne, da Alma Buscher a Marianne Brandt, da Gunta Stölzl a Friedl Dicker fino ad arrivare a Lucia Moholy, si inserisce all'interno della più complessiva storia del gender gap, che probabilmente nell'ambiente artistico - come in altri contesti particolari - è particolarmente accentuato. Attraverso interviste, immagini e fotografie, Susanne Radelhof ci ricorda le vite, le conquiste, i risultati e le difficoltà che hanno visto protagoniste queste donne, restituendo loro quella centralità che gli è stata a lungo negata in una storia scritta - come spesso accade - dagli uomini per gli uomini.

Voto: 4/5

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Kiss me before it blows up

Il film di Shirel Peleg, che tra l'altro è poi risultato vincitore della sezione Fiction del festival ed è ispirato in parte alla storia della regista, è una commedia divertente sulla storia d'amore tra una ragazza israeliana, Shira (Moran Rosenblatt), e una tedesca, Maria (Luise Wolfram). Quando Maria arriva in Israele per andare a vivere con Shira, il loro amore viene sottoposto a molteplici prove: Maria deve fare i conti innanzitutto con il passato da latin lover di Shira e le numerose ex che ricompaiono ad ogni piè sospinto, poi con la famiglia di Shira i cui componenti sono certamente peculiari e non mancano di mettere in imbarazzo la ragazza, e soprattutto con la nonna Berta, che rifiuta ostinatamente questa unione, per motivi che sono in parte personali e in parte legati alla ferita non sanata tra ebrei e tedeschi, nonostante il tempo trascorso e la diversità della situazione attuale.

Non c'è dubbio che il film sia in grado di affrontare temi importanti con un approccio leggero e divertito, che riesce a farci ridere di stereotipi e retaggi culturali duri a morire, cosicché al centro del racconto più che la storia lesbica c'è il tema del difficile incontro tra due culture con una storia come questa alle spalle e un presente non certamente facile.

Pur apprezzandolo in alcuni passaggi, il film mi è però sembrato un po' frammentato e in certi momenti quasi confuso; tra l'altro va detto che il tipo di comicità rappresentata è di quelle con cui faccio fatica a entrare in sintonia e che dunque difficilmente mi fa ridere. Certamente si tratta di un problema mio, visto che la platea se la rideva ampiamente. Cosicché, non avendo potuto interamente apprezzare l'aspetto migliore del film, cioè la sua componente ironica e a tratti sarcastica, quel che rimaneva mi è risultato troppo poco convincente.

Peccato!

Voto: 2,5/5



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