La presenza di Lunetta Savino - che avevo avuto modo recentemente di apprezzare nella sua interpretazione al cinema come protagonista del film Rosa - mi ha convinto ad andare a vedere questo spettacolo di Massimo Andrei che altrimenti non avrei forse selezionato.
La Savino, nei panni di Tina, è da sola su un palco in cui sinteticamente sono rappresentati gli ambienti della sua vita: il salotto di casa sua, lo studio del dottore, le scale che portano al suo appartamento, ma anche le strade che attraversa e alla fine il locale in cui si esibisce. Su tutto domina una struttura in acciaio molto grande a forma di DNA a cui sono appese numerose sveglie.
Tina è una donna giovane e piena di interessi e di passioni: le piace cantare e vorrebbe fare la showgirl, le piacciono i bambini, ama senza essere riamata un uomo conosciuto diversi anni prima. Tuttavia, a causa della sindrome di Werner, manifesta già i sintomi dell'invecchiamento precoce e la sua vita è destinata rapidamente a cambiare limitandola nei movimenti e più in generale nelle attività possibili.
Sul palco, la Savino risulta credibile nel rappresentare questo personaggio che è un mix indivisibile di comicità e malinconia: mediante l'uso del vernacolo napoletano e di alcuni detti tipici ci fa sorridere e ridere delle situazioni della vita quotidiana , ma - altrettanto bene - traspare nei suoi gesti, nel tono della sua voce e nelle parole, tutta la tristezza di chi si rende conto che ha ancora poco tempo e che deve sfruttare questo tempo per sistemare le cose e realizzare i sogni. Belli anche i dialoghi con gli altri personaggi invisibili ma che Lunetta Savino ci rende presenti e visibili attraverso i suoi occhi: la volontaria Maria, il piccolo Massimino, il dottore, la colf ucraina, la nipote.
Quella di Tina è una figura femminile volitiva e ricca di umanità che ci parla di cose normali, ma lo fa stando dentro una situazione più grande di lei e di fronte alla quale chiunque sarebbe spaurito; lei però riuscirà a essere artefice del suo destino fino alla fine.
Lo spettacolo di Massimo Andrei, regista e autore del testo, è gradevole e ben confezionato, anche se il suo reale valore aggiunto è l'interpretazione della Savino. Un'altra attrice con minori potenzialità avrebbe probabilmente reso più evidenti i limiti di un testo piuttosto didascalico e prevedibile, la cui semplicità sconfina talvolta nel semplicismo. Un po' tutto in questo spettacolo viene detto e spiegato (a partire dalla struttura a forma di DNA con le sveglie appese che fa parte della scenografia), lasciando ben poco all'immaginazione e all'autonoma riflessione dello spettatore, e l'intreccio narrativo (a partire dall'escamotage di fondo della malattia genetica rara che toglie il futuro e costringe a dare valore al tempo) risulta piuttosto prevedibile nonché poco originale.
Uno spettacolo dunque nel complesso gradevole, ma senza entusiasmi, nonostante la forte presenza scenica di Lunetta Savino.
Voto: 3/5
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