Come si dice negli ambienti colti e molto formali, mi corre l'obbligo di dichiarare fin da subito che sono andata a vedere lo spettacolo teatrale Misery, tratto dal romanzo di Stephen King, o meglio dall'adattamento per il cinema che ne ha fatto William Goldman e che è poi diventato il film di successo diretto da Rob Reiner, senza aver letto il romanzo né visto il film.
Conoscevo la storia del romanzo, tutta incentrata sul tema della scrittura come creazione, e di converso della scrittura come distruzione.
Il noto scrittore Paul Sheldon (qui interpretato dal regista Filippo Dini) ha un incidente in macchina durante una tempesta di neve; viene salvato e curato da Annie Wilkes (la sempre bravissima Arianna Scommegna), una donna che dice di essere la sua ammiratrice n. 1 e di aver letto tutti i suoi romanzi con protagonista l'eroina ottocentesca Misery, che Annie ama alla follia.
Inizialmente la situazione solletica l'ego dello scrittore, ma ben presto comincia a essere evidente che Annie è una donna disturbata, la cui ammirazione per Sheldon è quasi morbosa ed è, tra l'altro, strettamente legata al fatto che dallo scrittore dipende la sopravvivenza del mondo di Misery. Nella vita isolata e decisamente poco gratificante di Annie, un'emarginata rispetto alla società, l'universo di Misery costituisce una specie di vita alternativa, una forma di fuga ed evasione dalla realtà, da cui Annie è diventata ormai dipendente.
Così quando la donna scopre che il romanzo in uscita su Misery sarà l'ultimo della serie perché in esso la protagonista muore di parto, la sua follia si manifesta appieno nel tentativo di costringere lo scrittore - con le buone ma soprattutto con le cattive - a scrivere un romanzo nel quale Misery possa credibilmente tornare "a vivere".
Sheldon si trova così a essere prigioniero di questa donna folle che - soprattutto nei momenti di rabbia - lo sottopone a torture sempre più inaudite, innescando un perverso gioco vittima-carnefice, in cui anche Sheldon dovrà aguzzare l'ingegno per sopravvivere, fino al finale ribaltamento dei ruoli.
Non v'è dubbio sul fatto che la cosa più interessante della storia di Misery sia la riflessione sul ruolo dello scrittore e sul rapporto scrittore-lettore, rispetto al quale King in un certo senso preconizza processi sempre più evidenti nel mondo contemporaneo, che vedono il lettore protagonista attivo nel processo creativo dello scrittore, e spesso fonte - sebbene non riconosciuto e non bene accetto - delle ispirazioni o degli sviluppi narrativi migliori.
Non avendo né visto il film né letto il romanzo, non sono in grado di fare dei confronti e di dire quanto di personale ci sia nella reinterpretazione di Misery fatta da Filippo Dini e da Arianna Scommegna. Certamente ho notato in questa messa in scena la scelta di una vena ironica che attraversa entrambi i personaggi, pur all'interno di una narrazione decisamente drammatica. Il pubblico ride e/o sorride a più riprese delle situazioni e delle reazioni rappresentate sul palco, e nonostante qualche rischio di sconfinare in macchietta, soprattutto per il personaggio interpretato da Dini, mi pare che nel complesso i diversi registri riescano a mantenersi in equilibrio.
Molto bella la scenografia di Laura Benzi, che vede una struttura montata su un piedistallo rotante e suddivisa sostanzialmente in tre spicchi: in uno c'è la stanza da letto in cui si trova Sheldon, in un altro la cucina della casa di Annie, e queste due stanze divise da un corridoio che si conclude nel terzo spicchio, cioè la facciata esterna della casa della donna. La struttura si muove sia durante gli stacchi bui tra una scena e l'altra, ma anche durante l'azione mostrando il movimento dei personaggi all'interno della casa.
Nel complesso uno spettacolo riuscito. A questo punto mi tocca almeno leggere il romanzo.
Voto: 3,5/5
mercoledì 4 dicembre 2019
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