Su stimolo di F., mi faccio incuriosire da questo violinista libanese di origine armena che si esibisce a Roma, all'Auditorium, nell'ambito del suo World Garage Tour.
Sul palco - allestito con grande cura e con un sapiente gioco di luci - si esibisce una band composta di sette persone, oltre a Malikian, per un totale di nove strumenti: un pianoforte, un basso e un contrabbasso suonati dallo stesso musicista, un altro violino, una viola, un violoncello, una chitarra e una batteria. Al centro di questo consesso musicale il violino di Malikian, strumento che il musicista domina in tutte le sue manifestazioni e che suona in modo molto fisico, saltando e ballando a ritmo di musica.
Del resto Malikian non ha certo l'aspetto del violinista classico, ma più quello del musicista di strada, e il suo repertorio spazia dalla musica classica alla musica popolare, dal jazz al rock fino ad arrivare al reggae e alla musica per il cinema. I pezzi in scaletta sono in parte sue composizioni originali, in parte esecuzioni di brani classici o rivisitazioni al violino di brani di altri musicisti e di diversa provenienza.
E in questo universo musicale variegato Malikian si muove sempre con disinvoltura e padronanza di sé, trovando in qualche modo un fil rouge che unisce tutti questi mondi così lontani l'uno dall'altro.
Scopriamo presto che il successo di Malikian non è soltanto legato al suo virtuosismo musicale, ma anche alle sue doti di affabulatore. Dopo i primi brani, il musicista si rivolge direttamente al pubblico nel suo italiano un po' spagnoleggiante, ma comprensibilissimo e a suo modo affascinante, e comincia a raccontare aneddoti sulla sua vita e sulle circostanze in cui sono nate alcune canzoni.
Gli aneddoti sono a tratti esilaranti: ad esempio quello del suo trasferimento in Germania e di come finì a suonare per i matrimoni senza capire nulla di quello che i tedeschi gli dicevano ma rispondendo solo di sì, o ancora quello della sua esperienza con un gruppo musicale norvegese nel quale suonava vestito da castoro.
A un certo punto ci si chiede se le storie incredibili che racconta siano vere o comunque quanto ci sia di vero in queste vicende, ma il modo di raccontare è talmente piacevole, ironico e autoironico che è evidente che il pubblico starebbe ad ascoltarlo per ore e certo non sta lì a chiedersi se quello che ascolta corrisponde alla pura verità storica.
È piacevole anche il modo in cui il violinista interagisce sul palco con i suoi musicisti e in generale si ha l'impressione che l'esecuzione musicale sia fonte di divertimento per tutti.
Nel complesso lo spettacolo è perfetto in ogni sua componente, ed è difficile dire quanto ci sia di spontaneo e quanto invece sia il frutto di una programmazione e una costruzione molto attenta e minuziosa. La stessa cosa è inevitabile chiedersela in merito alla presunta spontaneità di Malikian, che probabilmente è almeno in parte studiata a tavolino, sebbene in fin dei conti molto efficace.
Personalmente, questo mix di generi musicali, questo stile diciamo fusion, non è qualcosa che rientra perfettamente nelle mie corde, forse perché risulta da un lato destabilizzante, dall'altro un po' piacione nell'accontentare praticamente tutti i palati.
Scherzosamente e forse in modo un po' indelicato, all'uscita ho detto che a tratti il concerto mi ha fatto pensare ai Rondò veneziano. Sicuramente da parte mia è un giudizio superficiale e decisamente ingiusto, ma è un po' l'effetto che questo tipo di scelta musicale produce su di me.
E comunque, nonostante questo, Malikian mi ha tenuta sveglia e attiva per oltre due ore di concerto e chiacchiere, e questo mi pare già uno straordinario risultato.
Voto: 3/5
lunedì 16 dicembre 2019
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