sabato 24 ottobre 2015

Mistress America

Noah Baumbach, il regista di Frances Ha, torna al cinema con un nuovo film (presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma), che pur non avendo ufficialmente niente a che fare con il precedente, ne è in qualche modo l'ideale continuazione.

Stessa ambientazione, stessa protagonista, stesso contesto divertente e stralunato. Ma... qualche anno dopo.

Affidandosi ancora una volta alla sua attrice feticcio, Greta Gerwig (qui anche sceneggiatrice del film), Baumbach porta sullo schermo una giovane donna, Brooke, piena di vitalità e di charme, mondana e attiva come si conviene alla frenetica New York, ma che a trent'anni vive ancora in una perenne fase di transizione verso la realizzazione di qualcosa che non si realizza mai.

Dopo la visione di questo secondo film sempre di più penso a Baumbach come a un Woody Allen del terzo millennio, che per fortuna non si mette davanti alla macchina da presa, sebbene di fatto utilizzi allo scopo il suo alter ego femminile Greta Gerwig, e che ci racconta storie tutto sommato piccole e di persone piccole, ma lo fa con dialoghi brillanti e strampalati, acuti e surreali, dialoghi a volte banali, a volte capaci di rivelare - con una semplicità imbarazzante - grandi verità della vita.

Mistress America è il nome della supereroina in cui si trasforma di notte la protagonista del racconto che la giovane matricola Tracy (Lola Kirke) scrive per poter entrare nella Società letteraria del College e per il quale trova ispirazione proprio dopo aver incontrato Brooke.

Tracy si è da poco trasferita nella Grande Mela e non riesce a integrarsi nell'ambiente del college né a sfruttare le potenzialità di una città come New York, almeno fino a quando non conosce Brooke, sua futura sorellastra. Brooke la introduce alla frenesia della città con le sue mille possibilità, affascinandola con i suoi folli progetti e trascinandola nella sua vita scoppiettante, ma inconcludente.

Quest'amicizia non solo darà a Tracy l'ispirazione alla scrittura, ma la costringerà a confrontarsi con la verità - in buona parte triste - che sta dietro il sogno di una donna libera, moderna, piena di interessi e di fascino, ma perennemente incompiuta.

A tre anni dall'uscita americana di Frances Ha (era il 2012, anche se in Italia il film è uscito solo l'anno scorso), Noah Baumbach sembra volerci dire che quella ventisettenne alla ricerca di se stessa è ancora sulla soglia della realizzazione dei propri sogni e si ostina a non guardare in faccia la realtà. Figli del carpe diem, del mordere la vita, della socialità e della radicalità delle scelte, brillanti e anticonformisti, i trentenni come Brooke faticano a dismettere il filtro adolescenziale che portano sugli occhi, e appaiono paradossalmente molto più adolescenti della diciannovenne Tracy, più disincantata e - seppure sociopatica - più in contatto con il mondo reale e alla fine anche con se stessa.

Nel frattempo si ride, si sorride, si pensa, si apprezza l'arguzia e l'intelligenza che il meglio di questa generazione ci regala, ma al contempo si compatisce la totale astrazione che la caratterizza. Come andrà avanti questa saga?

Voto: 3,5/5

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