Rieccomi, dopo una breve pausa di riflessione, un momento di paralisi e smarrimento inevitabile quando si sta per affrontare un cambiamento.
Ieri, però, in uno slancio di superamento dell'inerzia che mi teneva dentro casa a riflettere sul mio futuro, ho scelto il cinema per ritrovare il senso di una continuità attraverso qualcosa che mi appartiene.
E forse ho anche scelto il film giusto, visto che Il concerto mi assomiglia nell'essere un film decisamente post-moderno, ossia un film che ha molteplici registri e identità, che rappresenta un mondo svuotato di qualunque ideologia e che non riesce più a credere in alcun ideale politico, sociale e religioso.
La decadenza umana e sociale della Russia post-sovietica, ma anche del presunto Occidente civilizzato, è soltanto il punto di partenza di una satira spietata e a 360° su una società contemporanea popolata di una umanità piccola, opportunista, meschina, volgare, traffichina, a volte squallida, e che proprio per questo risulta tragicamente ridicola, ma anche a tratti poetica. Dal mafioso russo all'ebreo mercante, al decaduto funzionario del partito comunista sovietico, allo zingaro con il suo ingombrante seguito familiare, all'intellettuale alcolizzato, tutti appaiono privi di punti di riferimento, impegnati a sopravvivere più che a vivere, eppure ancora dotati di scintille di straordinaria umanità.
Quella di Radu Mihaileanu è una babele di umanità di risulta, da cui si stacca solo la luce e la purezza della bellissima Anne-Marie (Mélanie Laurent), simbolo della suprema armonia della musica. Perché, come dice il protagonista, il decaduto direttore d'orchestra Andreï Filipov (Aleksei Guskov), il vero comunismo sta in quei momenti in cui, come durante un'esecuzione musicale, questa massa informe di umanità si fa miracolosamente armonia, al punto da far credere che esista qualcuno lassù. Ma sono solo momenti di grazia.
Il quarto d'ora finale del film in cui, durante la magistrale esecuzione del Concerto per Violino e Orchestra di Tchaikovsky, si svela il segreto di Anne-Marie e la disarmonia trova composizione, è costruito per strappare lacrime e applauso, ma non è necessariamente la cosa migliore del film. Mi è tornato in mente a questo proposito il film Quattro minuti, che pure si concludeva con una straordinaria interpretazione musicale e, in qualche modo, affrontava temi vicini, seppure in modo diverso.
La storia de Il concerto è in parte prevedibile, il doppiaggio italiano è fastidioso ai limiti della sopportabilità (questo è uno dei film che non andrebbero assolutamente doppiati), i vicini di poltrona con i loro commenti vuoti e idioti ad alta voce non hanno certo contribuito a produrre ottimismo e a mettere in discussione la decadenza della nostra presunta civiltà.
E, però, il film si libra leggero sulle note di Tchaikovsky, trasmettendo la vita e la bellezza che riescono a superare anche il quotidiano, umano, squallore.
Non ho visto Train de vie, il precedente film di Mihaileanu; mi dicono che fosse superiore. Certo è che il regista romeno è dotato di uno sguardo corrosivamente ironico, capace di smontare dall'interno la nostra idea di civiltà per suggerirci una strada nuova, più individuale, alla ricerca di un alternativo tessuto di socialità che rimpiazzi quello del passato.
Non credete a chi vi dice che Il concerto è un film sugli ebrei e sulle persecuzioni di cui furono oggetto sotto il regime comunista sovietico. Il concerto è un film sull'oggi di un'Europa disomogenea e alla ricerca di difficili nuovi equilibri. E tutto questo ce lo dice evitando di cadere nella trappola del sentimentalismo grazie a quell'arma straordinaria che è l'ironia.
Grazie, Radu.
Voto: 4/5
lunedì 15 febbraio 2010
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