È in corso dal 16 febbraio al 13 giugno 2010 alla Fondazione Roma Museo di via del Corso la mostra dedicata a Edward Hopper, il grande maestro americano noto per le sue rappresentazioni delle città e di momenti di vita quotidiana della middle class americana e particolarmente apprezzato per il suo uso della luce.
La mostra, però, più che la produzione più conosciuta ci rivela un Hopper in qualche modo inedito, illustrandoci sia il suo percorso artistico, sia alcune sfaccettature meno note della sua personalità artistica.
Riguardo a questo secondo aspetto, conosciamo così la vena autoritrattistica di Hopper che lo ha accompagnato per tutta la vita, le sue doti di illustratore e grafico, le sue qualità di incisore di acqueforti, il suo rapporto con l'erotismo nella rappresentazione dei nudi femminili, tra i quali spicca un eccezionale acquerello dal titolo Reclining nude.
Parallelamente, veniamo a conoscenza della varietà delle tecniche usate (olio su tela, acquerello, incisioni, disegni, etc.) e del suo metodo di lavoro fatto di schizzi e appunti su un taccuino, di numerosi studi a matita e a penna con appunti su luce e colori.
Infine, la mostra ci consente di capire che Hopper non è sempre stato il pittore della luce e degli interni borghesi. Impressiona constatare che la prima fase della sua opera fosse scura e senza colori (tutta in scala di grigi).
È interessante verificare che la scoperta della luce risale sostanzialmente al periodo parigino. Così come è affascinante scoprire che la vera passione di Hopper non sono poi così tanto le persone in sé, ma il loro rapporto con l'architettura, con i paesaggi, con le città.
Personalmente, mi ha colpito l'occhio fotografico e cinematografico che i lavori di Hopper mettono in evidenza e la capacità del pittore di combinare felicemente una vena antica e quasi nostalgica con una sorprendente modernità.
Una nota di merito per l'allestimento che, oltre ad alcune soluzioni più convenzionali (video di presentazione all'ingresso e supporto di audioguide), fa un piccolo sforzo di interattività, offrendo ai visitatori la possibilità di farsi fotografare in un quadro (tridimensionale) di Hopper a dimensione naturale o di disegnare alla maniera di Hopper su fogli di carta su cui vengono proiettati alcuni suoi famosi dipinti, o ancora di sfogliare le pagine del suo taccuino digitalizzato.
Insomma, proprio una bella mostra che non mi ha fatto rimpiangere di averla preferita, in questo sabato di febbraio, alla più gettonata mostra su Caravaggio alle Scuderie del Quirinale, presa ovviamente d'assalto.
Voto: 4,5/5
domenica 21 febbraio 2010
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L'occhio fotografico ben si accompagna a dipinti in scala di grigio, Anna non credi? Visto che è nella fotografia che il sommo artificio del bianco e nero ha trovato il suo "luogo" al punto di apparirci "naturale", mentre nulla di più innaturale c'è che la totale assenza di colore.
RispondiEliminaciao
Carlo
Assolutamente d'accordo... Addirittura la fotografia ha elevato il bianco e nero a rappresentazione dell'essenzialità del reale, in qualche modo mettendo in guardia dalla falsità del colore.
RispondiEliminaForse Hopper in quel periodo era molto influenzato dall'arte fotografica e cinematografica. Non ne so a sufficienza per dirlo, ma così almeno sembra...