domenica 1 febbraio 2009

Dubbi a confronto


A distanza di pochi giorni dalla visione dell’opera teatrale sono andata a vedere anche la versione cinematografica de “Il dubbio”, scritto e diretto dallo stesso John Patrick Shanley, autore del testo teatrale. Ciò non è senza significato perché vuol dire che la stessa persona ha tradotto nel linguaggio cinematografico l’essenza vera del testo teatrale e non c’è il rischio di intepretazioni altre o che escano fuori dai confini del testo originale. Va detto che la sceneggiatura è assolutamente fedele al testo teatrale, con cambiamenti minimali imposti dalle caratteristiche del cinema.

Come l’opera teatrale, il film ha la grandezza propria delle storie che non danno risposte e che proprio per questo ti lavorano dentro.

Sul piano dei contenuti le considerazioni non possono che essere simili a quelle fatte a conclusione dello spettacolo teatrale, ossia il fortissimo valore simbolico di questo testo che fa comprendere con le parole e con la storia quanto l’insicurezza, il dubbio e l’incertezza siano condizioni striscianti, talvolta sganciate dalla realtà o innescate da convincimenti e fragilità personali o situazioni esterne che risvegliano le proprie angosce interiori. Come dice padre Flynn nel primo sermone, il dubbio è un vincolo altrettanto potente che la certezza e proprio per questo può essere utilizzato per scopi più o meno nobili. E nel secondo sermone bellissima l’immagine del cuscino e delle piume, che mostra come i germi dell’insicurezza possano raggiungere chiunque se aiutati dal vento. E lo spettatore alla fine del film si accorge di essere diventato parte del gioco, quel dubbio si è impossessato di lui rendendolo altrettanto insicuro, perché tutte le interpretazioni sono plausibili e la risposta è solo in quello che ciascuno vuole credere.

Proviamo a leggere tutto questo applicato all’America – o forse all’intero mondo occidentale – all’indomani dell’11 settembre, proviamo a pensare a tutto quello che è successo, ai processi che si sono innescati… e ognuno tiri le sue conclusioni.

Sul piano stilistico, va ovviamente data per scontata la maggiore ricchezza e le potenzialità espressive su cui può contare il cinema e gli stessi attori che possono sfruttare minimi movimenti degli occhi e impercettibili espressioni del viso per comunicare… A teatro solo la potenza della recitazione è lo strumento su cui gli attori possono poggiare.

Questo spiega forse perché lo spettacolo teatrale l’ho avvertito oscillante tra drammaticità e caricaturalità, mentre il film riesce a mantenere un piano comunicativo intermedio. Suor Aloysius (Meryl Streep) ha la potenza simbolica della certezza quasi respingente, ma riesce a mantenere il realismo di un personaggio la cui ironia si fa complementare all’inflessibilità: Suor James (Amy Adams) non è una macchietta poco credibile come a teatro, ma una suora molto ingenua, ma credibile, che si fa strumento del dubbio. Padre Flynn (Philip Seymour Hoffman) è meno tormentato che nell’interpretazione di Accorsi, ma nella sua apparente calma forse più inquietante.

Che dire? Ottima occasione per un confronto tra due arti così vicine eppure così lontane…


Voto: 3,5/5

1 commento:

  1. Comunque, le musiche in questo caso non erano quelle di Bob Dylan come a teatro, il che mi fa pensare che non erano nel testo originale, ma una scelta del regista teatrale...

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