mercoledì 1 ottobre 2025

Da Venezia a Roma. Parte 2: A house of dynamite; Father, mother, sister, brother; A pied d’oeuvre;

Per la prima parte delle recensioni vedi qui.

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A house of dynamite

Kathryn Bigelow mancava all’appuntamento con il cinema da diversi anni e, almeno per quanto mi riguarda, Detroit mi era passato praticamente inosservato, mentre avevo visto e apprezzato The hurt locker e Zero Dark Thirty.

Con A house of dynamite la regista statunitense torna alle atmosfere proprio di quei film, raccontando con grandissima perizia registica e appoggiandosi a una sceneggiatura di tutto rispetto, un inizio di giornata nel quale gli Stati Uniti si accorgono che un missile – forse nucleare – partito dal Pacifico sta sorvolando il territorio statunitense e la sua traiettoria punta su Chicago.

Il pochissimo tempo che passa tra i minuti prima di questa scoperta e la durata del volo del missile è raccontato più volte, in una struttura narrativa ciclica e ricorsiva, dal punto di vista di diversi protagonisti che ruotano intorno alla Casa Bianca e agli apparati di sicurezza degli Stati Uniti.

Il ritmo è adrenalinico, sia nel tentativo di abbattere il missile mediante altri missili inviati da terra, sia nel processo decisionale che si muove intorno a questo evento e che coinvolge numerose persone, ma che alla fine converge su colui a cui spetta l’ultima parola, il Presidente, investito della scelta di contrattaccare senza avere la certezza che effettivamente l’evento sia un attacco né chi lo stia sferrando, o di attendere esponendosi all’opinione pubblica e alle conseguenze a livello globale dopo il disastro dell’impatto.

Non è la fine della storia che interessa alla Bigelow, ma – come le poche scritte all’inizio del film ci ricordano – la situazione di incertezza mondiale in cui il mondo intero è ricaduto quando la scelta di abbandonare i programmi atomici per un mondo più sicuro è stata messa da parte e il mondo è tornato a essere una “casa piena di dinamite”, pronta a esplodere in qualunque momento e non necessariamente per ragioni sensate.

Si esce col fiato corto dal film della Bigelow, con la testa piena di domande e il cuore pieno di paure, soprattutto perché sappiamo che in questo momento in molte parti del mondo molti dei leader che devono prendere le decisioni di fronte a situazioni di potenziale pericolo sono persone irresponsabili e prive di quella statura umana e morale che, tanto più in un momento delicato come questo, sarebbe necessaria.

Un film intrinsecamente e profondamente americano, che non piacerà a chi non ama questo stile, ma che dal mio punto di vista coglie nel segno, anche nella scelta del linguaggio.

Voto: 3,5/5



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Father, mother, sister, brother

Tre luoghi: il New Jersey, Dublino e Parigi. Tre famiglie: due figli (Adam Driver e Mayim Bialik) che vanno a trovare il padre (Tom Waits) il quale abita in una casa isolata che si affaccia su un laghetto tra i boschi; due figlie (Cate Blanchett e Vicky Krieps) che si ritrovano una volta all’anno per il te pomeridiano alla casa della madre (Charlotte Rampling); una sorella e un fratello gemelli (Indya Moore e Luka Sabbat) che, dopo la morte dei genitori, tornano insieme nella casa che avevano abitato insieme a loro e che nel frattempo è stata svuotata.

L’ultimo film di Jim Jarmusch, che ha vinto il Leone d’oro all’ultimo festival del cinema di Venezia, è strutturato dunque in tre episodi, in cui ci sono alcuni elementi che ricorrono (uno su tutti, la presenza di skaters che a un certo punto attraversano le strade percorse dai protagonisti, ma anche i brindisi con l’acqua, i colori degli abiti e altri dettagli), ma che sono narrativamente indipendenti l’uno dall’altro, sebbene con un tema di fondo comune: la famiglia, o – per essere più precisi – la negazione del luogo comune che i tuoi familiari sono quelli che ti conoscono meglio di tutti.

Perché la verità – sembra dirci Jarmusch, e io sono d’accordo con lui – è che in nessun contesto più che nella famiglia i rapporti tra le persone sono falsati dalle aspettative, dal pregiudizio, dall’immagine che ciascuno si è costruito dell’altro e che è difficile smontare senza mettere in discussione equilibri già fragili.

E tutto questo Jarmusch ce lo racconta con pennellate leggere, com’è nel suo stile, attraverso dialoghi il cui obiettivo non è quello di farci conoscere i dettagli, di spiegare, bensì solo di farci intuire, pensare, sorridere, sviluppare una forma di empatia.

Un film in sordina, dunque, che non so se è all’altezza del Leone d’oro, ma che merita di essere visto.

Voto: 3,5/5




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A pied d’oeuvre

Tratto dall’omonimo romanzo di Franck Courtès, il nuovo film di Valérie Donzelli, regista francese che ha già molti film all’attivo anche se personalmente non ne ho visti tanti, racconta la storia di Paul (il bravissimo Bastien Bouillon), ex fotografo di successo, con ex moglie e due figli, che ha deciso di abbandonare la professione di fotografo per fare lo scrittore e ha già pubblicato alcuni libri.

Pur ben accolti dalla critica, i libri però non gli garantiscono un introito sufficiente per una vita dignitosa; così Paul si iscrive su una piattaforma in cui domanda di lavoro e offerta si incontrano sul principio di chi offre di meno per svolgere il medesimo compito.

Paul si ritrova così a fare tanti lavoretti (smontare un soppalco, fare giardinaggio, svuotare una cantina, accompagnare in macchina qualcuno all’aeroporto), spesso faticosi fisicamente, ma che comunque non gli danno il sostentamento sufficiente e lo conducono sulla china della povertà, circondato da parenti e amici che non capiscono le sue scelte e non le condividono.

Nonostante tutto, e forse dopo aver toccato il fondo, riuscirà a scrivere un nuovo romanzo, A pied d’oeuvre appunto, che lo riporterà alla ribalta, ma nella consapevolezza ormai acquisita che nel mondo odierno non si vive di scrittura e forse non si vive nemmeno dei lavoretti che la società postcapitalista lascia cadere come briciole dalla sua tavola a vantaggio di un branco di cani affamati.

C’è una componente parzialmente consolatoria nella parte finale del film, che è quella che mi ha fatto scendere anche una lacrimuccia ma che forse ho anche trovato la parte meno appropriata.

Nondimeno il film di Valérie Donzelli (e il libro da cui è tratto) affronta con precisione e grazia il tema del lavoro nella società contemporanea, le storture di un sistema in cui – come dice il protagonista – il padrone non deve più preoccuparsi degli operai, perché ci sono molti altri meccanismi, ben più anonimi, che tengono questi ultimi in posizione di minorità e inferiorità. E così, il lavoro creativo torna a essere un lusso che, come in altre epoche storiche, solo pochissimi possono permettersi, a meno di non essere disponibili a un calvario come quello del protagonista di questo film.

Bravi i francesi che sanno ancora raccontare la nostra società in questo modo così brillante e chirurgico al contempo.

Voto: 3,5/5



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No other choice

Non sono una cultrice di Park Chan-Wook fin dalle origini, e ho perso alcuni dei suoi capolavori, quelli che hanno segnato un’epoca e l’inizio di un vero e proprio genere.

Da quando, dunque, lo seguo, mi sono trovata di fronte a versioni del suo cinema molto diverse le une dalle altre, da Mademoiselle a Decision to leave (quest’ultimo per me molto bello), e ora a questo No other choice, con cui si torna ai canoni del suo cinema più proprio.

Man-su (Byung-Hun Lee), il protagonista di questo racconto, ha una bella casa (la sua d’infanzia che ha riacquistato e ristrutturato), una moglie bella e fedele, un figliastro adolescente, una figlia più piccola con un talento per il violoncello, due labrador, e soprattutto un lavoro di caporeparto in un’azienda che produce carta, lavoro che ama molto e in cui ha raggiunto livelli di specializzazione elevati.

Tutto questo crolla in un sol colpo quando Man-su viene licenziato e la ricerca di un nuovo lavoro che possa valorizzare la sua specializzazione si rivela ben più difficile di quello che immagina.

Di fronte al rischio di vendere la casa e di perdere i suoi affetti, Man-su decide di giocarsi il tutto per tutto, eliminando a uno a uno i suoi più diretti concorrenti nella competizione per il nuovo lavoro.

No other choice è tratto dal libro The ax di Donald E. Westlake del 1997, quindi un romanzo che – soprattutto in riferimento al mondo del lavoro che è quello su cui si focalizza – si potrebbe considerare ormai datato e che però Park Chan-Wook riesce a mantenere in bilico tra temi universali e senza tempo e affondi nel presente della società sudcoreana e più in generale del mondo occidentale.

Ovviamente lo fa a suo modo, scegliendo il linguaggio del grottesco, del pulp, dell’ironia, del nonsense, dell’accumulazione, il che produce un film a tratti strabordante, che ci rimanda indietro un mondo che in parte ci appare un po’ estraneo, ma che per altri versi ci restituisce – sebbene esasperati – i tratti della nostra realtà e della nostra contemporaneità.

Non esattamente il mio genere di film, ma un film che non passa e non passerà inosservato.

Voto: 3,5/5




5 commenti:

  1. Accipicchia hai dato a tutti lo stesso voto, wow!
    Sono interessata tra questi al film di Valerie Donzelli e quest'ultimo del buon regista coreano.
    Ma da Venezia la mia attesa è per Silent friend.

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    1. Livello alto dal mio punto di vista!!! Anche io aspetto Silent friend! Non l'hanno fatto in anteprima purtroppo!!

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  2. Questi invece li ho visti tutti! E anch'io ho dato a tutti lo stesso voto (alto) :D
    Notevole quello della Bigelow, che sconta (purtroppo) un pregiudizio politico e anti-americano, ma il film è una bomba (in tutti i sensi). Il film della Donzelli invece è una lucidissima analisi sul precariato e sull'insicurezza dei nostri tempi, senza un filo di retorica. Il nuovo Jarmusch è un gioiellino: solite trame minimali ma al loro interno c'è davvero tanto da riflettere. E poi il grande Park Chan-wook, il più grande di tutti: un dramma moderno in salsa pulp, un rischio enorme ma incredibilmente riuscito. A Venezia applausi a scena aperta... avrebbe meritato ogni premio possibile!

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    1. Avevo letto le tue recensioni!!! Quindi ero arrivata preparata! :-)

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