lunedì 26 maggio 2025

Queer

Non conoscevo il racconto di William S. Borroughs da cui è tratto l’ultimo film di Luca Guadagnino, né ho mai letto nulla in generale di questo acclamato scrittore, quindi certamente non sono in grado di comprendere a pieno la relazione tra il film e il racconto e quanto delle caratteristiche del film dipendano dalla scrittura e dalla narrazione di Borroughs e quanto dalle scelte di regista e sceneggiatore.

Ma un film va valutato per quello che è, indipendentemente dal testo al quale si ispira. E dunque mi limiterò appunto a fare qualche considerazione su quello che ho visto.

Non c’è dubbio sul fatto che Guadagnino dimostri con questo film di essere non solo un regista prolifico, ma anche fortemente eclettico, se si pensa che negli ultimi anni ha realizzato pellicole profondamente diverse, da Bones and all a Challengers fino ad arrivare appunto a Queer, film che non sembrano prodotti dalla stessa mano.

In quest’ultimo film – siamo negli anni Cinquanta - protagonista è un americano, William Lee (molto ben interpretato da Daniel Craig), che vive in Messico, forse perché – in quanto dipendente da alcol e droghe di vario tipo – ha scelto di andar via dal suo paese. William conduce la sua vita passando da un bar all’altro della città, alla ricerca di giovani uomini da portarsi a letto. Un giorno incontra Eugene Allerton (Drew Starkey), un giovane delicato e di bella presenza, con cui inizia prima un gioco di sguardi, poi un’amicizia, poi forse qualcosa in più, anche se non è mai chiaro se Eugene sia o no gay, in quanto il suo atteggiamento è spesso ambiguo e sfuggente.

Per William, Eugene diviene una vera e propria ossessione, e riuscirà a convincere il ragazzo a seguirlo in un viaggio in Sudamerica alla ricerca di una pianta, lo yage, che ha letto essere utilizzato negli esperimenti di telepatia, forse sperando che la condivisione di questa esperienza faccia evolvere il loro rapporto in qualcosa di più importante.

Una storia già di per sé narrativamente piuttosto fantasiosa viene trattata dal regista in maniera quasi fiabesca, a partire dalle scelte di ambientazione e di scenografia – prevalentemente realizzate in studio e palesemente poco realistiche a livello di luci e atmosfere – passando per la scelta delle musiche – una colonna sonora tutta fatta di musiche contemporanee per una storia ambientata negli anni Cinquanta – fino ad arrivare alla forte componente onirica e psichedelica.

Si sarà forse già inteso che personalmente non ho molto apprezzato questa versione di Guadagnino, un po’ radical chic e un po’ pretenziosa, che dal punto di vista visivo risulta certamente affascinante, ma anche fastidiosamente estetizzante e quasi nonsense (in un modo che a tratti ho trovato quasi Sorrentiniano), e dal punto di vista narrativo, se da un lato riesce a comunicarci con forza il senso di solitudine, di ossessione, di infelicità senza vie di uscite del protagonista, dall’altro attinge a un immaginario e a un punto di vista gay che finisce per essere stereotipato, e pure questo un po’ fastidioso.

Se – come diversi amici mi hanno detto e io stessa ho fatto – bisogna andare a leggersi delle cose al di là del film per poterne capire e apprezzare alcune scelte, allora forse il film non si può dire perfettamente riuscito nelle sue intenzioni.

Ciò detto, la personale delusione non mi impedirà di catapultarmi al cinema la prossima volta che uscirà un nuovo film di Guadagnino.

Voto: 2,5/5


2 commenti:

  1. A detta di Guadagnino, è il suo film della vita, quello più intimo e personale. A me è parso che si sia lasciato prendere dall' "ansia da prestazione": d'accordo che il romanzo di Burroghs è praticamente impossibile da trasporre al cinema, ma qui è la noia a farla da padrone... almeno per quanto riguarda la prima parte. La seconda è anche peggio: le scene girate in Amazzonia sembrano la parodia di Indiana Jones. Credo che l regista siciliano farebbe meglio a fermarsi un attimo e riordinare le idee

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    1. Io non sono proprio riuscita a entrare in sintonia con questo film e l'ho trovato molto finto. Per me un'occasione mancata

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