Il monologo di Paola Minaccioni è un purissimo esempio di stand-up comedy all'italiana, scritto da Gabriele Di Luca che ne ha curato la regia insieme al suo compare di Carrozzeria Orfeo Massimiliano Setti.
Durante questa ora di monologo e di varia interazione con il pubblico Paola Minaccioni riversa in parole e gesti i sentimenti di una cinquantenne (due anni fa, come dice lei ogni volta) alle prese con la menopausa, la mancanza di una relazione stabile, il rapporto con gli uomini, l'assenza dei figli, il modo di vedere le altre donne, gli anziani - compresa sua madre -, la società contemporanea e le sue storture.
Nel complesso dunque niente di nuovo, nulla che non sia già stato detto o che non sia stato oggetto di battute di ogni genere. E questo è quanto alcune mie amiche che hanno visto lo spettacolo rimproverano al testo, considerandolo già visto e aspettandosi di più.
Io non mi aspettavo niente e devo ammettere che mi sono proprio lasciata andare al flusso inarrestabile delle parole della Minaccioni, alla sua verve e allo stile del tutto politicamente scorretto del testo, che non risparmia nessuna categoria di persone e nessun tema, "prendendosela" a più riprese persino con il pubblico. La protagonista ne esce come una stronza contraddittoria e insensibile che in alcuni momenti ci fa quasi accapponare la pelle dalla vergogna per quello che dice, ma in realtà dice tutte cose che almeno una volta nella vita è capitato anche a noi di pensare e voler dire ma ci siamo contenuti, magari vergognandocene.
Alla fine il punto di forza dello spettacolo sta proprio nella forza liberatoria della risata, ossia la possibilità di ridere di cose terribili e socialmente del tutto inaccettabili che però ci attraversano e con cui dobbiamo fare i conti.
Io ho riso molto. Altre persone che erano con me poco, altre ancora per niente.
A conferma del fatto che mentre piangiamo tutti per le stesse cose, non ridiamo tutti delle stesse cose, e la comicità è qualcosa di estremamente soggettivo. In questo spettacolo io rido piuttosto continuativamente e rifletto su cosa non mi fa ridere e perché, intorno a me, c'è chi a malapena sorride, chi si irrigidisce, chi si annoia, qui è quasi indifferente.
Del resto io stessa non saprei dire esattamente cosa mi fa ridere e cosa no: mi facevano molto ridere i testi di Mattia Torre, ma in maniera meno liberatoria e decisamente più malinconica e umbratile (vedi la differenza tra questo testo e lo spettacolo Perfetta scritto da Torre e interpretato da Geppi Cucciari).
Di questo spettacolo apprezzo il coraggio di non autocensurarsi su niente, di non cedere in alcun modo al politicamente corretto, di non preoccuparsi di risultare fastidioso, sebbene io debba registrare ancora una volta (e valeva anche per Perfetta) che un testo che ha come protagonista una donna e il suo universo sia stato scritto da un uomo. Non che non sia possibile - attenzione! - come è possibile il contrario, ma mi pare che in questa direzione accada più spesso, e forse dobbiamo chiederci perché.
Voto: 3,5/5
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