Personalmente vedo anche delle forme di continuità tra i due film, in particolare per l'ambientazione catalana, sempre curatissima e fortemente sentimentale, la dimensione temporale - anche in questo caso concentrata nello spazio di un'estate -, la focalizzazione sulle dinamiche familiari e il modo splendido con cui vengono rappresentati e fatti recitare i bambini. Dall'altro lato è vero che con Alcarràs lo sguardo della Simòn si amplia, innanzitutto perché l'oggetto del racconto è una famiglia allargata in cui convivono tre generazioni (i nonni, i genitori e i figli), in secondo luogo perché la narrazione della loro vicenda diventa occasione per parlare di tematiche sociali ed economiche che vanno ben al di là della famiglia protagonista.
La famiglia Solè si ritrova come ogni estate nella casa di campagna, in una valle ai piedi delle colline, dove li attende il raccolto delle pesche. Queste terre sono state date al nonno Rogelio dai proprietari terrieri, i Puyol, dopo la guerra civile, ma poiché non esiste documentazione che certifichi il passaggio di proprietà, il giovane Puyol ha deciso di rendere più redditizia questa terra facendo installare pannelli solari e offrendo anche Quimet e a suo fratello (i figli di Rogelio) un lavoro come installatori e manutentori.
Quimet però ha un legame profondamente identitario con questa terra e non vuole rinunciare al suo essere coltivatore. Di fronte all'impossibilità di opporsi alla volontà del proprietario, ai Solè viene concesso di completare l'ultimo raccolto di pesche prima che le ruspe abbattano il frutteto.
Tutti - e ciascuno di loro individualmente - devono fare i conti con un futuro che non sarà più lo stesso: il vecchio Rogelio si fa sempre più silenzioso mentre vede tutte le certezze del suo mondo crollare, Quimet alterna momenti di grande rabbia e ribellione ad altri di profonda tenerezza, suo fratello cerca di venire a patti con la realtà, le donne della famiglia svolgono con perizia e intelligenza un grande ruolo di mediazione, i due figli adolescenti di Quimet sono divisi tra un profondo attaccamento alla terra e alla famiglia e il bisogno di affrancarsene, facendo una vita da adolescenti, i bambini fanno i loro adorabili giochi da bambini lasciati liberi nei campi, ma al contempo sentono anche sulla loro pelle la tensione di un cambiamento che trasformerà le loro vite future.
Alla fine risulterà chiaro che questo modello di vita contadina è incompatibile con il modello economico contemporaneo (per i costi troppo alti della produzione se confrontati con i costi al dettaglio della grande distribuzione), e che l'amore per la terra che traspare dai volti e dai gesti dei componenti di questa famiglia non è sufficiente a preservare mondi ormai relegati in un passato apparentemente non più replicabile.
C'è tanta nostalgia nel film di Carla Simòn, e in un certo senso anche un appello a non disfarsi della propria identità in nome di un apparente progresso. Il quadro tratteggiato è certamente fortemente catalano, ma molto riconoscibile per persone che provengono da paesi con passati contadini importanti e non tanto lontani nel tempo (i miei nonni erano contadini e anche i miei genitori hanno continuato a occuparsi delle terre ereditate, pur non essendo contadini; io stessa ricordo con nostalgia le giornate estive dedicate alla produzione casalinga della salsa). Personalmente, pur condividendo la disillusione e la tristezza che attraversa i protagonisti di questo film e dunque della regista, voglio essere più ottimista e pensare che alcuni segnali di rinnovato interesse per la coltivazione e il movimento intorno al km 0 e ai piccoli produttori locali, nonché una maggiore consapevolezza dei consumatori possano in qualche modo restituire alla terra una parte di quella centralità che merita nell'economia di molti paesi.
Voto: 3,5/5
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