La vergine nel giardino / Antonia S. Byatt; trad. di Anna Nadotti e Giovanna Iorio Bates. Torino: Einaudi, 1978.
Questo primo libro della tetralogia dedicata da Antonia S. Byatt a Frederica Potter mi era stato prestato qualche anno fa da S., insieme al secondo, immagino nella convinzione che potesse piacermi o comunque nell'idea che letto il primo potessi valutare se continuare con i successivi.
All'approssimarsi di questa estate ho pensato fosse arrivato il momento opportuno per dedicarmi a questa lettura.
In realtà per le prime duecento pagine ho fatto una fatica immane e più volte ho accarezzato l'idea di abbandonare. In un momento di particolare frustrazione ho persino interrotto e letto Agenzia A di Matsumoto Seichō.
Fino a un certo punto della lettura non sono riuscita a superare la sensazione che non succedesse assolutamente nulla e che il susseguirsi dei capitoli dedicati di volta in volta a uno dei fratelli Potter, Stephanie, Frederica e Marcus, fosse semplicemente l'occasione per la Byatt di fare sfoggio delle sue conoscenze e creare un universo sovrabbondante di citazioni e di riferimenti, per lo più a me sconosciuti. Insomma non sono riuscita a farmi conquistare dal mondo costruito dalla scrittrice, che tra l'altro mi procurava una sensazione di spaesamento temporale. Mentre lo leggevo continuavo infatti a pensare che si trattasse di una storia ambientata a cavallo tra Ottocento e Novecento e invece di tanto in tanto alcuni dettagli e riferimenti mi riportavano bruscamente all'ambientazione effettiva degli anni Cinquanta.
La lettura per me ha cominciato a decollare quando la primogenita Stephanie si innamora del reverendo Orton e decide di sposarlo, e questa scelta mette in subbuglio l'intera famiglia Potter e in particolare il padre Bill, ateo e anticlericale. Parallelamente Marcus, fragile e tormentato, comincia a frequentare il suo professore Lucas Simmonds, che ha un interesse particolare per l'ignoto e i fenomeni paranormali, mentre Frederica dopo aver ottenuto la parte di Elisabetta I nel dramma di Alexander Wedderburn si lancia nelle sue prime esperienze erotiche nel tentativo di perdere la verginità.
Diciamo che un po' di verve narrativa ha dato linfa alla mia voglia di andare avanti e ha definitivamente superato le mie resistenze. Cosicché - pur restando il libro decisamente sovrabbondante per il mio gusto - man mano che andavo avanti ho cominciato ad apprezzarne la sua natura originale, il suo collocarsi in un punto da qualche parte in mezzo tra una commedia shakespeariana alla maniera - per fare un esempio - di Molto rumore per nulla, un'opera buffa e una commedia dell'arte, per quel mix tutto suo di intellettualismo, licenziosità, sentimenti, invenzioni, reale e fantastico.
All'ultima pagina sono stata dunque contenta di non aver mollato, però certo la lettura del secondo volume non arriverà nell'immediato ;-)
Voto: 3/5
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