Fedeltà / Marco Missiroli. Torino: Einaudi, 2019.
Ho comprato il libro di Marco Missiroli praticamente appena uscito e ho iniziato a leggerlo poco dopo. Di lui mi era piaciuto moltissimo Atti osceni in luogo privato e avevo apprezzato anche Senza coda, cosicché ero impaziente di tuffarmi in questa nuova storia, che da più parti avevo letto essere il suo romanzo della maturità, e scopro l'altro ieri già finalista al Premio Strega.
Ebbene, sarà sempre perché le aspettative fanno brutti scherzi, ma il romanzo mi ha deluso. E qui provo a spiegare anche perché, tanto più che in giro si leggono diverse critiche molto positive (il che potrebbe anche voler dire che la mia lettura è stata in qualche modo condizionata).
I protagonisti di Fedeltà sono principalmente due, Carlo e Margherita, che sono marito e moglie: il primo è uno scrittore mancato, un professore giunto alla cattedra grazie al padre, e un redattore di guide turistiche per sbarcare il lunario; la seconda è un'architetta che però si è trovata infine a gestire un'agenzia immobiliare. La loro storia funziona e l'intesa ancora dura dopo diversi anni insieme, anche se Missiroli li mette sotto la lente di ingrandimento in un momento in cui entrambi sono inquieti e sentono affiorare un desiderio di apertura a qualcosa di diverso.
Carlo è stato sorpreso nel bagno con una sua studentessa, Sofia, ma i due hanno detto a tutti che si è trattato di un malinteso e che il professore stava solo soccorrendo l'allieva che si era sentita male.
Margherita si sta facendo curare una pubalgia da Andrea e non può fare a meno di sentire il desiderio che le mani del giovane vadano oltre la fisioterapia.
La figura che in qualche modo supervisiona su tutto questo e di cui sia Carlo che Margherita cercano la confidenza è Anna, la mamma di quest'ultima, che ha fatto la sarta per tutta la vita ed è rimasta vedova dopo la morte di suo marito ferroviere. Una donna di un'altra generazione, che anche di fronte al dubbio è in grado di attingere alle proprie risorse emotive e al proprio bagaglio di convincimenti.
Come ha detto qualcuno, Anna è il personaggio più intenso del romanzo di Missiroli, e nella seconda parte del libro, quella che si svolge nove anni dopo, quando Carlo e Margherita si sono trasferiti in una nuova casa e hanno un figlio, Lorenzo, diventa la vera protagonista, il motore immobile del racconto.
E, personalmente, se devo salvare il libro lo salvo principalmente per il personaggio di Anna.
Gli altri personaggi intorno infatti mi sono sembrati decisamente meno convincenti: pochissimo convincenti personaggi in certa misura secondari, come Sofia, che torna a Rimini a lavorare nella ferramenta del padre, e Andrea, che è pericolosamente attirato dai combattimenti dei cani e dai fight club e, dopo alcune relazioni più o meno passeggere o fallimentari, sceglie di vivere la propria omosessualità con Giorgio. Non so se è perché appartengono a una generazione che conosco meno, ma a me sono sembrati poco approfonditi dal punto di vista psicologico e nel complesso poco credibili.
Alla fine anche con Carlo e Margherita ci sono entrata pochissimo in sintonia, e in questo loro perenne senso di precarietà e incertezza, bisogno di altro senza capire bene di cosa, inquietudine e ricerca incessante, non sono riuscita a volergli bene. Intuisco che Missiroli voglia rappresentare attraverso di loro una specifica generazione (i personaggi hanno circa 35 anni nella prima metà del romanzo e 44 nella seconda metà), ma non mi è chiaro se questa generazione non è la mia o se sono io che in qualche modo le sono in parte estranea. A me durante la lettura - più che sentir parlare di una generazione - mi è sembrato di vedere rappresentata una specie di crisi di mezza età il cui esito mi è risultato peraltro consolatorio: sperimentare e cercare spiragli di novità e di libertà per poi ripristinare gli equilibri, come se gli equilibri fossero la normalità e non fosse invece vero esattamente il contrario.
Anche i numerosi riferimenti alla nostra contemporaneità social - soprattutto se sommati a questi per me improbabili richiami ad ambienti marginali come quelli dei fight club e dei combattimenti dei cani - mi sono sembrati più un modo di apparire contemporanei che il prodotto naturale della narrazione.
In generale, e forse è questo l'aspetto che mi ha infastidito e turbato di più, è quella forte sensazione di artificiosità che secondo me - a parte che per il personaggio di Anna - pervade il romanzo, in cui vicende e personaggi appaiono un po' scritti a tavolino.
Ne risente secondo me anche la scrittura di Missiroli, una scrittura che resta di qualità e letterariamente di spessore, ma che - nel tentativo di mantenere fede alla scelta di creare delle transizioni morbide e delle forme di continuità tra i personaggi slittando la narrazione dall'uno all'altro grazie a degli elementi di connessione (un gesto, una parola che si ripetono) - si fa un po' costruita e poco spontanea. Personalmente ho poco gradito anche gli inserti che descrivono amplessi e atti sessuali vissuti o immaginati e che utilizzano un linguaggio esplicito, al limite del volgare; e il punto per me non è certo l'imbarazzo o il moralismo, che su questo fronte non mi appartengono, ma la sostanziale gratuità - a mio modesto parere - di questa scelta.
Poi magari Fedeltà vincerà il Premio Strega e tutti lo elogeranno, mentre io rimarrò la dilettante che non ha capito nulla, ma alla fine non me ne preoccupo. Proprio il fatto di non essere una professionista della critica letteraria mi consente delle libertà e magari anche delle figuracce che altri non potrebbero permettersi.
Voto: 2,5/5
lunedì 18 marzo 2019
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