lunedì 3 dicembre 2018

Troppa grazia

Lucia (una bravissima Alba Rohrwacher) è una giovane donna con una figlia già adolescente, Rosa, avuta a 18 anni. È una geometra, ma con il lavoro si arrangia come può e a malapena riesce a portare a casa i soldi necessari per vivere e per consentire a Rosa di continuare le sue lezioni di scherma. Lucia ha appena chiuso una storia con il compagno Arturo (uno scanzonato Elio Germano), perché quest'ultimo l'ha tradita e non ha potuto fare a meno di raccontargli che anche lei lo ha tradito, ma solo per due giorni.

In questa vita faticosa e scombinata arriva come una manna dal cielo un lavoro: Lucia deve fare i rilevamenti catastali in un terreno dove stanno per costruire un edificio chiamato "L'onda" (un centro commerciale?).

In una campagna dai colori fortemente saturi e brillanti, vero e proprio paesaggio da favola dove tutto può succedere, Lucia vede una giovane donna con un velo azzurro che scambia per una profuga. Ben presto però si accorge che questa donna la vede solo lei e sarà la donna stessa a presentarsi come la madre di Dio.

Per Lucia è il panico: lei è una donna profondamente razionale e soprattutto non ha nessuna intenzione di ascoltare questa voce esterna che le impone di fare delle cose e che a volte lo fa in maniera anche violenta. Lucia scappa con la figlia a casa di un'amica, poi prova a fare finta di niente, a un certo punto crede di stare impazzendo e va da uno psichiatra. Ma dovrà infine fare i conti con questa presenza e, per farlo, dovrà confrontarsi innanzitutto con le persone che gli sono vicine, suo padre (un jazzista un tempo famoso), il suo compagno Arturo, la figlia Rosa, e poi soprattutto con sé stessa.

Il soprannaturale che invade - non richiesto e non voluto - la vita di Lucia è una chiamata all'autenticità, alla bellezza e alla responsabilità, rappresenta l'urgenza e la necessità di non perdere il contatto con sé stessi, travolti dalla fatica della vita e del quotidiano.

Lucia - come le dice lo psichiatra - è una donna che pretende molto ed è poco indulgente prima di tutto con sé stessa, e per questo non è mai all'altezza delle sue stesse aspettative. Investe tutte le sue energie nel portare avanti la quotidianità, ritenendo di non avere tempo per credere in qualcosa o per portare avanti delle battaglie che vadano al di là di sé stessa.

Gianni Zanasi continua con questo film la sua personale esplorazione di un tema che - a mio modesto parere - si ritrova trasversale in tutta la sua cinematografia (o quantomeno negli ultimi tre film): la responsabilità della sua generazione. Di fronte a questa generazione che per necessità o egoismo tende a rinchiudersi nel proprio privato, che non ha la forza o non ritiene di doversi fare carico dei problemi del mondo circostante, impegnata com'è a sopravvivere, Zanasi auspica una presa di coscienza, un riscatto, un'assunzione di responsabilità per non lasciare che il mondo scivoli indisturbato sul piano obliquo che lo porta al declino.

E per farlo abbiamo bisogno di credere, innanzitutto in noi stessi, e di non lasciarci sopraffare dalla fatica e dalla rassegnazione.

Il film di Zanasi è un caleidoscopio di colori, di dialoghi e di situazioni, e alla fine non tutto torna e non tutto produce un senso di armonia. Però tra risate, sorrisi, pensieri e riflessioni si abbraccia con Lucia la speranza della bellezza e dunque anche del futuro.

Voto: 3,5/5

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