mercoledì 22 agosto 2018

Most beautiful island

Avevo puntato questo film già qualche mese fa quando c'era stato il Festival del cinema spagnolo al Farnese, ma l'incastro degli orari e degli impegni non mi aveva consentito di vederlo.

Così, adesso che il film è uscito ufficialmente nelle sale italiane, ho colto l'occasione della mia estate in parte romana per andare a vederlo, sempre al Farnese.

La storia è quella di Luciana (la bella e brava Ana Asensio, che è anche la sceneggiatrice e la regista del film, per il quale si è ispirata alla sua vicenda personale), una giovane donna spagnola emigrata a New York per sfuggire - sembrerebbe - ai sensi di colpa legati alla morte di sua figlia in Spagna.

A New York Luciana spera di avere l'opportunità di ricostruirsi un futuro, fiduciosa - insieme a molti altri nella sua stessa condizione - dell'effettività del sogno americano.

In attesa di questa opportunità però la protagonista fa fatica a sbarcare il lunario e vive di piccoli lavoretti ridicoli e mal pagati (per esempio distribuire volantini vestita da pollo o fare da baby sitter a due bambini viziati e insopportabili di cui comunque a lei stessa interessa poco). Un giorno una sua amica le propone di andare al posto suo a un party dove verrà pagata 2.000 dollari e la rassicura dicendole che non dovrà fare niente che non voglia.

Inizia così una discesa nei bassifondi newyorkesi, passando attraverso intermediari che gestiscono ristoranti a Chinatown, fino a un luogo claustrofobico dove, dietro una porta chiusa, non sa cosa attende lei e le altre ragazze.

Sarebbe un delitto raccontare di più (sebbene qualcuno in giro per la rete lo abbia colpevolmente fatto), perché il film si regge tutto sulla tensione e sull'attesa del momento in cui Luciana dovrà entrare in questa fatidica stanza, da cui trapelano alternativamente silenzio e urla.

Il film di Ana Asensio è difficilmente categorizzabile; semplificando lo si potrebbe etichettare come un thriller, ma in realtà è un film che innesta una situazione di forte tensione psicologica in un contesto sociale, senza il quale anche quella tensione avrebbe meno significato.

Cinematograficamente il film è ben fatto e lo si capisce fin dalle prime sequenze, quando la regista segue con la sua telecamera, in mezzo alla folla che attraversa le strade di New York, alcune donne su cui si appunta la nostra attenzione senza sapere ancora quale sarà la nostra protagonista. Interessante anche la scelta di conferire centralità al sonoro: quello della città che riempie qualunque spazio e poi invece, quando Luciana è nel seminterrato, i pochi suoni sinistri amplificati da un irreale silenzio.

Certamente però la cosa più apprezzabile del film sta nella evidente volontà della regista di non realizzare un "thriller" fine a sé stesso, ossia con l'unico scopo di intrattenere lo spettatore (cosa che questo genere cinematografico di solito fa); Ana Asensio utilizza invece il coinvolgimento emotivo dello spettatore rispetto alla situazione di Luciana per permetterci di comprenderne lo stato d'animo e la condizione di immigrata in una realtà che viene pubblicizzata come la terra delle opportunità ma nella quale - se non hai un lavoro e dei soldi - vivi ai margini della società e ne sei sfruttata per finalità spesso abiette.

In definitiva, quella di Luciana non è un'avventura mozzafiato a lieto fine, bensì un'odissea che non può non lasciarti segni interiori profondi e indelebili.

Voto: 3,5/5

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