lunedì 10 maggio 2010

Artimos Sviesos = Low lights

Lo so che, più o meno gentilmente, vi state chiedendo che caspita di film è questo e come mai, dopo tutti questi giorni di silenzio, anziché ricomparire pescando nella vasta messe dei film usciti nelle ultime settimane in Italia, vi propongo un film che non vedrete mai.

Ebbene, il silenzio degli ultimi giorni è dovuto al mio trasferimento a Bruxelles. Sì, avete capito bene. Proprio Bruxelles, quella città che tutti dicono grigia e fredda, dove ci sono le istituzioni europee e dove il primo giorno che sono andata al lavoro in bicicletta non l´ho trovata all'uscita. Eppure, dopo una settimana qui e dopo aver superato l'impatto iniziale, non certo facile, posso osare dire che questa è una città interessante. Che va scoperta, lentamente, e che potrebbe essere gradevole per i prossimi sei mesi, sia per me soggettivamente che per tutte le occasioni di condivisione che spero di avere con le persone cui voglio bene.

E così, una delle prime cose che sperimento è il cinema (ho scelto una casa il cui cinema più vicino, una multisala, sta a non più di 50 m). Ieri, 9 maggio, giornata in cui si ricorda il 60° anniversario della Dichiarazione Schumann (uno dei momenti fondanti più importanti per quella che sarebbe diventata la futura Unione Europea) c'è la settima edizione di EuroCine27, una giornata dedicata al cinema dei 27 paesi dell'Unione.

Su suggerimento di un'amica, andiamo a vedere questo film lituano, sottotitolato in inglese. È il bello e il brutto di stare in un paese come questo.
Ed eccoci qui a vedere Artimos Sviesos, ossia Low lights, dello sconosciuto - per noi! - regista lituano Ignas Miskinis (e il cognome mi pare tutto un programma!).

Praticamente il film si svolge tutto in una notte e ruota intorno a tre persone, due amici, Tadas (Dainius Gavenonis) e Linas (Jonas Antanelis), e una donna misteriosa (Julia Maria Kohler), la cui identità verrà svelata solo alla fine.

Che dire? Superato lo shock iniziale di attori che non gesticolano affatto e non muovono quasi per niente i muscoli della faccia (e non perché non siano bravi, ma perché questo è il modo di essere e di relazionarsi del popolo cui appartengono) e di una notturna periferia fatta di tangenziali e di stazioni di servizio che appare molto est-europea ma che potrebbe essere anche italiana, il film mi è piaciuto. Nel suo essere gelido, riesce ad essere incredibilmente drammatico e anche grottesco per certi versi. E nonostante le barriere culturali che a volte rendono difficile la comprensione profonda, alla fine ho avuto la sensazione che certi stati d'animo e certi momenti della vita siano universali perché appartengono al genere umano in quanto tale.

Il tentativo dei tre protagonisti di sfuggire al grigiore e all'abitudine delle loro vite andando alla ricerca di esperienze nuove e provando il brivido del pericolo e dello sconosciuto è qualcosa che - in forme diverse - appartiene a tutti, soprattutto in certi momenti della vita. E la domanda che angoscia i protagonisti (Sono davvero felice?) non è forse quella a cui tutti noi - a intervalli regolari - non possiamo sottrarci?

Film buio, privo di lustrini, con facce molto vere, non certo adatto a una serata finalizzata a ritrovare il buonumore. Ma alla fine lo apprezzo.
E quando salgo per la prima sera nel mio piccolo appartamento e guardo le luci della città accendersi davanto ai miei occhi penso che - non c'è dubbio - ogni esperienza vale la pena di essere vissuta. E il senso della vita forse è questo: compiere un viaggio che avviene prima di tutto dentro di noi.

Voto: 3,5/5

P.S. Ok, ok... non vi proporrò tutte le volte film moldavi e ucraini... Cercherò di andare a vedere anche cose che siano comuni al mercato italiano e proverò a recuperare anche qualche film italiano nelle mie puntate in patria, ma - dovete ammetterlo - non ci sarebbe potuto essere film più adatto a questo mio esordio cinematografico bruxellese!

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