venerdì 14 maggio 2010

Agora

Promessa mantenuta. Basta – almeno per il momento - con i film lituani, ucraini, albanesi e bielorussi. Ed eccomi a vedere Agora, produzione sostanzialmente hollywodiana con lo zampino spagnolo del regista Alejandro Amenàbar, quello che forse ricorderete per Mare dentro, con Javier Bardem.

Il mio arrivo al cinema è subito funestato dalla presenza di un piccolo gruppo di italiani dietro di me, che non fanno altro che chiacchierare, gli unici in tutta la sala. Per fortuna si zittiscono quando il film inizia. Ma è sempre uno di loro che incornicia il The end con un sonoro sbadiglio.

A parte questa parentesi, sulle prime mi fa un po’ impressione vedere queste ambientazioni nell'antica Alessandria d’Egitto e protagonisti vestiti col classico peplum e sentire invece parlare, con diversi accenti, in inglese (lingua originale del film). Ma del resto non sarebbe stato molto meglio sentirli parlare in italiano. Faccio anche un po’ fatica a prendere le misure di un film in una lingua che conosco ma non domino perfettamente, con i sottotitoli in francese (che capisco, ma parlo poco) e fiammingo (lingua a me del tutto sconosciuta). E così nel mio cervello le tre lingue si mescolano e si confondono con l’italiano dandomi un certo qual senso di stordimento. Ma dopo un po’ tutto scorre liscio e non ho alcun problema a cogliere significati, anche di dettaglio.

E dunque, cosa ne penso del film? Ancora esattamente non saprei dirlo. Certamente apprezzo lo sforzo di alcune ricostruzioni, per quanto sia inevitabile la sensazione di irrimediabilmente finto che esse promanano; trovo però che la rappresentazione della Biblioteca di Alessandria segua piuttosto scrupolosamente quanto c’è scritto nei manuali di storia del libro, in particolare per quanto riguarda la sala del Serapeum. Tutti quei rotoli con le loro etichette penzolanti collocati nelle nicchie della sala circolare, in cui sono ospitati anche statue e busti, a me bibliotecaria inevitabilmente fanno un certo effetto.

Il personaggio di Ipazia è certamente affascinante (e non solo perché interpretato da una magnifica Rachel Weisz). Una donna filosofa e matematica, che grazie all’apertura mentale del padre, può dedicarsi non solo ai suoi studi, ma anche all’insegnamento. Una donna in qualche misura ossessionata dal sapere, orgogliosa del dubbio, all’inseguimento di una spiegazione scientifica al movimento dei pianeti e alla configurazione del sistema planetario in cui si colloca la terra.

Una donna, dunque, destinata a diventare scomoda e a soccombere in un contesto socioculturale che l’espansione del Cristianesimo sta profondamente trasformando, inaugurando feroci guerre di religione che porteranno alla cecità della ragione e alla fine della tolleranza, in nome del possesso di una verità religiosa che non può essere messa in discussione e che diventa prima di tutto strumento di potere.

Non v’è dubbio sul fatto che il film dia l’impressione di voler essere un pamphlet ideologico, contro tutte le forme di pensiero unico che ottundono la ragione e determinano un pericoloso irrigidimento socioculturale. Non v’è dubbio sul fatto che i Cristiani e il Cristianesimo non ne escano proprio benissimo, ma chi ha scritto che si tratta di un film contro i Cristiani secondo me sbaglia.

Non mi pare che ne escano bene gli Egiziani seguaci dei culti tradizionali che con la loro reazione scomposta e violenta all’avanzare dei Cristiani danno sostanzialmente il via alle sanguinose lotte religiose. Non ne escono bene i Romani, governatori della regione, che per convenienza politica e miopia culturale favoriscono l’innescarsi del conflitto. Non ne escono bene gli Ebrei, vittime e persecutori allo stesso tempo.

Quindi, se di manifesto ideologico si tratta, piuttosto è un omaggio alla centralità della ragione, della conoscenza, del dubbio sistematico, che è l’unica scelta che in qualche modo ci salva dagli irrigidimenti ideologici di qualunque tipo.

E il fatto che se ne faccia portavoce una donna mi pare particolarmente significativo e – in qualche misura – ispirato.

Diciamo che non mi ha convinto del tutto la sottotrama, ossia il rapporto tra Ipazia e i due uomini che in modi diversi la amano, lo schiavo Davus (Max Minghella) (poi convertitosi al Cristianesimo) e l’allievo Oreste (Oscar Isaac) (poi prefetto della città). Capisco la necessità, in questo tipo di film, di dover introdurre un piano di lettura più personale e umano, ma mi pare che questo piano ne esca troppo banalizzato e sostanzialmente poco problematico.
Ho trovato invece forse più vero e, dunque, più interessante il rapporto tra Ipazia e il suo schiavo anziano, Aspasius (Homaioun Ershadi), che partecipa non passivamente alle intuizioni e al sacro furore per la scienza della sua padrona e la assiste nei suoi “esperimenti” e nei tentativi di dimostrare le sue idee.

Mi ha poi impressionato la totale assenza di donne nel film, ad eccezione di Ipazia. Probabilmente si tratta di una scelta assolutamente consapevole volta a far emergere l’eccezionalità di questa figura, ma anche in questo caso forse è un po’ eccessiva la nettezza di questo confronto: uomini spinti dall’ambizione, da un’istintività animalesca, dalla violenza o dalla debolezza, e una donna che rappresenta in qualche modo tutto ciò che questi non hanno. Sto ovviamente semplificando, ma devo dire che le sfumature non sono certo il punto di forza del film!

Ultima notazione: per quanto un po’ troppo insistita, ho trovato molto bella la scelta del regista di allontanare - di tanto in tanto - l’inquadratura dal luogo dove gli eventi avvengono (la piazza, la biblioteca), per osservare dall’alto la grandiosa città di Alessandria, ma - allontanandosi ancora di più - la costa egiziana su cui Alessandria è situata, e poi quella costa nel contesto del continente africano, e poi il globo, e poi l’universo tutto, immerso nel suo silenzio punteggiato di stelle luminose. Certo è un omaggio agli studi di Ipazia, che appunto quell’universo vuole esplorare, ma è anche un suggerimento di relatività. Quanto siamo piccoli e insignificanti! Quanto le nostre stupide lotte perdono di senso se guardate negli equilibri del tutto! Quanto tutto si ridimensiona nel confronto con un universo infinito di cui ancora ci sfugge il senso, se ne esiste uno!

Insomma, direi, sì, andatelo a vedere... Come sempre, con l'animo sgombro e la mente aperta, pronti alla critica, ma senza pregiudizi. Proprio come avrebbe voluto Ipazia!

Voto: 3/5

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