lunedì 22 aprile 2024

Rendez-vous festival del nuovo cinema francese, 3-7 aprile 2024

E anche quest'anno come da tradizione non poteva mancare una piccola maratona di cinema francese grazie al Festival Rendez-vous, che ancora una volta è ospitato al Nuovo Sacher dove c'è sempre Nanni Moretti a fare gli onori di casa. In tutto riesco a vedere tre film, piuttosto diversi l'uno dall'altro, scelti un po' sulla base dell'interesse, un po' sulla base delle mie disponibilità di tempo. Ovviamente non mi permetto di dare un giudizio sul festival a partire da questi soli tre film, ma il mio bilancio finale, pur essendo positivo, non è entusiasta come in altre circostanze, nel senso che ho trovato i film godibili, ma non imperdibili. Comunque il valore aggiunto di poterli vedere in anteprima, in lingua originale e poter assistere al Q&A con il regista o gli interpreti rende l'esperienza assolutamente valida.

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Le procès Goldman = Il caso Goldman


In questo caso la scelta del film scaturisce sia dall'apprezzamento verso il regista Cédric Kahn sia dall'interesse verso i film giudiziari, che - se ben fatti - trovo molto appassionanti.

In questo caso Kahn ci propone un film strettamente giudiziario, visto che l'azione si svolge quasi interamente all'interno dell'aula del tribunale, il che - anche per effetto dell'uso di un formato 4/3 - produce un effetto decisamente claustrofobico.

Al centro la figura di Pierre Goldman, un estremista di sinistra di origine ebreo-polacca che negli anni Settanta compì numerose rapine, una delle quali finì con l'uccisione di due donne. L'uomo fu condannato in primo grado all'ergastolo in quanto riconosciuto colpevole anche del duplice omicidio. Il film di Kahn ci racconta il secondo grado del processo che arrivò anche grazie alla determinazione del padre di Pierre, figura di spicco della Resistenza francese, e sulla scia del grande successo del libro che lo stesso Goldman aveva scritto e che gli aveva procurato un ampio sostegno.

Come ci dice il regista, il film è stato interamente scritto sulla base dello studio dei giornali dell'epoca, mentre non è stato possibile accedere agli atti originali del processo. Ne viene fuori la figura istrionica di Goldman, che spesso interveniva persino contraddicendo i suoi avvocati, che pure ebbero un ruolo decisivo nell'assoluzione dell'uomo dall'accusa di omicidio.

È evidente che il film nasce da una vera e propria fascinazione per questo personaggio, che io personalmente non conoscevo, ma che certamente in Francia ha segnato un'epoca e il cui processo è stato rappresentativo di una temperie politico-sociale, che - pur non riguardando solo la Francia - certamente in questo paese ha avuto caratteristiche specifiche, che in parte ci sfuggono.

Sarà anche per questo che il film risulta piuttosto impegnativo da seguire; in generale la sceneggiatura appare un po' legnosa e a tratti meccanica, forse a causa di una ricostruzione che nasce da fonti molto frammentarie.

L'aspetto certamente più affascinante - che viene sottolineato anche dal regista nel dibattito finale - riguarda il meccanismo di funzionamento della giustizia, che - in assenza di prove schiaccianti - inevitabilmente risente di valutazioni di contesto, pur cercando di tenersi aggrappata alle procedure giudiziarie. Dunque, se Goldman sia stato o meno responsabile degli omicidi, per i quali si professava innocente a differenza che per le rapine, non lo sapremo mai, ma il rischio di un nuovo Affaire Dreyfus e tutta una serie di altri elementi hanno certamente contribuito a spingere verso l'assoluzione.

Voto: 3/5



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Le successeur = Il successore 

Con il film di Xavier Legrand ci si sposta decisamente verso un’altra dimensione cinematografica, che sta dalle parti del thriller psicologico. Protagonista è Ellias Barnès (Marc-André Grondin), un giovane stilista di origine canadese (è di Montreal) che si sta definitivamente affermando nell'ambiente dell’alta moda a Parigi, città dove vive da molto tempo. Il film inizia con una sfilata che si svolge in una scenografia a spirale, inquadrata a più riprese dall'alto e accompagnata da una musica che trasmette fin dall'inizio un senso di angoscia e di tragedia imminente.

Ellias sta per prendere l'eredità di una casa di alta moda quando arriva la notizia che suo padre – con il quale si era messo in contatto qualche giorno prima dopo moltissimi anni di lontananza – è morto, cosicché Ellias deve partire per Montreal per gestire il funerale e la dismissione dei beni del padre, compresa la casa nella quale viveva. Qui farà una scoperta agghiacciante che manderà in tilt i suoi programmi e la sua capacità razionale, innescando una reazione a catena che lo condurrà in un abisso sempre più profondo, a fare i conti con l’eredità di suo padre e le colpe dei genitori che ricadono sui figli.

Il regista al termine della proiezione ci dice che con questo film ha voluto indagare un altro aspetto del patriarcato, quello che ha meno a che fare con il rapporto tra uomini e donne, ma che in qualche modo inquina anche l’universo maschile. Sinceramente non so se ho colto quest’aspetto della narrazione; certamente però ho sentito molto intensamente lo stato d'animo del protagonista e, pur riconoscendone dall'esterno gli errori strategici, ho vissuto insieme a lui l'angoscia, la disperazione, il dolore, il senso di sconfitta, l'eterno ritorno di quello che pensavamo di esserci definitivamente lasciati alle spalle. Del resto il film si apre con una spirale, e la spirale ritorna anche nella scala della casa funeraria a cui Ellias si rivolge a Montreal, e in quella spirale il protagonista in qualche modo è destinato a rimanere intrappolato.

Voto: 3,5/5



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Bernadette = La moglie del presidente


Con l'opera prima di Lèa Domenech si chiude l’edizione 2024 del Rendez-vous film festival, e quest’ultima proiezione vede la partecipazione, oltre alla regista, della protagonista del film, Catherine Deneuve, che si porta ancora piuttosto bene i suoi 81 anni. Per la Domenech è la prima volta nel lungometraggio di finzione e, prima dell’inizio del film, la giovane regista ci spiega in un buon italiano la genesi di questo progetto. Dice che la figura di Bernadette Chirac è stata centrale nella società francese negli anni in cui era ragazzina, e che nel suo caso specifico il contatto con questa figura era ancora più forte in quanto suo padre era un giornalista politico. Nonostante l’appartenenza a una parte politica opposta e la cattiva nomea che Bernadette si portava addosso, la regista dice di averne rivalutato la figura dopo aver visto un documentario su di lei, e proprio a partire da quella suggestione ha deciso di realizzare una commedia incentrata su di lei e in particolare sulla sua rivincita come politica e come donna nei confronti di suo marito Jacques Chirac.

Il film è giocato su un registro molto divertente e divertito, come si capisce fin dalle prime scene quando compare un coro che con le sue esecuzioni a cappella spiega e commenta quanto accade nel film; ovviamente, la realtà storica, pur presente, è ampiamente mescolata con la finzione e l’invenzione cinematografica, che trasformano la coppia presidenziale e il suo entourage in un gruppo di personaggi da commedia dell’arte, con venature esilaranti e grottesche. Si tratta però di una leggerezza della narrazione che non scade mai nella volgarità e che non usa mai mezzucci, anzi si mette al servizio di una storia di riscatto femminile, e guarda a Bernadette con lo sguardo benevolo di chi – pur riconoscendone i limiti e i difetti – intende però anche mostrarne le qualità e le intuizioni.

Accanto alla bravissima Deneuve, straordinaria nel non prendersi sul serio, troviamo un grande Denis Podalydès (nel ruolo del consigliere della first lady) e un più macchiettistico Michel Vuillermoz nel ruolo del presidente. Un film godibile che ancora una volta dimostra la capacità dei francesi di parlare di politica e società con tanti registri diversi, ma in maniera non banale.

Voto: 3/5


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