Dopo la lettura della cosiddetta Trilogia della pianura, pubblicata nel 2016 da Enne Enne Editore, Kent Haruf è diventato uno dei miei autori preferiti e in questo senso devo ringraziare l'editore non solo per avermelo fatto conoscere, ma anche per portare avanti il progetto di pubblicarne tutti i lavori.
E così è arrivato in traduzione italiana, sempre a cura dell'ottimo Fabio Cremonesi che nella nota finale ci dà anche qualche elemento ulteriore di interpretazione di questo testo, il primo romanzo di Haruf, Vincoli (The tie that binds), pubblicato originariamente nel 1984.
In realtà, come sa chi ha letto altri suoi romanzi, non è molto importante né costituisce un fattore di orientamento sapere in che anni sono scritti, se non per tracciare l'evoluzione dello stile di questo autore, non certo particolarmente prolifico.
La sua infatti è una scrittura senza tempo e la stessa narrazione, anche quando è temporalmente collocata, come nel caso di Vincoli, appare sospesa in una dimensione estranea alle coordinate temporali.
In questo romanzo, la storia prende l'avvio alla fine dell'Ottocento, quando Roy Goodnough e sua moglie Ada si trasferiscono dall'Iowa in Colorado, nella campagna intorno a Holt, alla ricerca di una vita diversa e di fortuna. In realtà qui troveranno soltanto una terra aspra e sabbiosa, che solo a prezzo di enormi sacrifici personali e di durissimo lavoro potrà consentire a questa coppia e poi ai loro due figli, Edith e Lyman, di sopravvivere.
La storia di questa famiglia ci viene raccontata da Sanders "Sandy" Roscoe, il figlio di John Roscoe, che quando i Goodnough si trasferiscono a Holt, vive con la madre di origine indiana, abbandonata dal marito, nella fattoria "vicina".
Sanders si rivolge a un ignoto interlocutore - forse semplicemente il lettore, chiamato a diventare egli stesso testimone di questa vicenda - per raccontare la sua verità sulla storia di Edith, ormai vecchia, ricoverata in ospedale con un'accusa di omicidio sul capo. Per fare questo, Sanders dovrà raccontare della durezza di Roy Goodnough, della fragilità di sua moglie Ada e della sua morte prematura, della terribile sorte dei figli costretti a una vita di sacrifici fin dalla tenera età, impossibilitati a sfuggire al pesante giogo del padre padrone. Dovrà raccontare dell'amore tra suo padre, John Roscoe, ed Edith, e della inevitabilità della scelta di quest'ultima di rinunciare a sposarsi per accudire suo padre, totalmente dipendente dalla figlia dopo l'incidente con la trebbiatrice. Dovrà raccontare della fuga di Lyman e delle sue peregrinazioni per l'America, del suo ritorno a casa, della breve parentesi felice, e poi della sua malattia e delle difficoltà degli ultimi anni.
Quello di Haruf è un mondo aspro fino all'inverosimile, primordiale nelle sue manifestazioni, e che proprio per questo distilla i sentimenti umani, sia quelli positivi (l'amore, l'amicizia, la devozione, l'abnegazione, lo spirito di sacrificio), sia quelli negativi (l'odio, il tradimento, la sopraffazione, l'indifferenza). Come ci ricorda Fabio Cremonesi nella sua nota finale, la scrittura di Haruf in questo romanzo - pur anticipando stilemi e tratti che diventeranno suoi tipici - risulta più ricca e narrativa nel suo distendersi attraverso quella che è una vera e propria saga familiare, mentre andrà nel tempo asciugandosi e diventando sempre più essenziale ed evocativa, come si può osservare nell'ultimo romanzo Le nostre anime di notte.
Che sia più o meno essenziale, nella sua prosa resta però intatta la capacità figurativa, il talento che Haruf ha nel trascinarci in mezzo alla sabbia dei grandi terreni per l'allevamento del bestiame, tra le stoppie dei campi di granturco, tra i cavalli che scalpitano dietro i cancelletti di un rodeo, nelle notti buie dell'anima più profonda degli Stati Uniti, nelle fattorie di legno, nelle stalle dove sono ricoverati gli animali di fattoria. E ci conduce con mano sicura nella mente e nei cuori di questi uomini e donne che, anche quando - come Roy Goodnough - sono esseri abietti e detestabili, sono raccontati come il risultato di un mondo difficile e senza reali alternative, un mondo in cui l'infelicità è quasi un marchio che ci si porta addosso dalla nascita e al cui imperio solo raramente si riesce a sfuggire.
Da questo punto di vista, la scrittura di Kent Haruf - pur nella sua crudezza - riesce a essere fortemente empatica catturando il lettore in una vasta gamma di sensazioni e sentimenti. Quando uscirete da questo libro sarete coperti dalla sabbia del Colorado, avrete le mani callose degli allevatori e il volto coperto dalle rughe di una fatica indicibile.
Voto: 4/5
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