sabato 3 gennaio 2015

Mommy

Il mio primo post del 2015 è dedicato all'ultimo film visto nel 2014, così da creare un'ideale continuità cinematografica tra questi due anni e formulare l'augurio che tutti i film del 2015 siano belli come quest'ultimo di Xavier Dolan.

L'amore di una madre può tutto? Il legame madre-figlio è di per sé salvifico? Questo sembra chiedersi il giovanissimo cineasta canadese in Mommy e forse la risposta arriva fin dalle prime battute, quando l'assistente sociale risponde così alla madre del ragazzo, che è convinta che riprendendosi il figlio tutto si sistemerà: "Buona fortuna".

Diane "Die" Després (Anne Dorval) è una piacente quarantaseienne che mai ha rinunciato né saputo pienamente superare il suo lato infantile e adolescenziale, nonostante e forse proprio perché ha dovuto e deve affrontare una vita difficile, di cui non può fare a meno di assumersi le responsabilità. Vedova (suo marito è morto lasciandola piena di debiti), con un figlio sedicenne, Steve (Antoine-Olivier Pilon), che soffre di disturbi di attaccamento e di deficit dell'attenzione. Un bambino a suo tempo iperattivo e indisciplinato, ora un adolescente eccessivo, ingovernabile, insofferente alle regole, che risponde alle situazioni (soprattutto quelle che gli procurano ansia) con crisi di aggressività che l'hanno fatto cacciare dall'istituto riabilitativo dove viveva.

Da questo momento madre e figlio vanno insieme incontro alla vita, convinti che il loro amore ("Mamma, ci amiamo ancora?" "È la cosa che ci riesce meglio") gli permetterà di superare qualunque difficoltà. Entrambi istintivi, sopra le righe, governati dall'emotività, a loro modo bellissimi, tanto da attrarre e da incorporare nelle proprie dinamiche Kyla (Suzanne Clément), la loro vicina di casa dolce e remissiva, che si porta dentro un dolore insuperabile che la allontana emotivamente dal marito e dalla figlia.

La prospettiva del mondo di Diane, Steve e Kyla è stretta, direi costretta, come il regista ci rende evidente con la scelta di un formato di proiezione un po' più piccolo del 4:3, e solo nei brevi momenti di felicità e di armonia con il mondo circostante, nonché nei desideri e nei sogni, lo sguardo si allarga e respira, insieme a un immagine che diventa a tutto schermo.

La grandezza di Dolan sta nel costruire un melodramma (ambientato in un immediatamente prossimo futuro) che fin dalle prime battute sappiamo avere una fine inevitabile, ma che riesce in diversi momenti a farci sorridere, a trasmetterci emozioni positive e sprazzi di serenità, a farci sperare in un destino diverso, ma - tra una hit e l'altra (che riempiono ogni scena e anche la nostra mente anche all'uscita dalla sala) - ci mette infine di fronte all'inevitabile dramma che è scritto nel destino di questi personaggi. Diane - in una bellissima scena in cui lei e Kyla chiacchierano e ridono davanti a una sigaretta mentre noi le osserviamo dalla finestra - dice all'amica: "Ho sempre pensato che la vita è come una partita a poker. Se non parti con una bella coppia, perdi."

Il film di Dolan non ha nulla di retorico e - nella sua eccessività - è forte e realistico al contempo. Cattura lo spettatore esattamente per quello che è, ossia un film di una bellezza lancinante. Con tre protagonisti inevitabilmente perdenti, ma vitali come raramente si può vedere su uno schermo.

Voto: 4/5

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