giovedì 8 gennaio 2015

American Sniper

Devo ammettere che sono andata a vedere American Sniper con molti pregiudizi.

Non amo molto il cinema di Clint Eastwood; non mi piace granché il suo approccio conservatore, né la sua compiaciuta americanità, trovo piuttosto deboli oppure telecomandati gli intrecci narrativi di alcuni dei suoi film più acclamati.

E quindi mi ero detta che American Sniper non l’avrei visto; però, dopo aver sentito e letto un po’ di opinioni e recensioni e soprattutto perché non sopporto l'idea di non potermi costruire un punto di vista personale sulle cose, ho deciso di andare a vederlo.

Ebbene, devo dire che il film mi è piaciuto. A Clint Eastwood certo non manca il mestiere e credo che si trovi particolarmente a suo agio con l’azione; alcune sequenze di questo film – per esempio lo scontro durante la tempesta di sabbia ovvero gli appostamenti di Kyle da cecchino – sono assolutamente magistrali. È altrettanto forte talvolta la sensazione – sebbene io non sia in grado di dirlo per esperienza diretta – di essere all’interno di un videogiochi tipo Call of Duty, sensazione che raggiunge l’apice nel ralenti del proiettile che colpisce il cecchino islamico Mustafa.

Da un punto di visto narrativo, aiutato dal fatto che si tratta di una sceneggiatura non originale (parliamo della storia vera di Chris Kyle raccontata in un libro autobiografico), non ho avvertito quelle forzature che avevo colto in altri suoi lavori. Questo film procede scorrevole e senza strappi dall’inizio alla fine, seguendo una logica di una semplicità quasi imbarazzante.

Ed eccoci dunque ai contenuti e all’inevitabile dibattito che portano con sé. Chris Kyle (Bradley Cooper) è un texano nato in una famiglia cristiana, con un padre che ha da subito insegnato ai suoi figli a usare un fucile e gli ha spiegato che il mondo si divide in tre categorie di persone: le pecore, i lupi e i cani pastore, e che lui si aspetta che i suoi figli si comportino come cani da pastore, capaci di usare la violenza, ma solo per difendere le pecore dai lupi. Diciamo una visione del mondo un tantino semplicistica, ma decisamente efficace agli occhi di un bambino in una società che in qualche modo sembra credere alla possibilità di distinguere sempre il bene dal male e di stabilire di volta in volta da che parte stanno.

Chris cresce senza uno scopo da perseguire, fino a quando a seguito degli attacchi alle ambasciate americane in alcuni paesi musulmani decide di arruolarsi nei Navy Seals, il noto corpo speciale americano. Intanto si innamora di Taya (Sienna Miller) e la sposa, diventando padre di due figli, mentre compie in circa dieci anni (dopo l’11 settembre) 4 missioni in Iraq. Diventerà una specie di leggenda in quanto cecchino più letale della storia militare americana. Tornato in patria avrà problemi a riprendere la vita quotidiana e finirà ucciso - durante un’esercitazione a un poligono di tiro - da un altro reduce che stava cercando di aiutare.

Al suo funerale migliaia di persone lo saluteranno come un eroe, sventolando le bandiere americane.

Insomma, quello di Eastwood non è certo un film antimilitarista in senso stretto, sebbene non vengano passate sotto silenzio le atrocità della guerra, i tanti morti innocenti, le conseguenze fisiche e psicologiche spesso irreversibili sui reduci, il dolore delle famiglie.

Inoltre, il protagonista è decisamente presentato come un personaggio positivo, quasi senza un’ombra, con una morale molto semplicistica ma in qualche modo ferrea.

Probabilmente anche l’assenza di qualunque riflessione critica rispetto all’opportunità stessa della guerra in Iraq nasce dal fatto che il film rappresenta (e forse sposa?) il punto di vista di Chris, per il quale la guerra è un’inevitabile e diretta conseguenza dell’attacco alle torri gemelle ed è necessaria per difendere la patria, così come la sua condotta di guerra sarà sempre – almeno apparentemente – ispirata a quel ruolo di cane da pastore teorizzato dal padre, ossia usare la violenza solo per difendere se stessi o qualcun altro, dunque uccidere solo se necessario (Chris dirà di poter rispondere davanti a Dio di ogni colpo che ha sparato).

E qui entrano in gioco gli occhi, la sensibilità e la capacità critica di chi guarda. E ciò spiega perché questo film è stato letto in modi opposti da chi ci vede la celebrazione di un eroe e chi una profonda critica alla guerra.

Se sei all’interno di un punto di vista tangente a quello del protagonista il film appare decisamente un’esaltazione dell’eroismo di un americano buono e che ha combattuto per la patria e per la giustizia, pagando in prima persona le conseguenze della guerra.

Se ne sei all’esterno – come nel mio caso – io vedo in Chris Kyle il prodotto di una sottocultura americana fatta di ignoranza e semplificazioni, quella di cui l’aggressività militare americana – dettata da ragioni che non hanno nulla a che vedere con la difesa della patria in senso stretto – si è nutrita da sempre e in modo particolare negli ultimi decenni. Chris Kyle è una povera vittima inconsapevole – in quanto non ha gli strumenti critici per rendersene conto – di un sistema che lo ha usato, ma che alla fine in qualche modo inconsapevolmente anche lui usa. Alcuni dei suoi compagni, nonché suo fratello, percepiscono l’insensatezza della guerra, mentre Chris non si pone nemmeno una domanda, anche quando la sua guerra personale, la sua vera e propria competizione con il cecchino Mustafa, prende il sopravvento sul buon senso che gli avrebbe suggerito di aspettare l’arrivo dei rinforzi prima di sparare, per evitare la carneficina.

Chris Kyle non comprende la contraddizione enorme che c’è tra la sua convinzione di poter giustificare ogni singolo colpo esploso dal suo fucile e quell’attimo in cui ha nel mirino il bambino che ha imbracciato il kalashnikov. È solo una fortunata circostanza quella che gli impedisce di fare un’altra inutile vittima, cosicché a fronte di una fortunata circostanza chissà quante infelici situazioni hanno prodotto l’effetto contrario.

Insomma, a mio modesto modo di vedere, nel film di Eastwood apparentemente è tutto chiaro, esattamente come nella testa di Kyle: chi sono i buoni e chi i cattivi, dove sta il bene e dove il male. E molti guarderanno a questo film esattamente in questo modo. Basta però grattare solo un pochino la superficie per capire che tale semplicità è uno – se non il più potente – degli strumenti di cui si nutre la guerra per autoassolversi e giustificarsi.

Non so se nella testa di Eastwood c’era tutto questo, però io questo film lo voglio leggere così. Altrimenti lo devo inevitabilmente classificare come un film inutile, se non addirittura dannoso.

Voto: 3,5/5

2 commenti:

  1. Mi fai venir voglia di vederlo. Mi sembra la continuazione di Gran Torino, il miglior film di Eastwood a mio giudizio, perlomeno come etica di fondo (in Gran Torino, il reduce americano non può abbandonare l'ex alleato quando ha bisogno d'aiuto). E si, Clint è sempre molto ispettore Callaghan da regista, ma il tarlo del dubbio sa solleticarlo (Un mondo perfetto). Ciao, ti leggo sempre con grande attenzione, Serena Sangiorgi

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    1. Direi che ti consiglio di vederlo, senza farti troppo impressionare dal fatto che si tratta di un film di guerra! ;-) Grazie!

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