Riti di morte / Alicia Giménez-Bartlett; trad. di Maria Nicola. Palermo, Sellerio, 2002.
Lo dichiaro immediatamente, così chi non è d'accordo magari si evita di leggere l'intero post. Il libro non mi è molto piaciuto. Ma non tanto e non soltanto per il giallo, che pure ho trovato un po' forzato e scontato, bensì soprattutto per i due protagonisti.
L'ispettrice Petra Delicado, prima destinata a una triste mansione negli archivi (!) della polizia, poi catapultata in un caso di stupri seriali, e il viceispettore Firmin Garzón, non più giovane, mai stato atletico, poliziotto normalmente impegnato a dipanare reti di contrabbandieri, questa volta affiancato a Petra nella risoluzione di questo caso quasi disperato.
Non so. Che dire? Semplicemente non mi sono simpatici. Non mi comunicano molto, le loro vite e i loro pensieri non mi risultano particolarmente interessanti. Il fatto è che non risultano né sufficientemente e realisticamente spontanei per produrre empatia, né sufficientemente romanzati da appassionare.
Personaggi secondo me complessivamente un po' grigi, che solo a tratti riescono realmente a risvegliare il mio interesse. Ogni tanto Petra (qualcuno ci ha pure fatto una tesi a riguardo) mi risulta simpatica, quasi familiare, soprattutto quando tira fuori dal cilindro riflessioni come queste:
«[...] lei ha detto che nella sua vita tutto funziona bene e, all'improvviso, salta fuori un cambiamento inaspettato che distrugge tutto. Per me è esattamente il contrario, la mia vita non funziona mai bene. E appena arrivo a un punto statico in cui le cose si ripetono, mi viene voglia di cambiarla. Ma non in modo consapevole e meditato: con un gran rivolgimento emozionale. E allora cambio lavoro, cambio marito, cambio casa... non so, è come una permanente irrequietezza, sento il bisogno di dare un calcio al castello di carte che mi sono costruita.» (p. 145)
«[...] rimettersi in discussione è molto più nocivo del fumo, dei grassi animali e del caffè. È di questo che muore la gente in realtà: del colpo ricevuto nel domandarsi un bel giorno se le convinzioni di tutta una vita valessero la pena o no.» (p. 142-143)
«Ero giunta alla conclusione che sbagliare è l'unica cosa che l'essere umano può fare con una certa libertà.» (p. 385)
Ma, alla fine, non riesco ad apprezzare realmente la dinamica della relazione tra Petra e Firmin. In più non sento quasi per niente l'ambientazione catalana. Non riesco a sorridere a sufficienza dell'ironia che pure pervade il romanzo.
Che ne so? Sarò diventata arida tutt'a un tratto... Oppure con i libri è come con le persone. Ci si prende oppure no, per via di quelle inspiegabili reazioni chimiche che non hanno a che vedere con i pregi e i difetti reali di chi ci sta di fronte, ma semplicemente con la fase di vita che viviamo, con quello che stiamo cercando, con la nostra personale capacità di amalgamarci opportunamente con l'altro.
Con Alicia Gimenez-Bartlett niente colpo di fulmine. Succede.
Voto: 2,5/5
giovedì 29 luglio 2010
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