La famiglia Winshaw / Jonathan Coe; trad. di Alberto Rollo. Milano, Feltrinelli, 1996.
Approfittando della mia ultima vacanza ho ripreso in mano un libro che mi è stato regalato circa una decina di anni fa, ma che non avevo mai avuto voglia di cominciare a leggere, nonostante Jonathan Coe mi piaccia e abbia adorato il suo libro La casa del sonno.
Mi ha convinto il sentore che si trattasse di una saga familiare e invece nel libro ci ho trovato molto molto di più.
In realtà, La famiglia Winshaw è, infatti, il ritratto di un paese, la Gran Bretagna, durante il periodo thatcheriano, e del suo processo di decadimento sociale e morale, ritratto che non riconosciamo come desueto, ma assolutamente e tristemente attuale.
Sul piano letterario, il romanzo riesce a tenere il lettore incollato alle pagine, grazie a una struttura narrativa in cui si intersecano passato e presente, e in cui i ritratti dei personaggi e gli eventi sono messi in connessione da indizi che l'autore lascia qua e là consentendo al lettore di riallacciare i pezzi della storia. Anche dal punto di vista dei generi, il romanzo ne propone diversi, presentandosi a tratti come romanzo biografico, a tratti storico, nonché thriller, horror e saga di costume.
Numerosissime le citazioni letterarie e cinematografiche: è la scena di un film a fare da filo conduttore alla storia e il titolo originale What a carve up! non è altro che il titolo di quel film (in italiano Sette allegri cadaveri).
Le invenzioni non mancano e il quadro complessivo tiene fino in fondo.
E Coe riesce a rappresentare, attraverso i Winshaw, che nel giro di un paio di generazioni conquistano tutte le posizioni di potere (politica, economia, media, sistema bancario ecc.), la degradazione di ogni valore, l'avidità e la ricerca del successo senza alcun tipo di scrupolo, la cui follia sarà il germe dell'autodistruzione.
Durante la lettura del romanzo si ride (e anche molto!), ci si commuove, ci si indigna e, infine, si teme - condotti per mano dall'autore - che non ci sia salvezza né riscatto per alcuno.
Non c'è ottimismo nel libro di Coe, solo catarsi senza gioia. Del resto, il libro non è solo il ritratto dell'epoca thatcheriana, ma quello di una generazione disillusa e disorientata e di un'età, l'età adulta (Coe aveva 34 anni quando pubblicò il romanzo), che segna la fine degli ideali, dei facili entusiasmi e della speranza di futuro.
Peccato che questo libro abbia avuto poco successo in Italia. Credo potrebbe essere ora di riscoprirlo e di riconoscerlo a tutti gli effetti come un grande romanzo.
Voto: 4/5
domenica 2 agosto 2009
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allora lo leggo!!!
RispondiEliminaero all'aereoporto prima di tornare a NY ed ero indecisa tra "la casa del sonno" e questo qui. li tenevo in mano entrambi ma adesso ho capito che avrei dovuto prenderli tutti e due!
"La casa del sonno" lo definirei un'affascinante scala a chicciola!
Grazie, Grazia
La casa del sonno è bellissimo e la tua definizione mi sembra perfetta... Tra i due se dovessi scegliere, sceglierei "La casa del sonno". Questo è molto diverso, ma ti assicuro che ne può valere la pena...
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