lunedì 8 novembre 2021

Festa del cinema di Roma, 14-24 ottobre 2021 - Seconda parte

 (Per la prima e la terza parte delle recensioni si veda qui e qui

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C’mon C’mon

Joaquin Phoenix non sbaglia un colpo. Così, dopo aver interpretato Joker nel film omonimo (che a lui deve gran parte del suo successo), torna sul grande schermo in un film dal taglio molto più intimista, ma non per questo meno interessato ai grandi temi e alla dimensione ideale.

In C'mon C'mon di Mike Mills un Phoenix decisamente più in carne interpreta Johnny, un giornalista radiofonico che sta realizzando in giro per l'America delle interviste con bambini e giovani per raccontare la loro idea di futuro.

Dopo una telefonata con la sorella Viv (Gaby Hoffmann), con cui Johnny parla poco dopo alcune divergenze emerse durante la malattia della madre e in seguito alla morte di quest'ultima, Johnny decide di prendersi cura di suo nipote di nove anni, Jesse (Woody Norman) per aiutare sua sorella che invece deve occuparsi dei problemi mentali di suo marito.

Così, Johnny, che non solo non ha figli ma nemmeno una compagna, si trova a sperimentare le gioie e i dolori della genitorialità, e la complessità di un rapporto intimo con un bambino tra l'altro particolarmente consapevole e precoce (e forse è questo uno degli aspetti più deboli e meno credibili del film).

Poiché Viv è costretta a rimanere lontana da casa più a lungo del previsto, Johnny decide di portare Jesse con sé in giro per l'America per continuare le sue interviste: da Los Angeles si sposteranno dunque a New York e infine a New Orleans. Ai dialoghi e alle scene private che vedono protagonisti Johnny e Jesse si alternano i viaggi con la troupe e i momenti delle interviste con bambini e ragazzi di varia provenienza. Questi due filoni narrativi si richiamano vicendevolmente e si integrano: da un lato viene mostrato il volto privato della relazione tra adulti e bambini in una contemporaneità in cui mentre i genitori puntano sempre più sul dialogo e sulla comprensione, i bambini oscillano invece tra una consapevolezza financo eccessiva e la necessità di essere infantili e forse inevitabilmente viziati. Dall'altro lato si dà voce al punto di vista "in pubblico" di bambini e ragazzi, che pure mette in evidenza una inedita lucidità sui problemi della contemporaneità (tra cui centrale il tema del cambiamento climatico) e l'inevitabile disillusione che porta con sé, e insieme la spontaneità e le preoccupazioni più tipiche dell'età.

A fare da trait d'union tra questi due mondi narrativi, il personaggio magistralmente interpretato da Phoenix, che alla fine emerge come quello più vero, con la sua difficoltà a verbalizzare i sentimenti, le sue confessioni private al proprio microfono, le sue tenerezze, le sue arrabbiature, i suoi pentimenti, le sue incertezze e la sensazione di non essere all'altezza delle aspettative della vita.

Dentro un bianco e nero pulito e luminoso (davvero godibile alla vista), viaggiamo insieme a Johnny e Jesse, e un po' tifiamo per loro, un po' ci commuoviamo, un po' ci arrabbiamo, ma soprattutto speriamo - noi vecchi - di poter lasciare questo mondo in buone mani, e se così non sarà di potercene andare in pace con la nostra coscienza.

Un film certamente da vedere, sebbene non privo di difetti: oltre a quelli già citati, sicuramente l'essere a tratti troppo didascalico (si vedano le letture di citazioni tratti da saggi e romanzi sul tema della genitorialità) e una colonna sonora decisamente un po' troppo scontata, su cui si poteva fare molto di più.

Voto: 4/5 



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Belfast

La rassegna Alice nella città quest'anno è impreziosita dalla proiezione dell'ultimo film di Kenneth Branagh, con il quale il regista fa letteralmente un'operazione di ricostruzione della memoria, con una forte componente nostalgica.

Siamo infatti nella sua città natale, Belfast, e questa è sostanzialmente la storia di come e perché lui e la sua famiglia si sono trasferiti in Inghilterra alla fine degli anni Sessanta.

Dalla visione panoramica e a colori della città di Belfast com'è oggi - e con cui si apre il film - ci si immerge a poco a poco nelle sue strade e dietro un muro si scopre un mondo in bianco e nero e un quartiere che non c'è più. Si tratta del quartiere dove vive Buddy (Jude Hill), un ragazzino di nove anni che passa le sue giornate tra la scuola (innamorato della bionda seduta al primo banco), i giochi per strada con i vicini, le chiacchierate con i nonni (Judi Dench e Ciarán Hinds), le funzioni religiose (con le omelie terrificanti del pastore), la televisione dove guarda soprattutto film western, la vita in famiglia (in particolare con la madre e il fratello, visto che il padre lavora come carpentiere in Inghilterra).

In questa vita tutto sommato ordinaria irrompe il conflitto religioso e il quartiere dove abita Buddy e dove convivono pacificamente da generazioni cattolici e protestanti viene preso di mira da chi non vede di buon occhio questa convivenza e decide di scegliere la strada della violenza.

Mentre per le strade divampa il conflitto, anche all'interno del nucleo familiare di Buddy si innesca una serie di eventi destinata a portare grandi cambiamenti: il nonno si ammala, mentre la madre e il padre discutono se lasciare o meno il quartiere e la città dove hanno sempre vissuto.

Sarà proprio questo cambiamento a segnare per Buddy la fine della spensieratezza dell'infanzia e il passaggio a una nuova fase della vita, che passerà attraverso addii dolorosi e a volte inevitabili per aprirsi al nuovo.

Un film quello di Branagh intriso di amarcord, che sa essere tenero, divertente e drammatico allo stesso tempo, e in cui emerge la capacità del regista di conquistare il pubblico con trovate interessanti (per esempio le scene al cinema, in cui tutto è in bianco e nero, come il resto del film, tranne quello che viene proiettato sul grande schermo).

C'è sicuramente del mestiere in questa operazione, e qualche elemento di piacioneria (a tratti si ha la sensazione di un ricordo non solo nostalgico ma anche edulcorato), però alla fine il risultato è gradevole e secondo me destinato al successo.

Voto: 3,5/5



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Mi novia es la revolución


Siamo in Messico negli anni Novanta. Sofia (Sofia Islas Herrerias) ha 15 anni e si è da poco trasferita insieme alla madre e alla sorella più piccola in una nuova città, dove non conosce nessuno e fa fatica a integrarsi. Davanti a sé ha la prospettiva della quinceañera, la festa del passaggio all'età adulta tipica del mondo sudamericano, e che la madre vuole organizzare in maniera molto tradizionale.

Sofia è una ragazza introversa e apparentemente conformista, come emerge da una delle prime sequenze del film in cui si dà lo smalto sulle unghie e balla guardando un video di musica pop.

Mentre la madre litiga al telefono con il padre per motivi economici e intanto frequenta un giro di amiche che fanno commerci spregiudicati con prodotti statunitensi, Sofia guarda al mondo con distacco e quasi repulsione, fino a quando non incontra Eva (Ana Valeria Becerril), una giovane ribelle e anticonformista, che non solo ascolta musica rock e diserta la scuola, ma si intrufola nelle case altrui per rubare.

Sofia si trova così catapultata in una dimensione completamente nuova di fronte alla quale prima si muove con timidezza e paura, e poi con sempre maggiore spregiudicatezza e al contempo consapevolezza crescente della propria identità e dei propri desideri. La ragazza dovrà fare i conti con le gioie e i dolori dell'innamoramento, e anche con la necessità di far fronte alle conseguenze delle proprie azioni. Apparentemente il suo percorso di ribellione, che passerà anche attraverso l'allontanamento da Eva, si concluderà con un ritorno alla "normalità", ma in realtà è evidente dalla conclusione del film che Sofia va incontro al futuro con uno spirito indipendente e intraprendente, ben diverso e lontano dai modelli familiari in cui è cresciuta.

Ancora un film di coming of age, con un impianto piuttosto classico, ma impreziosito da un'ambientazione interessante (a livello sia spaziale che temporale), che si lascia guardare con affetto.

Voto: 3/5


2 commenti:

  1. "Belfast" è indicato da tutti i rumors come il probabile vincitore dei prossimi Oscar, e questa tua recensione me lo conferma: accattivante, ruffiano, manieristico, perfetto per i giurati dell'Academy! :)

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