mercoledì 2 ottobre 2024

Da Venezia a Roma. Parte 1: Nonostante, Mon inséparable, Peacock, Leur enfants après eux

E anche quest'anno noi che viviamo a Roma e che alla Mostra del cinema di Venezia non ci andiamo attendiamo con ansia la settimana delle anteprime di Venezia a Roma. Ho letto che si è trattato di un Festival di Venezia un po' mainstream e non all'altezza di altri anni, però personalmente non posso perdere l'occasione di vedere film che chissà se e quando arriveranno in sala.

In circa una settimana di full immersion riesco a vedere ben sette film. Qui i primi quattro. 

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Nonostante 

Devo essere sincera: del primo film di Mastandrea da regista, Ride, che pure avevo visto, non ricordavo praticamente nulla. Dopo la visione di quest'ultimo film, sono andata a rileggermi il post che avevo scritto a suo tempo, e ci ho ritrovato alcune delle sensazioni provate anche durante la visione di Nonostante.

Innanzitutto va detto che Mastandrea deve avere una specie di ossessione per la morte, visto che entrambi i film ruotano intorno a questo evento, e quest'ultimo è dedicato al padre Alberto, morto nel 2014.

Come ci spiegano Mastandrea e il cosceneggiatore Audenino, questo è un film immaginifico, non realistico, e per trattare di un tema così concreto come la morte sceglie di mettere al centro della narrazione coloro che sono tra la vita e la morte, ossia in uno stato di coma, facendoli interagire tra loro e con il mondo circostante.

Sarebbe un peccato dire di più della trama di questo film che in parte punta sulla scoperta progressiva dell'universo narrativo da parte dello spettatore. E va detto che sicuramente l'idea di fondo è davvero molto buona ed è un modo estremamente originale di riflettere sulla vita stessa, che in fondo è una parentesi tra due oblii, quello precedente alla nascita e quello successivo alla morte, oblii attenuati solo dal tenue e caduco ricordo di chi ci ha conosciuti e amati.

Non vi immaginate però un film tetro e angosciante, perché Mastandrea - con la complicità di gente come Lino Musella e Laura Morante - sa introdurre ironia e leggerezza in questa storia, sia grazie alla sceneggiatura che grazie alla recitazione.

Date per acquisite le cose che mi sono piaciute, devo però dire che il film non mi è sembrato pienamente riuscito da molteplici punti di vista: alcuni passaggi narrativi, come ad esempio la storia d'amore, mi sono sembrati un po' forzati; in generale la meccanica del film non risulta totalmente fluida e oliata, e alcune cose appaiono un po' didascaliche. Anche la colonna sonora - pur gradevole - mi è risultata un po' appiccicata da un lato, e un po' troppo parlante e convenzionale dall'altro. La protagonista femminile, Dolores Fonzi, non mi è sembrata particolarmente convincente, soprattutto nell'interazione con Mastandrea. Alla fine, fatte salve le ottime intenzioni, l'idea molto originale e alcune trovate molto carine, personalmente ho trovato questa prova registica ancora un po' acerba.

Voto: 3/5

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Mon inséparable

Avevo già avuto modo di ammirare il talento di Laure Calamy in un altro film francese, Full time - Al cento per cento, che avevo apprezzato particolarmente e che ora, dopo la visione del film di Anne-Sophie Bailly, mi è sembrato quasi un ideale prequel di quest'ultimo.

In Mon inséparable Laure Calamy ancora una volta interpreta una madre single, Mona, ma questa volta al centro c'è il rapporto con un figlio grande, circa 30 anni, con un ritardo cognitivo, Joel (Charles Peccia), cui la donna ha evidentemente dedicato tutta la propria esistenza, barcamenandosi tra il lavoro, la gestione della casa e le necessità del figlio. I due sono inevitabilmente legati a doppio filo, in maniera tenera e forte al contempo.

Questo legame viene sconvolto dalla notizia - del tutto inaspettata per Mona - che Joel ha messo incinta Océane (Julie Froger), una giovane donna con disabilità che frequenta lo stesso centro dove lavora Joel.

A partire da questa notizia si innesca una serie di reazioni che riguardano molte persone (tra cui ad esempio i genitori di Océane), ma soprattutto è il rapporto tra Mona e Joel a essere in qualche modo messo in discussione, come sempre accade nei rapporti di co-dipendenza, quando una delle due persone produce uno strappo. In questo caso, di mezzo c'è anche la disabilità di Joel, la difficoltà ad accettare le sue scelte, in generale la tendenza a infantilizzare e a non considerare capaci di decisioni autonome e responsabilità le persone con disabilità, e ovviamente il senso di tradimento e di abbandono di Mona, che in parte ha rinunciato a costruirsi una propria vita per occuparsi del figlio.

E tutto questo viene reso in maniera estremamente realistica (grazie a una regia attenta, a un'ottima direzione di attori e a una sceneggiatura molto ben scritta) e proprio per questo arriva in maniera forte allo spettatore dal punto di vista emotivo. Oltre a Laure Calamy, ho apprezzato particolarmente gli attori che interpretano Joel e Océane, che sono effettivamente persone con disabilità (come raramente si vede al cinema anche nei ruoli di personaggi con queste caratteristiche) per le quali il film si è avvalso di una figura di accessibility coordination manager, Margault Algudo-Brzostek, che si è occupata di creare le condizioni di lavoro giuste per questi attori (bella l'intervista in cui spiega alcuni aspetti del lavoro per questo film).

Un film su una tematica che si sarebbe prestata a tanta retorica e ad altrettanto melodramma riesce invece ad essere asciutto, teso, diretto e anche a suo modo ironico. Per me è un sì.

Voto: 3,5/5



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Peacock

L'opera prima del giovane regista austriaco Bernhard Wenger ha come protagonista Matthias (il bravo Albrecht Schuch), un giovane che lavora in un'agenzia che noleggia esseri umani che dovranno interpretare un ruolo secondo le esigenze e le finalità del cliente: un fidanzato colto e raffinato, un figlio devoto e di successo, un padre pilota di aereo, un amico di vecchia data. 

All'interno dello staff di questa agenzia, Matthias è il più bravo e il più richiesto, quello che ottiene sempre le recensioni più positive dai clienti, quello in grado di controllare ogni dettaglio della sua "performance", però - man mano che il suo lavoro procede e la sua capacità mimetica migliora - il confine tra  il sé stesso vero e quello che di volta in volta finge di essere si fa sempre più labile, e la capacità di avere propri punti di vista, opinioni, pensieri va svanendo.

Quando la sua fidanzata lo lascia, abbandonando la bellissima, ma asettica casa nella quale vivono insieme (anch'essa senz'anima e fatta per piacere solo agli altri), e successivamente il marito di una cliente comincia a perseguitarlo perché la moglie lo ha lasciato dopo aver fruito dei servizi dell'agenzia, nella vita controllatissima di Matthias cominciano a manifestarsi delle crepe che si allargano sempre di più, producendo una crisi che l'uomo non sa nemmeno come gestire, se non utilizzando gli stessi strumenti che usa per lavoro.

Lo sguardo di Wenger però non è solo concentrato sul suo personaggio, ma si allarga a una società intera che vive sempre più di apparenze e di performance, che finge le emozioni ed è incapace di provarne di vere, che fa fatica a gestire l'imprevisto e la variabilità.

Il tono del film - che sicuramente ha come punto di riferimento il cinema di Östlund, e che in alcuni passaggi lo omaggia persino - oscilla tra l'angosciante e il grottesco: si ride molto di fronte alle avventure e disavventure di Matthias, ma si prova anche un'angoscia crescente o quantomeno un senso di turbamento profondo che - a differenza che verso alcuni personaggi di Östlund - muove anche una empatia e una pietas non scontate.

Una bella prima prova che a questo punto fa venire curiosità sul prosieguo del lavoro di questo cineasta.

Voto: 3,5/5

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Leur enfants après eux = E i figli dopo di loro

Tratto dal romanzo di Nicholas Mathieu, tradotto in Italia con il titolo E i figli dopo di loro (che a questo punto mi è venuta curiosità di leggere), il film dei fratelli Ludovic e Zoran Boukherma, per me assolutamente sconosciuti anche se pare siano al quarto lungometraggio, ma al primo non di genere, è ambientato negli anni Novanta in una piccola cittadina immaginaria della Lorena, dove una grande fabbrica che ha dato lavoro a molte persone è ormai in dismissione e la maggior parte delle famiglie che hanno vissuto grazie al lavoro nella fabbrica si trovano a barcamenarsi con lavori temporanei e a fare i conti con difficoltà economiche.

In questo contesto si muove Anthony (Paul Kircher, vincitore a Venezia del Premio Mastroianni per l'attore emergente, e che io avevo già apprezzato ne Le Lycéen), che nell'estate del 1992 ha quattordici anni e, insieme al cugino coetaneo, gira in bici per il paese e i suoi dintorni in cerca di diversivi e per sfuggire alla noia. In questa estate molte cose segneranno il futuro di Anthony: la conoscenza di Steph, che diventerà la sua ossessione amorosa per molti anni a venire, la festa per andare alla quale il ragazzo prende di nascosto la moto del padre, il furto della moto da parte di Hacine, un giovane immigrato marocchino che vive con suo padre alla periferia del paese insieme ad altri immigrati, e tutte le conseguenze che questo comporterà. Seguiremo poi l'andamento della vita di Anthony in quattro estati successive, nel 1994, nel 1996 e nel 1998, accompagnati dalla musica di quegli anni che ha un posto centrale (diegetica ed extradiegetica) in questo film. Anthony crescerà, così come Steph, Hacine, e gli altri giovani che vivono nel paese, dentro un mondo dalle prospettive incerte, mentre intanto i loro genitori invecchiano annaspando in vite spesso costellate di sconfitte e fallimenti.

Alla fine non ci saranno vincitori, ma solo perdenti in varie gradazioni, perché la vera protagonista del film dei Boukherma è la microprovincia postindustriale in cui tutto si compone (anche le tragedie), ma anche tutto soffoca nella frustrazione e nell'assenza di prospettive.

Il film è interessante e, nonostante la durata non breve, si segue con passione. Mi pare però si faccia troppo "manierista" nell'inseguimento di alcuni stilemi e strutture narrative, e alla fine ciò che veramente illumina lo schermo è la straordinaria faccia da schiaffi di Paul Kircher, un cattivo ragazzo di provincia che però non può non ispirare tenerezza ed empatia.

Voto: 3/5


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