mercoledì 6 aprile 2022

Parigi, 13Arr. = Les Olympiades

Innanzitutto trovo buffo il fatto che il film di Jacques Audiard, uscito in patria con il titolo Les Olympiades (nome di un distretto di Parigi), esca in Italia con un titolo in parte in francese, in parte in italiano, che riconduce il nome proprio del distretto a quello più generico del quartiere, Parigi, 13Arr. Vero è che non è scontato conoscere la toponomastica parigina, ma forse non è scontato nemmeno sapere che i quartieri di Parigi si chiamano arrondissements.

Un'altra buffa cosa è che, pur essendo andata a vedere il film in lingua originale, i cambi di scena in cui compaiono sullo schermo frasi come "Un buon mese dopo" o similari presentavano le scritte in italiano, creando un effetto decisamente straniante, in linea del resto con quello provocato dalle immagini di questo quartiere fatto di altissimi palazzoni e fitte geometrie, molto lontane dall'idea che abbiamo di Parigi. 

Les Olympiades è un distretto che è stato costruito ispirandosi alle teorie architettoniche razionaliste di Le Corbusier e il cui sviluppo ha confermato l'impossibilità di pianificare a tavolino l'uso di uno spazio urbano. In questo caso il quartiere è divenuto un coacervo di etnie di varia provenienza, con una forte presenza cinese in termini di popolazione e di esercizi commerciali, al punto che uno dei personaggi secondari dice che guardando dalla finestra sembra quasi di stare a Shanghai.

Razionalismo e groviglio sono le due facce della medaglia delle vite dei protagonisti di questa storia, per la quale Audiard si è ispirato ai fumetti di un autore cult, Adrian Tomine (americano di origine giapponese), in particolare alla sua pluripremiata raccolta di storie brevi Killing and dying che io ho letto qualche anno fa senza entusiasmi. Non ricordo molto di quel graphic novel, tuttavia il curioso mix di desiderio di controllo e totale confusione nella gestione dei sentimenti che si avverte nel film mi ha fatto pensare parecchio alla sensazione avuta nel leggere le storie di Tomine.

D'altra parte, in Les Olympiades si vede forte anche la mano più empatica di Céline Sciamma, che insieme a Léa Mysius, firma la sceneggiatura non originale del film.

Ne viene fuori un ritratto generazionale quasi senza sbavature, credibile, ben costruito, vero, capace di essere compreso anche al di fuori della generazione rappresentata, cosa non scontata nei prodotti (letterari e cinematografici) che ritraggono i trentenni e i quasi trentenni di oggi e che spesso soffrono di una tendenziale autoreferenzialità.

Protagonisti sono quattro circa trentenni: Camille (Makita Samba), un ragazzo di colore che insegna al liceo e conduce una vita sessuale piuttosto intensa, ma senza legami sentimentali, Émilie (Lucie Zhang), una ragazza di origine cinese che abita nella casa della nonna, non lontana dalla struttura dove quest'ultima - malata di Alzheimer - è ricoverata, Nora (Noémie Merlant) che si è trasferita a Parigi da Bordeaux per studiare o forse per fuggire da qualcosa, Amber (Jehnny Beth), una giovane che si guadagna da vivere mediante sessioni video pornografiche.

Le vite di queste quattro persone non ci vengono raccontate nei dettagli: piccoli indizi, mezze parole, alcuni sguardi ci fanno capire che ognuno di loro deve fare i conti con alcune pesantezze, del passato o del presente, e che tutti sono alla ricerca di una forma di spensieratezza/felicità. Tutti appartengono a una generazione la cui libertà ha confini piuttosto ampi, dal punto di vista sessuale e non solo (in questo film anche le barriere etniche e culturali tra i personaggi sembrano contare poco o niente), ma che fa molta fatica a conciliare questa libertà con la possibilità di dare una nuova forma ai sentimenti e che si scontra con pesanti sensi di colpa e nodi non ancora risolti. In un certo senso - come ho avuto modo di dire commentando alcuni romanzi generazionali particolarmente rappresentativi di questa generazione - questi giovani sono talmente in difficoltà nel mettere insieme un passato ancora incombente con un presente che ha almeno apparentemente mille opportunità da finire per sabotare la loro stessa possibilità di essere felici.

Sfrontati ma insicuri, duri ma anche fragilissimi, con un mondo interiore complesso ma talvolta insensibili, sognatori ma fin troppo coi piedi per terra, i protagonisti del film sarebbero da prendere a schiaffi in alcuni momenti, eppure non si può non amarli e non sperare per loro in un futuro migliore, che con il suo lieto fine Audiard (appartenente a tutt'altra generazione) decide di regalargli, forse più a mo' di speranza che confortato dall'esperienza.

Il più bel ritratto - in un raffinato bianco e nero - della generazione dei trentenni che io abbia visto/letto e l'unico finora a non essermi risultato in parte respingente.

Voto: 4/5


3 commenti:

  1. Hai ragione, non vedo il motivo per cui si è scelto di cambiare il titolo originale... mah. Ad ogni modo film affascinante e straniante, come la storia che racconta. Ho fatto un po’ fatica, lo ammetto, ma credo sia dovuto al fatto che ormai ho quasi il doppio degli anni dei protagonisti del film e ho sempre vissuto nella stabilità. Non sono riuscito ad immedesimarmi appieno, ma quando un film stimola riflessioni e discussioni (come questo) merita la visione a prescindere.

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    1. Ciao Kris! Che bello ritrovarti proprio su questo film... Posso capire che hai fatto fatica a entrarci. Io ho una specie di ossessione per ciò che rappresenta i trentenni di oggi anche se io di anni ne ho ormai quasi 50. E del resto pure Audiard e la Sciamma non sono certo dei trentenni... ;-)

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    2. Io ne faccio 50 quest'anno... è durissima!! :) ad ogni modo complimenti a Audiard e la Sciamma

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