Persone normali / Sally Rooney; trad. di Maurizia Balmelli. Torino: Einaudi, 2019.
Dopo Parlarne tra amici, che avevo trovato interessante ma in cui avevo fatto fatica a entrare emotivamente, ho deciso di dare una seconda possibilità a questa giovane scrittrice irlandese, che dopo soli due romanzi è considerata una delle penne migliori e più originali della sua generazione.
In Persone normali i protagonisti sono Marianne e Connell e la storia si sviluppa tra il 2011 e il 2015. I due si incontrano di sfuggita nella cucina della casa di Marianne dove Connell si affaccia in attesa che sua madre – che in quella casa fa le pulizie – termini il lavoro e possa tornare a casa. È dunque evidente che appartengono a due ambienti socio-culturali differenti e hanno disponibilità economiche molto diverse, che però non incidono sul rendimento scolastico, visto che Marianne e Connell sono tra gli studenti più brillanti del liceo che frequentano entrambi.
I due giovani riconoscono delle affinità e un’attrazione reciproca che li porterà a iniziare una storia; tuttavia, poiché Marianne si porta addosso lo stigma dei suoi compagni di scuola per il fatto di essere strana e isolata, il rapporto con Connell resta nell’ombra e di fronte al mondo i due fanno finta di non conoscersi.
Man mano che il tempo passa le cose cambiano, soprattutto dopo che Marianne e Connell si trasferiscono a Dublino per frequentare il Trinity College. Marianne sboccia alla vita sociale e diventa una delle ragazze più desiderate e ambite dell’università, sempre circondata di amiche e di aspiranti fidanzati, mentre Connell ricade in una condizione di marginalità e a tratti di depressione.
Nemmeno Marianne però è immune da fallimenti e passi falsi che la costringono a più riprese a mettersi in discussione e a rivedere le sue convinzioni.
Nel frattempo Marianne e Connell si avvicinano a si allontanano più volte nel corso di questi anni, e il loro rapporto oscilla tra indifferenza, amicizia, condivisione sessuale, amore, mentre ognuno di loro sperimenta rapporti con altre persone e si interroga su quello che vuole dalla vita, oltre a fare i conti con le tare che si porta dietro dal passato e i traumi familiari anche presenti.
Al termine della lettura di questo secondo romanzo non posso che confermare l’impressione che già avevo avuto dopo la lettura del primo: faccio fatica a immedesimarmi in questi due giovani forse perché sono molto più giovani di me (ma non sono convinta che alla loro età io fossi come loro, o magari non me lo ricordo) ovvero perché appartengono a una generazione costituzionalmente diversa dalla mia.
Le loro profonde insicurezze, il male di vivere, il disagio profondo, le difficoltà a gestire le apparenze sociali fanno a pugni con la libertà ch’essi mostrano rispetto alle forme della relazione e alla propria sessualità. Tutto quello che per noi era tabù e, non solo non si poteva nominare, ma quasi non si poteva nemmeno pensare per questi ragazzi è un’opzione possibile; però queste possibilità non si traducono in uno stato psicologico più risolto e in scelte di vita più pacifiche, bensì in un’inquietudine costante e in forme di autosabotaggio per certi versi quasi incomprensibili.
I personaggi della Rooney sono probabilmente il corrispettivo contemporaneo di un giovane Holden, e mi chiedo se la generazione successiva a quella di Salinger avesse - rispetto al modo di essere di Holden e dei suoi coetanei – la stessa sensazione di estraneità e la stessa difficoltà a comprendere che provo io.
Mi piacerebbe anche sapere se e cosa questo romanzo dice a chi di quella generazione fa parte, e devo ammettere che se penso ad alcune persone che conosco e che vi appartengono riconosco effettivamente dei tratti che li accomunano.
Insomma, per quanto mi riguarda più uno studio antropologico e sociale, che un vero piacere nella lettura, cosa che in qualche modo finisce per lasciarmi insoddisfatta.
Voto: 3/5
mercoledì 30 dicembre 2020
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