martedì 11 ottobre 2016

The girl who saved my life

Secondo e ultimo appuntamento al Palazzo delle Esposizioni per la rassegna di documentari selezionati dalla rivista L'internazionale, dedicata a temi di attualità e ai diritti umani.

In questo caso il documentario è quello realizzato da Hogir Hirori, un curdo iracheno che vive in Svezia dove ha una moglie e un figlio. Mentre sua moglie sta aspettando il suo primo figlio, Hogir - che alla fine degli anni Novanta è scappato dal Kurdistan iracheno e ha fatto il viaggio della speranza di tanti profughi attraverso la Turchia, l'Albania, l'Italia, l'Austria e la Germania arrivando alfine fortunosamente in Svezia - decide di tornare nel suo paese per documentare la situazione a più di 15 anni di distanza e senza che la guerra e il dramma dei profughi di fatto siano mai finiti.

Durante questo suo primo viaggio Hogir incontra molti profughi curdi, soprattutto Yazidi abitanti delle montagne dello Sinjar, che le forze dell'IS hanno parzialmente sterminato, costretto alla conversione, oppure hanno spinto ad imbracciare le armi o alla fuga. Le distese infinite di campi profughi e le storie terribili di tante famiglie smembrate, disperse, con componenti uccisi o venduti o catturati dall'IS sono un pugno allo stomaco, uno schiaffo in faccia a noi occidentali tutte le volte che ci rifiutiamo di affrontare questi enormi drammi umanitari determinati da guerre di cui siamo parte in causa.

In particolare, durante il suo primo viaggio, Hogir incontra Souad, una ragazzina di 11 anni che sta distesa sotto una cisterna rossa, malata, abbandonata, incapace di mangiare. Per occuparsi di lei Hogir decide di rinunciare a salire sull'elicottero curdo che ogni giorno porta da mangiare a chi - circondato dalle forze dell'IS - è rimasto intrappolato e senza cibo sulle montagne dello Sinjar e porta via non più di 25 persone alla volta. Purtroppo l'elicottero su cui Hogir sarebbe dovuto salire si schianta sulle montagne e Hogir si rende conto che la piccola Souad gli ha salvato la vita.

Da questo momento in poi per Hogir diventa prioritario ritrovarla, e per questo ritorna in Kurdistan una seconda volta; durante questo secondo viaggio va alla ricerca di Souad, nonché di coloro che ha incontrato durante il primo viaggio e che gli hanno raccontato le loro storie, oltre a documentare l'evoluzione della situazione della regione dove da un lato i combattenti curdi sono riusciti a liberare alcune zone e dall'altro l'IS in ritirata ha lasciato solo macerie e distruzione. Riuscirà a ritrovare quasi tutti e a fare un piccolo regalo a ognuno: ad una donna fa incontrare i figli che non vede da 2 anni, ad un'altra donna con la figlia dà la possibilità di raggiungere la tomba del marito sulle montagne ecc. Ma non si dà pace finché non ritrova Souad e non riesce a portarla a Erbil per una diagnosi della sua malattia.

Hogir tornerà un'ultima volta in Kurdistan con la moglie e il figlio per incontrare ancora una volta Souad e la sua famiglia.

Il documentario di Hogir Hirori è un piccolo gioiello che tutti in Europa - e non solo - dovrebbero vedere, per capire l'enormità di quello che accade in questa parte del mondo non così lontana da noi, per comprendere il dramma senza fine dei popoli in guerra. Il regista riesce a raccontare questo mondo senza pigiare eccessivamente sul tasto della retorica e del melodramma, ma mantenendosi in equilibrio tra il bisogno di documentare con un approccio quasi giornalistico e la necessità altrettanto forte di raccontare le storie delle persone e di dare una dimensione umana a questa immane tragedia, di cui non sappiamo nulla o forse non vogliamo sapere nulla.

Voto: 4/5

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