venerdì 21 ottobre 2016

Una

Eccomi al primo appuntamento di quest'anno con la Festa del cinema di Roma, che io cerco di non farmi scappare non potendo ambire - al momento - a frequentare festival più blasonati. Quest'anno - se ce la faccio - dovrei riuscire a vedere parecchi film, soprattutto nell'ultimo fine settimana di programmazione.

Comincio questa avventura con il film Una e inizio da una location periferica rispetto al cuore della festa, che si svolge all'Auditorium. Sono infatti al cinema Farnese in compagnia di F.

Non so quasi nulla del film se non che la protagonista è Rooney Mara (che avevo apprezzato in Carol); d'altra parte la sinossi del film è piuttosto generica e poco esplicativa. Capirò poi che in fondo è perfettamente in linea con il registro scelto dal regista Benedict Andrews.

La prima mezz'ora del film, secondo me, è un vero e proprio saggio di perizia cinematografica, magistrale nel giustapporre brevi sequenze quasi senza parlato che creano un senso di spaesamento e di mancanza di punti di riferimento, e dunque immediatamente una sotterranea angoscia, perché qualche indizio c'è ma il regista non ci fornisce strumenti di comprensione piena e dunque di controllo della situazione.

Via via che la trama del film si dipana quello che sappiamo è che Una (Rooney Mara), una giovane donna che ancora vive a casa con la madre, certamente ha qualcosa di irrisolto che si porta dentro. Ma mano capiamo che le brevi sequenze che intervallano il presente si riferiscono a un momento passato della sua vita, quando aveva 13 anni. La seguiamo mentre - senza dire nulla alla madre e trovando una scusa con il lavoro - si dirige alla sede di un'azienda dove cerca Ray, che - scoprirà presto - ora si fa chiamare Peter (Ben Mendelsohn). Ray è un amico di suo padre, dunque molto più grande di lei, ed è l'uomo con cui a 13 anni aveva avuto uno storia d'amore giunta fino al punto della fuga da casa. La vicenda era poi finita in tribunale e Ray era stato condannato a 4 anni di carcere, dopo i quali si era rifatto una vita con un altro nome.

Di cosa parla questo film? Di pedofilia? In realtà il termine non viene mai - e credo volutamente - utilizzato. Entrambi i protagonisti di questa storia, Ray e Una, sembrano trasmetterci l'idea che la loro storia di allora era stata il frutto di un vero innamoramento e trasporto reciproco, e che in qualche modo solo le circostanze e una serie di coincidenze più o meno sfortunate non ne avevano consentito il coronamento.

Una, la protagonista, accusa Ray non di averla violata, bensì di averla abbandonata, di aver tradito il suo amore, e tutte le sue recriminazioni sulla manipolazione dell'uomo rispetto a una ragazzina di 13 anni appaiono più come una elaborazione sociale e intellettuale che come l'espressione di un sentimento proprio.

Certamente la vicenda ha cambiato la vita di entrambi i protagonisti e la violenza dei suoi esiti sia rispetto alla vita di Una che a quella di Ray ha in qualche modo soffocato i sentimenti e in parte li ha trasformati in risentimento reciproco.

È vero però che il film non è costruito in maniera così lineare come il mio racconto sembra far pensare fin qui; molte cose di quanto è accaduto nel passato non vengono dette e lasciate nell'ambiguità, alcune situazioni del presente non vengono sciolte (per esempio i rapporto tra Ray e la sua attuale moglie, e la figlia di costei), e la ricostruzione di quanto accaduto dopo la fuga dei due è affidata ai racconti dei protagonisti, cosicché la spiegazione dell'abbandono da parte di Ray, oltre che in parte poco convincente, risulta inverificabile.

Ray è dunque uno a cui piacciono le ragazzine e che cerca situazioni come quella che a suo tempo si era creata con Una, oppure è un uomo maturo, ma in fondo un po' adolescenziale che si è innamorato veramente di una ragazzina? E Una è stata una vittima della manipolazione di quest'uomo, oppure soggetto attivo e almeno in parte consapevole delle scelte che ha fatto?

È possibile e accettabile - anche nell'ipotesi migliore di un innamoramento reciproco - un rapporto di questo tipo, in cui uno dei due soggetti forse non ha l'esperienza, gli strumenti e la maturità per difendersi dalle conseguenze emotive di un tale rapporto? La possibilità e la accettabilità sociale di questi rapporti è un dato culturale, e dunque cambia nel tempo e a seconda dei gruppi umani, o è qualcosa che sta scritta nella nostra fisiologia? Il film con il suo impianto in cui la suspence la fa da padrona lascia aperti tutti questi interrogativi al dibattito e alla riflessione fuori dalla sala.

Voto: 3,5/5


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