L'uomo di Lewis / Peter May; trad. di Chiara Ujka. Torino: Einaudi, 2013.
Uno dei pochi telefilm del genere giallo-poliziesco che non solo vedo volentieri ma mi piace molto è Cold case. Ve lo ricordate? È quello con la poliziotta magra e bionda che si occupa di casi irrisolti del passato, in cui è necessario non solo ricostruire tracce ormai lontane nel tempo, ma anche in qualche modo tuffarsi nell'atmosfera dell'epoca, ricostruita in godibilissimi flashback.
Ebbene, questa premessa per dire che il secondo volume della trilogia di Lewis di Peter May è come una gigantesca puntata di Cold case (in parte si potrebbe dire la stessa cosa del primo volume L'isola dei cacciatori di uccelli).
Un giovane uomo viene per caso ritrovato sull'isola di Lewis durante il taglio della torba. È lì da circa 50 anni, mantenuto intatto dalle condizioni uniche create dalle torbiere.
Il nostro ormai ex poliziotto Fin McLeod non potrà fare a meno di sottrarsi alla ricerca della verità visto che l'analisi del DNA evidenzia una parentela del morto con il padre ormai anziano e affetto da demenza senile di Marsaili, il suo amore di gioventù. Se volete conoscere la puntata precedente e sapere tutto (o quasi) dei legami e delle vicende che riguardano Fin, Marsaili, Fionnlagh ecc. dovete partire dal primo volume della trilogia, la cui lettura non voglio dire che sia indispensabile per godere appieno di questo secondo ma quasi.
Lo stile di Peter May è potentemente visivo. La sua capacità di ricostruire ambientazioni, di rappresentare persone e paesaggi è eccellente. Il clima estremo delle isole scozzesi viene descritto in modo perfetto. La sensazione di buio che attraversa tutto questo romanzo è quasi fisica e accompagna la lettura, così come la percezione del vento che soffia incessantemente.
Molto bella anche la variazione del narratore da un capitolo all'altro. Allo scrittore che parla in terza persona di Fin e degli avvenimenti del romanzo si affianca spesso la voce (o meglio i pensieri) in prima persona del padre di Marsaili, Tormod McDonald, che mescola presente e passato, offrendoci in parallelo all'indagine sprazzi di verità che via via acquistano contorni sempre più netti.
Si potrebbe dire che Peter May ha una predilezione per la storia e le tradizioni locali, cosicché usa i suoi romanzi per raccontarci in realtà la storia di questi luoghi e dei suoi abitanti. E forse è proprio questo che rende i suoi romanzi così affascinanti e originali.
Il libro vi catturerà dopo poche pagine e man mano che andrete avanti ne sarete completamente conquistati, senza riuscire a distogliere l'attenzione neppure per un istante.
Voto: 4/5
mercoledì 11 giugno 2014
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento
Lascia qui un tuo commento... Se non hai un account Google o non sei iscritto al blog, lascialo come Anonimo (e se vuoi metti il tuo nome)!