Qualcuno mi ha fatto notare che le mie recensioni ai film sono sempre caratterizzate da un angolo visuale in un certo senso amorevole, poiché accade che quasi naturalmente io sia portata ad individuare un aspetto positivo, una nota emotivamente affine, una qualità apparentemente nascosta, una virtù in ciò che palesemente è un difetto. E questa è l'interpretazione di chi probabilmente mi legge con occhio altrettanto amorevole, lo stesso che io adotto verso il cinema e i film.
Qualcun altro potrebbe farmi notare che le mie recensioni sono inconcludenti perché di fatto non rispondono alla domanda che tutti cerchiamo quando ne leggiamo una: vale la pena andare a vedere questo film? com'è, bello o brutto?
Ebbene, effettivamente mi sono accorta di non essere quasi mai in grado di dare questa risposta. Che ne so se vale la pena? Per me vale sempre la pena andare al cinema, anche quando ne esco delusa o frustrata. Che ne so se il film che ho visto può essere bello o brutto per un'altra persona? È tutto così soggettivo, siamo tutti così diversi l'uno dall'altro, e ciascuno di noi è così emotivamente cangiante, che trovo praticamente impossibile garantire a chicchessia un consiglio che sicuramente funzioni.
E poi, come dice Salvatores, o meglio Groucho Marx (perché sua è la frase): "Preferisco leggere o vedere un film piuttosto che vivere... nella vita non c'è una trama". E forse è per questo che nel guardare e commentare un film mi viene naturale trovare qualcosa di bello, riscopro quell'ottimismo che ogni tanto perdo per strada nell'almeno apparente insensatezza che a volte il quotidiano ci propina. Per quanto... la vita, a differenza dei film, ha quello straordinario valore che è proprio di tutto ciò che non è per sempre.
Insomma, questa lunghissima premessa per dire che il nuovo film di Salvatores non mi ha convinto completamente, ma mi è piaciuto. E non c'è contraddizione in questa affermazione.
Visivamente di grandissimo effetto. Assolutamente straordinaria la fotografia di Italo Petriccione. Bellissimo lo sguardo sulla città di Milano, tanto grigia e algida nel film di Luca Guadagnino, quanto solare, poetica e sonora in Happy family.
Non nuova, ma di grande effetto, la scelta di connotare scene e personaggi con dei colori molto caratterizzati e vivaci (i rossi, i gialli, i bianchi che invadono e assorbono personaggi e oggetti e mi hanno richiamato alla mente la sensazione visiva de Il favoloso mondo di Amelie), ovvero di renderli uniformemente sommersi in tessuti fantasia che arredano pareti, letti, lampade e persone (da questo punto di vista mi ha ricordato un buffissimo film che ho visto qualche anno fa, La mia vita a Garden State).
E del resto la teatralità del film è assolutamente esplicita e scoperta. Una delle amiche con cui ero al cinema ha detto una cosa molto azzeccata: "A tratti sembra quasi un cartoon!".
Gli attori sono tutti molto bravi e gradevoli, da Fabio De Luigi (Ezio, l'autore che racconta e poi finisce nella storia), a Fabrizio Bentivoglio e Diego Abatantuono, a Margherita Buy e Carla Signoris. Anche i meno conosciuti, in particolare Valeria Bilello, se la cavano splendidamente.
E, su tutto, non c'è dubbio sul fatto che in questo film si rida, con intelligenza, ma di gusto. E questo è un merito non secondario.
Però - e veniamo alle note secondo me dolenti - il film resta esile nei contenuti emotivi e psicologici. Apre spiragli di riflessione che poi non sviluppa, sceglie giustamente di librarsi leggero, ma ogni tanto non riesce a sottrarsi a una certa superficialità, accenna riflessioni sulla vita che tendono un po' a cadere nel vuoto. Capisco che gli sceneggiatori abbiano voluto evitare il rischio "predicozzo insopportabile" di certi film italiani, ma certo è dura camminare su quel filo sottile che separa leggerezza e vacuità.
Insomma, la sensazione è che Happy family sia un film che porterò a lungo negli occhi, ma rapidamente mi uscirà dalla testa. E per me non è una bellissima premessa. Il che poi non vuol dire che magari possa essere uno di quei film che - proprio per questo motivo - manterrà inalterata la sua freschezza anche a distanza di tempo, perché non si lega a doppio filo con la percezione emotiva e intellettiva di un momento troppo determinato del mio cangiante e multiforme universo interiore.
Insomma, per rispondere alla famosa domanda iniziale. Da vedere? Ma sì, certo, sempre e comunque. Qualunque cosa ne penserete dopo. Sì, sì, proprio come la vita.
Voto: 3/5
mercoledì 14 aprile 2010
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