venerdì 29 dicembre 2017

Il mare dove non si tocca / Fabio Genovesi

Il mare dove non si tocca / Fabio Genovesi. Milano: Mondadori, 2017.

Fabio è un ragazzino di 11 anni. Ha numerosi nonni i cui nomi iniziano tutti con la A (che sono in realtà i fratelli del nonno morto, Arolando), un padre che fa l'idraulico e aggiusta tutte le cose. Il ragazzino vive nel cosiddetto Villaggio Mancini, che ospita tutta questa famiglia allargata.

Questo romanzo racconta gli anni in cui Fabio viene a contatto con il mondo esterno e comprende che la sua famiglia è decisamente "originale" e che lui stesso è in fondo diverso da tutti gli altri bambini. Gli anni in cui viene a conoscenza della "maledizione della famiglia Mancini" per cui i maschi di famiglia se arrivano a 40 anni senza avere una donna impazziscono.

Però, soprattutto, in questi anni Fabio vive il lungo periodo di stato vegetativo di suo padre dopo un incidente, conosce e si innamora della Coccinella, alias Martina, e sperimenta il potere delle storie, della narrazione attraverso cui si ricostruisce il passato e si dà un senso al presente.

Direi che c'è molto di autobiografico in questo ultimo libro di Fabio Genovesi, e alcune di queste storie le avevo sentite raccontare dallo scrittore in un incontro cui avevo partecipato qualche anno fa.

Tra l'altro Genovesi scrittore lo conosco ormai bene e so il talento che ha nel raccontare le storie, il che fa sì che per me non funzioni in questo caso l'effetto sorpresa.

Non sono neanche sicura che sia il suo libro più riuscito (a naso direi che il più equilibrato e compatto è Chi manda le onde, subito seguito da Esche vive), e però alla fine Genovesi riesce comunque immancabilmente a farmi sorridere e a commuovermi fino alle lacrime.

Perché i suoi racconti - sia quando sono di fantasia sia quando provengono dalla vita reale - sono intrisi di una freschezza e di un'autenticità sorprendenti, anche lì dove richiamino situazioni ai limiti dell'incredibile.

Leggere i libri di Genovesi è il mio modo di coccolarmi quando - nella mia sequenza di letture - ho bisogno di prendermi una pausa da quei libri durissimi ed emotivamente destabilizzanti che la fanno da padroni nella mia biblioteca personale.

Ogni tanto infatti si ha bisogno di una narrazione che racconti la vita con la leggerezza di chi la ama profondamente nonostante il suo essere sgangherata. E poi nessuno - secondo me - incarna il punto di vista e il mondo interiore dei ragazzini nel modo assieme realistico e magico di Genovesi, forse perché un po' ragazzino c'è rimasto anche ora che ha più di 40 anni.

«E chissà cosa ci aspetta ancora là davanti, non lo so e non lo sa nessuno, però sappiamo quel che abbiamo dietro, quello che abbiamo fatto giorno dopo giorno, che poi è la grande storia di come siamo arrivati fin qui. E ogni mattina ci alziamo e facciamo un altro passo, e la nostra storia è la magia che trasforma questo passo corto e scemo in una roba gigantesca, che è la nostra direzione. Verso dove non è mica chiaro, ma intanto si va, e questa magia dietro non la vedi ma ti spinge, uguale identica a quella che hai sotto i piedi quando stai in mezzo al mare, e lì per lì pensi di andare a fondo e invece no, perché qualcosa di invisibile ti tiene a galla, senza fiato e però vivo, con gli occhi spalancati all'orizzonte.»

Voto: 3,5/5

mercoledì 27 dicembre 2017

Tra vigneti e castelli: la magia delle Langhe

Scegliamo il weekend più freddo di questa prima parte dell'inverno per fare questa gita nella zona delle Langhe. Si parte in macchina da Bologna, dove io arrivo in treno da Roma.

Il viaggio di andata è rallentato solo dalla lunga coda determinata dal fiume di macchine che si immette verso il Brennero, per il resto si viaggia bene e spediti verso la nostra destinazione che è l'agriturismo Il Bricco rosso a Farigliano.

Forse fin troppo spediti, visto che a un certo punto mi accorgo - quando siamo già in zona - che le strade sono piene zeppe di autovelox e forse io ho sforato i 50 in un centro abitato! Bah, vi saprò dire...

Il Bricco rosso è un bellissimo casale ristrutturato e colorato di rosso che si erge su una collina (scopro solo in questo momento che questo è il significato di “bricco”) e che domina a 360° il paesaggio circostante, da un lato le colline della Langa di Barolo, dall'altro un pezzo di arco alpino che va dalle Alpi Marittime fino praticamente al Monte Rosa e che nella seconda giornata di permanenza potremo ammirare in tutta la sua bellezza.

Arrivando all'agriturismo già possiamo ammirare le colline in parte spruzzate, in parte coperte di neve che ci annunciano già cosa ci aspetterà nei prossimi giorni. All'arrivo al Bricco Rosso la signora ci accoglie dicendoci: “Siete qui per la Fiera del bue grasso di Carrù, vero?”. Noi trasecoliamo perché non sappiamo niente del bue grasso né di Carrù, ma nicchiamo, però ormai la signora ha solleticato la nostra curiosità...

Così, una volta in camera, cerchiamo su Internet e scopriamo che è un evento importante in cui vengono premiati gli animali più belli e dove si mangia e si comprano cose. Carrù - fino a qualche momento prima per noi sconosciuta - diventa una specie di persecuzione nei giorni successivi e, girando per le strade delle Langhe, ci accorgiamo che “tutte le strade qui portano a Carrù”. Comunque eccoci a Carrù dove appunto è in corso una grande fiera. Qui veniamo immediatamente conquistate dai banchetti stracolmi di formaggi, salumi e ogni altro bendiddio. Ovviamente nel giro di un’oretta siamo piene di sportine, ma a quel punto abbiamo fame.

S. chiede a una persona del luogo dove potremmo mangiare e una signora gentile ci dice “Al tendone, lì con 17 euro mangiate bene”. Non sappiamo cosa intenda ma camminando per la fiera a un certo punto ci si para davanti il tendone dove c’è già la fila delle persone che ne attendono l’apertura (infreddolitissimi come noi!) e all'ingresso c’è il cartello “Bollito non stop”. È il nostro luogo. Mangeremo effettivamente del bollito buonissimo, nonché una specie di piccolo cotechino, un pezzo di formaggio, una fetta di crostata e vino a volontà per 17 euro.

Il giorno successivo il tempo è bellissimo, sebbene la temperatura sia molto rigida. Però la giornata è ideale per fare un po’ di giri. La nostra prima tappa è il Santuario di Vicoforte, dove andiamo ad ammirare la cupola ellittica più grande del mondo e io trovo una buona situazione di luce per fare delle foto all'interno.

Da Vicoforte ci spostiamo a Mondovì, che scopriamo avere un nucleo originario, il rione Piazza, collocato più in alto rispetto allo sviluppo della cittadina moderna e che si raggiunge con una funicolare. Fortuna vuole che c’è anche il mercato dei contadini che ci permette di fare un altro carico di formaggi, nocciole, aglio ecc., prima di fare una passeggiata e poi prendere la funicolare verso Piazza. Il quartiere in alto è davvero molto bello e affascinante e con il cielo completamente sgombro di nubi è possibile ammirare un panorama davvero bello.

A seguire ci muoviamo verso Barolo, il cuore della produzione vinicola della zona, nonché la sede dell’ormai famoso festival Collisioni. Cosicché dopo aver fatto un giro nel bel centro storico e aver ammirato il castello, facciamo uno spuntino a base di salumi, formaggi e Barolo all’Agrirock caffè ;-)

Nel pomeriggio ci spostiamo verso Alba, uno dei centri più grossi della zona... Avevo letto che per le strade della città si sente il profumo del cioccolato proveniente dalla fabbrica della Ferrero, ma pensavo che fosse una boutade e invece appena scendiamo dalla macchina dobbiamo confermare che è proprio così.

Facciamo un giro per le strade del centro che sono affollate di gente, visitiamo chiese, facciamo fotografie, compriamo dei pezzettini minuscoli di tartufo bianco (che mangeremo poi una volta a casa con i tajarin) e infine ci spostiamo verso Bra, dove il nostro obiettivo è l’osteria slow food Boccondivino dove miracolosamente siamo riuscite a prenotare.

Bra è carina, ma Boccondivino si rivela una scoperta eccellente: prendiamo un menu degustazione (che comprende dei cardi con fonduta, una insalata di tonno di gallina, dei tajarin con il sugo di salsiccia di Bra, del brasato eccezionale con polenta e infine del bunet). Al menu degustazione aggiungiamo dei ravioli del plin con burro e salvia e del coniglio al forno con patate. Anche la mezza bottiglia di Roero Deltetto con cui accompagniamo il pasto è ottima. Usciamo dunque più che soddisfatte...

Tornando troviamo il piano terra dell’agriturismo pieno di fumo, a causa del fatto che un grosso tronco messo nel caminetto ha aperto lo sportello... Allarmate chiamiamo la signora che a sua volta chiama il marito per rimediare all'inconveniente. Noi ci chiudiamo in stanza, dove per fortuna il fumo non è riuscito ad arrivare!

La sera, prima di andare a dormire, io proseguo dalla mia stanza i miei esperimenti di fotografia del cielo notturno con treppiede, cosa resa difficile soprattutto dal freddo che fa sul balcone e dalle luci indesiderate che ci circondano. Il risultato infatti non sarà un granché, ma io avrò imparato un sacco di cose sull'uso del telecomando e sulle impostazioni della macchina fotografica.

La domenica è brutto tempo. Il cielo è coperto e minaccia neve, e la gente sta cominciando a levare le tende dopo il ponte dell’Immacolata, ma noi possiamo sfruttare l’intera giornata visto che partiamo la mattina dopo. La nostra prima tappa è il paese che abbiamo più vicino, Dogliani, e dove siamo passati più volte senza fermarci. Anche questo paese si sviluppa su più livelli: facciamo un giro nella parte alta, dove c’è la “panchina gigante”, e poi giriamo nella parte bassa dove ci allunghiamo a vedere anche la piccola ma molto bella Biblioteca Einaudi.

Poi ci muoviamo verso Cherasco, un paese tutto in piano circondato da porte di accesso, con un bel castello (però privato!) e molte chiese interessanti, purtroppo in parte chiuse all'ora in cui arriviamo noi. Ci fermiamo a pranzo in una trattoria molto tradizionale, da Umberto, dove ci sono famiglie locali che consumano il loro pranzo della domenica. Il posto - su cui non avrei scommesso - si rivela invece buono. Prendiamo una buonissima tartare di carne cruda di antipasto, due piatti di pasta fresca e due dolci (bunet e salame di cioccolato), e ne usciamo contente!

L’ultimo pomeriggio lo trascorriamo tra Grinzane Cavour, dove scopriamo che ormai il premio letterario non si chiama più così e dove facciamo una puntata all'Enoteca regionale che è ospitata nel castello, uscendone con un certo numero di bottiglie di vino, Serralunga d'Alba, un paese che occupa un crinale tra due colline ed è dominato da un bel castello, con una vista molto panoramica, e Monforte, appollaiato su una collina sulla cui sommità si fronteggiano una torre e una chiesa su un auditorium all'aperto realizzato sul fianco della collina.

La cena - visto che domenica sera un sacco di posti sono chiusi - la faremo non lontano dall'agriturismo, alla Locanda del sorriso nel centro di Dogliani, dove siamo le uniche clienti per l’intera serata. Il posto non è pretenzioso ed è gestito a livello familiare, ma alla fine si rivela una buona soluzione. Assaggiamo dell’ottimo vitello tonnato con due tipi di salse, del cinghiale stufato con purè e uno sformato di zucca con fonduta, il tutto annaffiato con dell’ottimo Dogliani della casa. Completiamo con un dolce a mezzi :-)

Il giorno dopo è il momento di partire. Teniamo d’occhio il meteo fin dal pomeriggio prima perché si parla di neve abbondante e probabile gelicidio (!), ma fino alla mattina ancora non si vede un fiocco di neve così ce la prendiamo comoda... A un certo punto però S. si affaccia e rientra dicendo che le sembra che stia facendo qualche fiocco. Io inizialmente non do tanta importanza alla cosa, ma quando mi affaccio e vedo un piccolo stratino di ghiaccio sulla strada che ci porta fuori dall'agriturismo mi allarmo e nel giro di pochi minuti siamo fuori a farci aiutare a scongelare il ghiaccio sul parabrezza per partire. Per fortuna non abbiamo problemi e anzi riusciamo anche a fare una sosta a Castiglione Falletto e una al supermercato Mercatò per gli ultimi acquisti prima di rientrare.
Per qualche altra foto del viaggio vi rimando al mio progettino "Vineyards and snow in the land of Barolo" su Behance.

mercoledì 20 dicembre 2017

Babilonia / Yasmina Reza

Babilonia / Yasmina Reza; trad. di Maurizia Balmelli. Milano: Adelphi, 2017.

Elizabeth, che - nell’ultimo romanzo di Yasmina Reza - narra in flashback la storia che la vede protagonista, è una donna che ha ormai superato la mezza età da parecchio. Vive in un condominio della periferia di Parigi, ha un buon lavoro, un marito, un figlio ormai grande e la sensazione che il tempo passi in maniera ineluttabile e, con il tempo, la nostra vita. Ogni tanto si perde nei ricordi della sua giovinezza e soprattutto di un suo amore di allora che purtroppo è morto molto giovane a causa di una cirrosi. Spesso sfoglia “il libro più triste di tutti i tempi”, The Americans di Robert Frank, un libro che racconta per immagini la solitudine dell’essere umano.

Un giorno, per le scale del suo palazzo incontra e conosce Jean Lino: lui non prende l’ascensore perché è claustrofobico, lei per mantenersi in forma. Nasce così un’amicizia che si mantiene formale (si danno del lei), ma che si fa sempre più pregna di confidenze e di comprensione profonda.

Jean Lino vive con la eccentrica e new age moglie Lidye e con il suo gatto Eduardo. Spesso va a trovarli il nipote di lei che Jean Lino tenta con tutti i mezzi di conquistare senza riuscirci. Elizabeth scoprirà che l’unico momento di serenità vera di Jean Lino è alle corse dei cavalli dove una volta la invita.

A un certo punto Elizabeth decide di organizzare una festa di primavera nel suo appartamento per creare un'occasione di legame tra persone che si conoscono solo in parte e invita anche Jean Lino e sua moglie Lidye. La serata fatica un po’ a decollare ma alla fine è un successo, anche se a un certo punto tra Lidye e Jean Lino si innesca una discussione che, pur virando sull’ironico, si fa molto spiacevole.

Il colpo di scena arriverà poche ore dopo, quando Jean Lino suonerà alla porta dei suoi vicini per confessare – sconvolto – che ha ucciso sua moglie.

Da qui il romanzo diventa quasi un noir e a tratti un poliziesco, in cui è determinante il rapporto tra Jean Lino ed Elizabeth.

Yasmina Reza conferma di avere un talento particolare nel raccontare quello che si muove sotto la superficie di esseri umani del tutto normali, in cui ognuno di noi potrebbe riconoscersi. Il suo racconto – come già in Carnage – pagina dopo pagina fa emergere le frustrazioni, le insoddisfazioni, i rimpianti, le paure di ognuno, e soprattutto la solitudine, quella sensazione potente e universale che si attenua ma non si scioglie nell’incontro con l’altro, nemmeno all’interno di un rapporto d’amore.

Personalmente ho trovato potente soprattutto la prima parte del libro, fino all’omicidio. La seconda parte in cui la scrittrice introduce un registro più noir – pur perfettamente coerente e funzionale con la storia – mi ha colpito di meno emotivamente nella misura in cui si fa parzialmente più narrativa.

I riferimenti al capolavoro fotografico di Robert Frank, le mirabili descrizioni di alcune fotografie in esse contenute, i contrappunti fotografici che attraversano il libro hanno rappresentato poi per me la ciliegina sulla torta, facendo sì che il libro mi conquistasse definitivamente.

A tratti le tematiche di Yasmina Reza mi richiamano alla mente quelle di Herman Koch, pur essendo i due autori diversi nelle modalità di scrittura e dunque pienamente riconoscibili nella loro diversità.

Un libro che consiglio di leggere.

Voto: 3,5/5

lunedì 18 dicembre 2017

Loveless

Andrey Zvyagintsev è un nome noto al pubblico italiano per aver vinto il Leone d’Oro a Venezia nel 2003 con il film Il ritorno. Anche a me il nome diceva qualcosa, anche se mi sono resa conto che questo è il primo film del regista che vedo.

Loveless è la storia di una famiglia in crisi, quella di Zhenia (Maryana Spivak) e Boris (Aleksey Rozin) che si stanno separando tra recriminazioni e rancori reciproci che coinvolgono anche il figlio dodicenne, Alyosha (Matvey Novikov). I due hanno entrambi nuove storie: Boris sta con una ragazza molto più giovane che già aspetta un figlio da lui, Zhenia sta con un uomo più maturo, separato, con una figlia maggiorenne che studia in Portogallo. Nessuno dei due vuole l’affidamento del figlio, che – oltre a essere stato il motivo del loro matrimonio un po’ affrettato – ora sembra essere addirittura di intralcio alla vita e alla felicità di entrambi. Un giorno Aloysha scompare: iniziano così le ricerche prima con la polizia, poi tramite una squadra di soccorso composta di volontari, che cerca il ragazzino ovunque senza esito.

Nel frattempo si srotolano sotto i nostri occhi le vite di queste persone, tra periferie fatte di grandi palazzoni, boschi che arrivano a lambire le città, centri commerciali, saloni di bellezza, telefonini onnipresenti, ambienti di lavoro dominati dall’ortodossia religiosa, ricerca spasmodica dell’amore in un contesto nel quale mancanza di empatia, rigidità caratteriale e immaturità emotiva sembrano farla da padrone.

In sottofondo la radio e la televisione raccontano di un paese, la Russia, in cui la corruzione, le tensioni, la conflittualità e la disinformazione sono dilaganti. L’immagine di Zhenia che con la tuta della Russia corre sul tapis roulant in balcone con lo sguardo fisso e vuoto davanti a sé diventa la metafora di un intero paese la cui inarrestabile corsa economica ha forse davanti a sé una profonda disgregazione sociale, una perdita di valori, una superficialità emotiva, un’assenza di responsabilità rispetto ai quali non si intravedono correttivi all’orizzonte.

Difficile per noi capire appieno un universo culturale ed emotivo così distante dal nostro e che inevitabilmente ci risulta per molti versi estraneo e respingente. D’altra parte, dentro quell’universo - per quanto estraneo -  riconosciamo i tratti di un declino sociale e individuale, fatto di ignoranza, di opportunismo, di vuota ricchezza, di irresponsabilità, di superficiale ricerca della felicità che sempre di più caratterizzano anche le nostre società occidentali.

Il film di Zvyagintsev è chiaramente un atto di denuncia di una decadenza umana e sociale che non si ferma al mondo di Zhenia e Boris, ma che ci chiama in causa tutti.

Voto: 3,5/5

sabato 16 dicembre 2017

Notturno di donna con ospiti / Annibale Ruccello. Teatro India, 5 dicembre 2017

Ed eccomi al mio secondo appuntamento (dopo Ferdinando) con il mondo teatrale di Annibale Ruccello. In questo caso si tratta di Notturno di donna con ospiti, un testo del 1983, messo in scena al Teatro India da Mario Scandale, per il quale questo lavoro ha rappresentato il saggio di diploma dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica "Silvio d’Amico".

Il testo di Ruccello racconta la notte in cui Adriana, una ingenua casalinga incinta del terzo figlio, si ritrova in casa una strana compagnia, di cui fanno parte tra gli altri la sua ex compagna di scuola Rosanna, l'ex fidanzato Sandro e il suo stesso marito Michele, rientrato in anticipo dal suo lavoro di metronotte. Questa notte sarà per Adriana l'incarnazione di un incubo al termine del quale la sua psiche sarà stata irrimediabilmente compromessa.

Nella messa in scena di Scandale, la protagonista Adriana è interpretata da un uomo (il bravissimo Arturo Cirillo) e l'azione si svolge in una stanza che prima sembra quella di un motel e poi invece si rivela la cucina della casa dove Adriana vive con il marito e i figli.

Questa stanza ha pareti che sono in realtà tende e - grazie al sapiente gioco di luci - a volte sembrano muri impenetrabili, altre volte diventano vetrine su mondi immaginari, ricordi, sogni e pensieri.

L'atmosfera della rappresentazione è infatti decisamente onirica: tutto comincia con Adriana che si addormenta sul tavolo dopo aver festeggiato il suo compleanno da sola e si risveglia sempre da sola sullo stesso tavolo, lasciando dunque pensare agli spettatori che quello a cui assistiamo è un sogno di Adriana, anzi più esattamente un incubo, visto che dell'incubo ha tutte le caratteristiche: il senso di angoscia, lo spaesamento, l'insensatezza, la compresenza di persone non necessariamente collegate, il passato e il presente, le ansie e le paure.

E questa angoscia si trasmette in maniera diretta allo spettatore, anch'egli spaesato, traumatizzato, sottomesso, preso in giro, deriso. Spettatore infine coinvolto quando durante l'assurda festa per il compleanno di Adriana compare una sfera da discoteca che riflette le sue luci su tutta la platea.

Dentro questo testo e dentro la rilettura che ne fa Scandale - che pare aver fatto un lavoro filologico sulle numerose riscritture che ne fece Ruccello - ci sono tanti temi diversi, la solitudine, i traumi familiari, i fallimenti personali, la tristezza della quotidianità (rappresentata anche da una televisione da cui sembrano uscire i personaggi che bussano alla porta di Adriana) e, infine, il più importante, la scarsa autostima e la ricerca costante dell'approvazione degli altri.

Si esce disorientati e angosciati da questo teatro. Molte domande rimbalzano nel gruppo di persone con cui sono andata a vedere lo spettacolo sul perché Scandale abbia scelto un protagonista maschile (e io personalmente non ho una risposta). Ma certamente resta forte la sensazione del talento di Ruccello, capace di costruire universi emotivi amplificati che non possono in ogni caso lasciare indifferenti.

Voto: 3/5

giovedì 14 dicembre 2017

The place

Dopo il successo di Perfetti sconosciuti (una sorpresa positiva anche per me), Paolo Genovese torna al grande schermo con un nuovo film su cui si sono create inevitabilmente molte aspettative da parte del pubblico.

Genovese si è fatto affascinare da una serie TV americana, A booth at the end, e ne ha realizzato la versione italiana in forma di lungometraggio. The place - come è annunciato già dal titolo - è un film con un impianto fortemente teatrale: tutta l'azione avviene all'interno di un caffè, dove a un tavolino siede un uomo con un'agenda (Valerio Mastandrea). A quel tavolino si siedono nel corso delle giornate molte persone che con quest'uomo stringono veri e propri "patti col diavolo": in cambio della realizzazione di un desiderio (la guarigione di un figlio o di un marito, una rinnovata bellezza, un ritorno di fiamma, il recupero della vista, una notte con una modella ecc.) l'uomo - guardando sulla sua agenda - assegna a ciascuno dei compiti (mettere una bomba in un locale, uccidere una bambina, fare una rapina ecc.) al termine dei quali il desiderio sarà realizzato.

A osservare questo andirivieni la cameriera del bar (Sabrina Ferilli) che è incuriosita e affascinata da quest'uomo e cerca di saperne di più, fino a diventare il personaggio chiave dell'enigmatico finale.

Il tema di fondo del film non è nuovo ed è riassunto dalla frase di lancio della serie TV nonché del film: "cosa siete disposti a fare per realizzare i vostri desideri?", che è come dire "quanto del vostro lato oscuro siete disponibili a tirare fuori per ottenere quello che volete?".

Lo sviluppo del film - in cui le storie dei singoli personaggi, per caso o per volontà dell'uomo che regge le fila dei loro destini, si intrecciano - mostra l'impatto di queste richieste apparentemente impossibili sulle persone e la catena di conseguenze che le loro azioni determinano non solo sugli altri, ma anche su loro stessi.

Personalmente ho interpretato il film come una riflessione su quello spazio delle nostre esistenze che si colloca tra le cose che non possiamo cambiare (perché non dipendono da noi) - e che dunque possiamo solo accettare - e invece la responsabilità individuale che sta a fondamento delle scelte verso di noi e gli altri.

La cosiddetta "preghiera della serenità" recita: "Dio, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso, e la saggezza per conoscere la differenza". Evidentemente, uno dei grandi conflitti interiori dell'essere umano da sempre sta proprio nel riconoscere questa differenza e nel comportarsi di conseguenza.

C'è dunque della materia interessante di riflessione in questo film; devo però dire che il risultato mi è sembrato meno riuscito che in Perfetti sconosciuti.

Innanzitutto, la staticità e la ripetitività dell'impianto narrativo dopo un po' risultano stucchevoli (come ha commentato ironicamente un signore alle mie spalle al cinema "Un po' troppo dinamico per i miei gusti!"). Inoltre alcune sequenze tra un "nero" e un altro sono brevissime, caratterizzate da poche battute quasi apodittiche: in un film di questo genere - a parte la recitazione degli attori - è la sceneggiatura che fa la differenza, e qui secondo me la sceneggiatura risulta pretenziosa e didascalica allo stesso tempo. Molte battute sembrano essere state messe lì quasi appositamente per essere profonde e farci riflettere e interrogare, ma alla fine per gran parte comunicano delle sostanziali banalità.

Tutto resta piuttosto in superficie, una galleria di personaggi che raramente acquistano spessore e che si configurano solo come tante facce della stessa medaglia. E - devo ammettere - il finale continua per me a non avere una spiegazione del tutto logica e plausibile.

Voto: 3/5

martedì 12 dicembre 2017

Cigarettes after sex. Monk, 2 dicembre 2017

I Cigarettes after sex tornano a Roma dopo pochi mesi dalla loro ultima esibizione all'Ex Dogana e il loro concerto in programmazione al Monk è sold out già diversi giorni prima.

Questo conferma la popolarità crescente di questo gruppo che con il suo dream pop conquista un pubblico trasversale sul piano anagrafico e delle provenienze, come si può facilmente cogliere osservando il pubblico che affolla la sala del Monk.

I quattro musicisti che compongono la band (Greg Gonzalez alla chitarra e voce, Jacob Tomsky alla batteria, Phillip Tubbs alle tastiere, e Randy Miller al basso) salgono sul palco alle 23 circa, senza che nessun gruppo o cantante gli abbia fatto da opening, cosicché il pubblico - che attende da più di un'ora - comincia a scalpitare.

Ma quando i Cigarettes after sex cominciano a suonare offrono al pubblico un'ora fitta fitta di musica, perché Greg Gonzalez (come già avevo avuto modo di notare al precedente concerto) non è uno di molte parole e sorrisi. Al massimo tra una canzone e l'altra ringrazia e annuncia il titolo della canzone successiva, ma mantiene la sua espressione tra il triste e il timido per tutto il concerto.

Il risultato è un flusso continuo di canzoni romantiche e atmosfere sognanti che manda in visibilio una parte del pubblico, ma che a me conferma l'impressione che già avevo avuto a luglio.

Certamente la location del Monk è più congeniale a questa band rispetto ai grandi spazi aperti del palco della Ex Dogana. Resta però - almeno per quanto mi riguarda - la spiacevole sensazione che la performance dal vivo di questa band non aggiunga poi molto all'ascolto registrato (e qui sono d'accordo con quanto scrive Talassa Magazine). Anzi, se devo dirla tutta, l'ascolto in cuffia della loro musica permette di apprezzarne molto di più le sonorità e la voce flautata di Greg Gonzalez rispetto a un live in cui la qualità del suono non mi è sembrata eccellente.

Ciò detto, si deve però riconoscere che i Cigarettes after sex non si risparmiano a livello musicale (offrendo anche un bis al pubblico che lo richiede) e tutto sommato la loro performance e il loro modo di essere sono perfettamente coerenti con la loro musica, che si muove in un universo mentale parallelo, a migliaia di anni luce dalla quotidianità e dalla sua trivialità.

Voto: 3/5