venerdì 18 ottobre 2013

Gloria


Gloria (la straordinaria Paulina García) è una donna di mezza età, separata da più di dieci anni dal marito, ha due figli grandi (un figlio con un bambino piccolo, e una figlia innamorata di uno scalatore svedese), un buon lavoro, e vive da sola. Le piace cantare e ballare. Desidera ancora non solo la compagnia, ma anche la fisicità di un uomo, e sembra trovarla in Rodolfo (Sergio Hernandez).

Sono andata a vedere questo film senza aver letto praticamente nulla, tranne la sinossi della trama, attirata dal trailer che mi aveva fatto pensare a una storia di ottimismo e riscatto di una donna in un'età non facile. L'avevo immaginato un film giocato su note di leggerezza e di ironia, su un sottofondo di ottimistica sfrontatezza.

In realtà, Gloria è un film molto più complesso e sfumato di così. E la sua protagonista è certamente un po' naïf nella sua ricerca della felicità, ma mostra anche dei tratti di tragicità nel suo adolescenziale desiderio di leggerezza che va continuamente a confliggere con la pesantezza della vita, con i problemi del mondo circostante, con il groviglio di sentimenti, con la paura della solitudine e della morte.

La ricerca di Gloria si trasforma in una fuga in un universo interiore, parallelo rispetto alla realtà, che ha ancora la gamma variegata di colori della giovinezza nel momento in cui si esprime attraverso la musica (sono indimenticabili le sequenze di Gloria che in macchina canta da sola sulle note di canzoni spagnole sentimentali), attraverso il lasciarsi andare del corpo nella danza (Gloria è bellissima quando balla, soprattutto quando balla da sola) o nella sessualità.

Il resto sono flash su un quotidiano che, anche quando non è triste, è inevitabilmente sovraccaricato della pesantezza della vita. Un quotidiano in cui non sono importanti tanto i dialoghi (in una sceneggiatura del tutto minimale), bensì le atmosfere, gli sguardi, gli stati d'animo.

La scena finale del film in cui la protagonista balla sulle note della omonima canzone di Umberto Tozzi ha un ché di liberatorio, ma certo non si esce dal cinema a cuor leggero.

Voto: 3,5/5

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