Il libro di Jeanine Cummins mi aveva attirato fin da quando avevo letto per la prima volta la trama. Così è stato - fin dalla sua uscita - nella mia lista dei desideri e molto presto sul mio scaffale.
Questa estate è entrato nella pila dei libri da portare in vacanza e complice qualche giorno di malattia settembrina sono riuscita a terminarlo.
Devo dire che se avessi scritto questa recensione dopo aver letto il primo terzo del libro, il mio giudizio sarebbe stato molto differente. La parte iniziale racconta come Lydia e suo figlio Luca restano gli unici sopravvissuti della strage della loro famiglia ad Acapulco per mano di una gang di narcotrafficanti, Los Jardineros, e decidono – per sfuggire a morte certa – di mettersi in viaggio sul percorso dei migranti verso il norte, ossia verso gli Stati Uniti d’America.
In questa prima parte sono un po’ infastidita dalla presenza di una narratrice onnisciente che ci racconta i pensieri di tutti i protagonisti e ci svela i retroscena, a volte mettendo all’interno di alcuni di questi personaggi, penso al piccolo Luca che ha solo 9 anni, pensieri e riflessioni un po’ troppo adulte. Trovo inoltre la narrazione un po’ troppo didascalica, diciamo quasi “sceneggiata” (anche se so che il termine non è corretto), in quella maniera un po’ tanto americana che mi fa un po’ venire l’orticaria. Per un po’ sento quasi il desiderio di abbandonare la lettura. E dire che non avevo letto ancora nulla del dibattito suscitato dalla pubblicazione di questo romanzo e delle critiche dei messicani alla Cummins per il fatto che parla di cose che non conosce direttamente e forse ancora di più perché ha ricevuto un anticipo importante dalla casa editrice prima di iniziare a scrivere il libro.
Ignara di tutto ciò, decido di andare avanti perché il percorso dei migranti che dal sud e dal centro America cercano di superare il confine verso gli Stati Uniti carichi di sogni e di speranze, tra mille pericoli e orrori, è qualcosa che mi interessa molto e su cui voglio saperne di più.
E così nel prosieguo della lettura la mia attenzione cresce e anche la narrazione ho la sensazione che divenga più empatica, meno costruita a tavolino, che i personaggi acquisiscano una propria rotondità fino a trascinarci sui treni merci che prendono al volo, negli sgabuzzini dove si nascondono, nei deserti che attraversano, di fronte alle violenze e alle morti cui devono assistere o che devono subire.
Il racconto della Cummings non risparmia tutti gli orrori e le tragedie che questa traversata porta con sé, ma sceglie la strada della speranza e dell’ottimismo per riscattare almeno sulla carta tutti coloro che non ce l’hanno fatta.
È impossibile rimanere indifferenti di fronte a queste persone che seguiamo nel loro tentativo legittimo e in alcuni casi inevitabile di abbandonare la loro terra e cercare un futuro migliore e – come ci dice la scrittrice nella nota di lettura finale – per una volta vediamo i migranti non come una massa indistinta accomunata solo dal tentativo di raggiungere un posto dove sperano di trovare fortuna, ma come singole persone con la propria storia, i propri caratteri e desideri, la loro umanità o disumanità. Buttiamo lo sguardo anche dietro alcune etichette, per esempio quella di coyote, il termine con cui vengono identificati coloro che aiutano a pagamento i migranti ad attraversare il confine.
E capiamo che tutto è molto più complesso di quello che immaginiamo o di quello che vorremmo che fosse, e che questa non è una storia che possiamo far finta che non ci riguardi, perché ci riguarda tutti nella misura in cui è necessario cominciare a denunciare e a cambiare l’insensatezza di alcune leggi e costruire una visione e una possibilità diverse per il futuro.
«La mente ha i poteri magici. Gli esseri umani hanno i poteri magici». E gli esseri umani non si dividono in migranti e non. Non ce lo dimentichiamo.
Comprendo le critiche al romanzo e in parte le condivido (è evidente che questo romanzo è scritto da qualcuno di estraneo alle vicende raccontate), però il fatto che esso sia in grado di suscitare empatia vero persone ed esperienze così lontane da noi credo sia un valore che non vada sottovalutato.
Voto: 3/5
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