lunedì 17 ottobre 2011

Un giorno al museo: Padova

Una domenica di inizio autunno. Una Padova caratterizzata da un cielo terso e da un’aria che comincia a sapere di legno bruciato è lo scenario di una passeggiata artistica molto intensa.

Si doveva cominciare dalla Cappella degli Scrovegni, ma C. scopre solo all’ultimo che ha prenotato per il giorno sbagliato e l’orario sbagliato! Per fortuna un signore gentilissimo alla cassa ci riprenota per l’ingresso delle 18.45. Abbiamo così tutto il tempo per sfruttare appieno il nostro biglietto, visto che ci consente l’accesso anche ai Musei civici, che comprendono il Museo Archeologico e il Museo di Arte Medievale e Moderna, e a Palazzo Zuckerman.

Saltato a piè pari il Museo Archeologico, il percorso attraverso il Museo di Arte Medievale e Moderna, che comprende una ricchissima Pinacoteca ed è preceduta da uno spazio dedicata alla collezione privata di Emo Capodilista, lo facciamo in volata, soffermandoci giusto su qualche Giorgione e Tiziano. È inevitabile pensare che ci sono state epoche nella storia dell'umanità in cui l’insegnamento della pittura (e della musica) faceva parte dell’educazione dei bambini di buona società. Non c’è dubbio, infatti, che andando a visitare le numerose Pinacoteche che offre il nostro paese e quelle di altre parti dell’Europa si abbia l’impressione che nei secoli che vanno dal XVI al XIX il numero di quadri realizzati sia stato esorbitante rispetto alla popolazione che poteva dedicarsi alle arti.

E così è inevitabile il pensiero che in mezzo a quella lunga teoria di tele e sculture ci sia anche tanta produzione un po’ mediocre e che però ha contribuito a fare la storia dei luoghi e delle persone. Allora come oggi di geni superdotati non ne nascono tutti i giorni. E quindi tra i numerosi prodotti di bravi “artigiani” della pittura ogni tanto spicca qualcosa che per l’originalità o la qualità del tratto testimonia della grandezza del suo autore.

Usciti dalla Pinacoteca, ci dirigiamo verso Palazzo Zuckermann (che sta esattamente dall’altro lato della strada), dove in una splendida ambientazione si trova il Museo di Arti Applicate e Decorative e sono ospitate delle mostre temporanee più o meno interessanti.

Il Museo di Arti Applicate organizza in un percorso cronologico oggetti d’arredo, abbigliamento, porcellane, oreficeria portandoci all’interno della vita quotidiana e delle case della nobiltà dell’epoca. Si tratta di uno di quei musei che trovo piuttosto interessanti e che penso sempre potrebbero diventare ancora più affascinanti se fossero organizzati in modo meno convenzionale e più interattivo, ossia se dessero la possibilità ai visitatori di non essere soltanto spettatori inerti, ma in qualche modo protagonisti, se offrissero maggiori occasioni di contestualizzare i contenuti, anche grazie alle possibilità oggi offerte dalla tecnologia.

Mi viene in mente a questo proposito il Museo de Sao Roque di Lisbona, un museo di arte sacra dei proprietà dei Gesuiti, che riesce - proprio grazie a questa filosofia – a rendere interessante un patrimonio che di suo potrebbe apparire anche convenzionale e che ci permette di capire la storia di una congregazione attraverso la sua produzione artistica (e non solo), senza abbandonarci a noi stessi in un percorso esclusivamente temporale.

Dopo aver rifiutato la cortese proposta del vecchietto che sorveglia le sale che abbiamo appena visitato di farci accompagnare alla sezione di numismatica (il Museo Bottacin), torniamo per strada e ci diciamo che - visto che oggi è proprio giorno di immersione nell’arte - potremmo provare ad andare a vedere la mostra sul Simbolismo in Italia, da qualche giorno aperta a Palazzo Zabarella.

All’ingresso non c’è fila e così ci pare che sia proprio destino. Nello stesso luogo avevo già visto la mostra Da Canova a Modigliani. Il volto nell’Ottocento, che mi era piaciuta molto e dunque entro con grandi aspettative, ma conoscendo il tipo di spazi che ci accoglieranno. Purtroppo la prima sala – che in questo caso è dedicata a ritratti e autoritratti dei principali artisti protagonisti della mostra – ha davvero una struttura infelice con queste quattro colonne rivestite di verde intorno alle quali si collocano, un po’ nascoste, le prime tele e sculture. Chissà che per il futuro non si possa fare qualcosa per rendere questo primo impatto con le mostre di Palazzo Zabarella più fluido e attraente.


Per il resto si conferma ai miei occhi la qualità di questi allestimenti che offrono un’articolazione non solo cronologica, ma anche tematica, e che utilizzano cartelli esplicativi piuttosto efficaci, oltre che citazioni letterarie e sottolineature delle connessioni che un certo movimento o tema artistico può avere con le altre espressioni culturali del medesimo periodo storico, nonché con le suggestioni che provengono dalla contemporanea produzione d’oltralpe.

Il percorso si chiude sempre con un’opera di un maestro molto famoso e internazionalmente conosciuto, in questo caso si tratta della Giuditta II/Salome di Klimt, ma in realtà l'intento della mostra è farci conoscere i tratti specifici che il simbolismo assunse in Italia per mano dei suoi protagonisti, da Pellizza da Volpedo a Giulio Aristide Sartorio, da Giovanni Segantini a Gaetano Previati. Nel fare questo ci propone non solo dipinti, ma anche sculture e una divertente sezione di grafica in bianco e nero, che getta una luce particolare sul carattere specifico che questa corrente artistica ebbe in Italia.
E così, al di là dal giudizio estetico personale sulle opere in mostra, si esce da Palazzo Zabarella certamente sapendone qualcosa in più su pittori magari già conosciuti ed altri appena sentiti nominare.

È ora di tornare a casa a fare uno spuntino, prima di giungere all’appuntamento più atteso, la visita alla Cappella degli Scrovegni. Tacendo del fatto che stiamo per perdere l’ingresso del nostro turno, perché non abbiamo capito che dovevamo aspettare proprio davanti all’ingresso della cappella e pensiamo erroneamente che qualcuno ci chiamerà, ci ritroviamo in una prima saletta dove ci viene mostrato un video che ci illustra la storia della Cappella e il ciclo pittorico che in esso è contenuto.

Scopriamo così che la cappella fu fatta costruita da Enrico degli Scrovegni per garantire la salvezza ultraterrena per suo padre - che in vita si era macchiato del peccato dell’usura - e per se stesso, una forma di ipoteca sulla vita dopo la morte. Scrovegni affidò la realizzazione degli affreschi a Giotto, già famoso a quel tempo, e delle sculture a Giovanni Pisano. La cappella era collocata a ridosso del palazzo poi abbattuto e anche per questo gli affreschi subirono numerosi danni. Dopo un lungo restauro la cappella ha ritrovato il suo originario splendore.

E – devo ammettere – che sostare sotto il cielo stellato che ricopre l’intera volta, stando con il naso per aria a seguire questa striscia di vignette che racconta una vera e propria storia di famiglia, da quella di Gioacchino ed Anna, a quella della loro figlia Maria, infine a quella di Gesù fino alla sua morte, resurrezione, ascensione e alla discesa dello spirito santo sugli apostoli, è assolutamente emozionante.

Alcuni degli affreschi sono particolarmente famosi, per esempio il bacio di Giuda a Gesù, ovvero la scena della strage degli innocenti con la rappresentazione della disperazione delle donne a cui vengono sottratti i figli.
L’affresco sulla contro-facciata è una maestosa scena di giudizio universale, con Dio al centro nella sua gloria e ai suoi piedi da un lato l’umanità destinata alle pene dell’inferno, dall’altro quella destinata al paradiso, vicino la quale Scrovegni fa rappresentare anche se stesso in un atto di contrizione e remissione dei peccati.

A inquadrare il tutto finti marmi e paesaggi che creano profondità e danno preziosità all’insieme. Il risultato è grandioso ed affascinante e credo non sia azzardato né eccessivo fare un parallelo con la Cappella Sistina, in cui il genio di Michelangelo in qualche modo rilegge in forma innovativa la stessa ispirazione artistica.

Mi fa impressione questa città che si inserisce in una zona dell’Italia ad altissima densità storico-artistica e che oggi si caratterizza soprattutto per un’urbanizzazione e un’industrializzazione quasi senza soluzione di continuità.

Il contrasto tra bellezza e bruttezza è spesso privo di giustificazioni. Per fortuna la riscoperta della bellezza semplice del passato riesce sempre a trovare una propria strada tra i manierismi un po’ forzati del presente.

Nessun commento:

Posta un commento

Lascia qui un tuo commento... Se non hai un account Google o non sei iscritto al blog, lascialo come Anonimo (e se vuoi metti il tuo nome)!