venerdì 10 giugno 2011

Il primo incarico

È un film di una bellezza struggente e malinconica questo di Giorgia Cecere.

Perché tale è la bellezza di Isabella Ragonese nel ruolo di Nena, una giovanissima maestra che - come primo incarico - viene mandata dal suo paese del Salento (dove vive con la sorellina adorata e la mamma con cui ha un rapporto difficile) in una piccolissima comunità rurale della valle d'Itria a insegnare a una classe di sette bambini. Lei innamorata di Francesco (Alberto Boll, la cui recitazione ho trovato davvero troppo ingessata e poco espressiva), un giovanotto dell'alta borghesia in cui riconosce i valori di un mondo altro cui aspira. Si troverà a fare i conti con una reatà governata da norme sociali arcaiche, in cui le donne sono silenziose e sottomesse, responsabili dei figli e della cucina, e gli uomini sono rozzi e insensibili, in cui la comunicazione tra questi due mondi è difficile se non impossibile.

Malinconica e struggente è anche la bellezza di questa Puglia degli anni Cinquanta, antica e sempre attuale, in cui a farla da padroni sono gli ulivi, la terra rossa, i muretti a secco, i centri storici imbiancati con la calce, i trulli e la cultura contadina. In un susseguirsi delle stagioni che rivela tutti i colori e - sorprendentemente - anche gli odori di questa terra. La pioggia che accentua il grigio delle foglie d'ulivo e il silenzio assordante della campagna. Il sole che rende accecante il bianco delle case. Il vento che soffia sempre a rendere mobili e instabili le coscienze, ma anche a pulire continuamente cielo e paesaggio.

Nel lasso temporale in cui si compie il ciclo immutabile della natura in un contesto umano che sembra non lasciarsi scalfire dal passare del tempo, Nena farà il suo delicato e controverso percorso interiore, compirà una scelta coraggiosa e paradossalmente originale nel trovare una sintonia con una cultura contadina la cui disarmante semplicità non è pochezza se non agli occhi dello snobismo borghese, il cui silenzio non è assenza di senso se non alle orecchie di chi non lo comprende, il cui equilibrio arcaico non è spaventoso se non al cuore di chi non ha ancora fatto i conti con la propria interiorità.

Difficile per me guardare con occhio obiettivo questo film su una terra che mi appartiene, che ho prima interiorizzato dandola per scontata, poi rifiutata nel riconoscerne confini troppo ristretti, poi recuperata e amata nella comprensione resa possibile da una personalità che ha trovato un suo, autonomo, percorso.

Nena sceglie di restare. Allo stesso modo in cui io ho scelto di andare.

Si è tutti un po' "cuori in inverno" in un mondo così. Ed è questa la cifra dominante del film (evidente nella voluta rigidità della sceneggiatura, dell'impianto narrativo e della recitazione). Il disgelo però è un'opportunità per chi, come Nena, aspira alla consapevolezza di sé.

Voto: 3,5/5

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