giovedì 17 gennaio 2019

Il gioco delle coppie = Doubles vies

Dopo un film dal carattere autobiografico sulla Francia post-sessantottina e due film con venature da thriller psicologico come Sils Maria e Personal shopper, Olivier Assayas conferma la sua poliedricità con questo nuovo lavoro che, utilizzando il tono e gli stilemi tipici della commedia, affronta in realtà alcuni temi chiave di una contemporaneità che deve fare i conti con la transizione delle nostre vite dall'analogico al digitale.

Le doubles vies richiamate nel titolo originale (stendiamo un velo pietoso sul titolo italiano che dà un messaggio totalmente sbagliato e probabilmente porterà in sala le persone sbagliate che ne usciranno inevitabilmente deluse) non sono dunque soltanto quelle sentimentali dei protagonisti, bensì anche delle vite che ormai si muovono su due diversi binari, quello della realtà quotidiana e quello della rete.

Assayas riesce a trasformare in film molti dei dibattiti e delle riflessioni su cui ci interroghiamo sempre più frequentemente da quando la rivoluzione digitale e poi il web 2.0 hanno cominciato a cambiare le nostre vite. Alain (Guillaume Canet) è un editore che deve fare i conti con il calo degli indici di lettura e con la necessità di adeguarsi al mercato digitale rispetto al quale ha delle resistenze, e per farsi aiutare nel progettare nuove strategie sul digitale assume la giovane Laure (Christa Théret) con cui finisce a letto. Sua moglie, Selena (Juliette Binoche), è un'attrice che recita in una serie poliziesca di successo, ma rimpiange il teatro e il mondo prima della serialità. Selena ha una storia con Léonard (Vincent Macaigne), uno scrittore spiantato e fuori dal mondo (soprattutto quello della rete) che trasforma la sua quotidianità in romanzi che non vuole siano definiti autobiografie romanzate, il cui editore è Alain. Valérie (Nora Hamzawi), la compagna di Vincent, fa l'assistente di un politico onesto e impegnato, ma deve continuamente difendere lui e sé stessa dall'imperante antipolitica e dalle storture prodotte dalla sovraesposizione mediatica che i social media impongono ai politici.

Tutti appartengono alla generazione compresa tra i 40 e i 50 anni, svolgono professioni intellettuali e sono mediamente benestanti (persino lo scrittore, anche se solo grazie allo stipendio della compagna). Potremmo dire che fanno parte di quelle élites di cui Baricco parla in un recente articolo pubblicato sulla "Repubblica", élites che vivono immerse nel mutamento sociale determinato dalla rivoluzione digitale e ne subiscono a volte sulla propria pelle le conseguenze, ma fanno fatica a comprenderne appieno le potenzialità e assumono a più riprese un atteggiamento critico verso il lato oscuro dell'innovazione digitale. In realtà, per essere più precisi, nessuno dei protagonisti rifiuta il cambiamento, ma tutti fanno fatica ad accoglierlo senza riserve, quasi convinti che esercitare una forma di resistenza sia un dovere morale che gli spetta. I giovani con cui si relazionano accettano invece l'ineluttabilità del processo e sono più inclini a vederne i lati positivi.

E così in questo film si parla di futuro della lettura, di mercato degli ebook, di successo degli audiolibri, di binge watching, di Google books, di biblioteche che diventano luoghi di aggregazione e "granoteche", di fake news, di sfiducia nella politica, di rapporto tra morale pubblica e morale privata, di flames sui social network, del rapporto tra la scrittura e Twitter, di cinismo collettivo, di snobismo degli intellettuali, di cosa è veramente nuovo e di cosa non lo è.

In questo flusso ininterrotto di dialoghi densissimi - che certo a chi bazzica questi temi potranno sembrare in parte banali e didascalici, ma che a me ha sorpreso veder portati sullo schermo - scorrono le vite dei protagonisti tra serate e cene con gli amici, aperitivi e colazioni in bistrot parigini, incontri di lavoro, tradimenti accettati quasi come inevitabili, nuove passioni e rotture, secondo un ciclo ininterrotto in cui niente sorprende chi ormai con la vita ci è sceso a patti.

Quella di Assayas è una commedia, ma attraverso di essa trapela una malinconia sottile che all'uscita dal cinema è difficile scrollarsi di dosso.

Voto: 3,5/5

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