venerdì 29 luglio 2011

LMVDM. La mia vita disegnata male / Gipi

LMVDM : La mia vita disegnata male / Gipi. Bologna: Coconino Press, 2008.

Dopo aver letto S. mi sono innamorata non solo dello stile fumettistico di Gipi, ma anche e soprattutto della sua anima ruvida e delicata, dei suoi fantasmi interiori e dei suoi sogni, del suo tormento mescolato a un’ironia sottile e feroce allo stesso tempo, del suo rapporto controverso con i genitori e con l’infanzia.

Su questa spinta ho comprato LMVDM (La mia vita disegnata male), il racconto di quel periodo della vita di Gipi durante il quale a causa di un problema al pene è costretto a un vero e proprio pellegrinaggio da un dottore all’altro, per scoprirne la cause ed individuarne la cura.

Ma – come spesso accade nei suoi racconti – la vicenda centrale diventa un pretesto per parlare di altro, di un’adolescenza un po’ disordinata, delle stramberie della sua compagnia di amici, degli eccessi di una giovinezza estrema nell’abuso di droghe e alcol, della tenerezza e della crudeltà dell’amicizia.

In questo deliquio, cui fa da inquietante contorno uno stuolo di medici e psicologi la cui stranezza è quasi superiore a quella del protagonista, si alternano gli acquerellati incubi a lieto fine che hanno per protagonisti terribili e buffi pirati, ricordi rimasti impressi nella memoria, come la notte passata in carcere, malinconiche e molto realistiche scene di vita quotidiana, allucinazioni e lunghi – e talvolta sconnessi – discorsi.

Non una lettura leggera e riconciliante; piuttosto una discesa agli inferi insieme al protagonista. La condivisione della sua angoscia, dei suoi sensi di colpa, della sua voglia di vivere a fronte di una ripetuta sfida alla morte.

Epperò, alla fine Gipi non può che risultare tenero e il ricordo del suo amico perso e ritrovato, e poi nuovamente scomparso, eppure profondamente amato, ci riconcilia con l’affettività sconclusionata del protagonista.

Voto: 3,5/5

giovedì 28 luglio 2011

Captain America: Il primo vendicatore

Che fare in una sera d’estate in cui ci si è distrutti con una visita alla Galleria Nazionale di Arte Moderna (bella!), lo shopping selvaggio in centro approfittando dei saldi e un doppio aperitivo innaffiato da due bicchieri di buon vino?

Si va al cinema sotto casa a vedere Captain America

Non mi lancerò in azzardate disquisizioni sul personaggio, anche perché la mia conoscenza dei fumetti della Marvel, dei rapporti con DC Comics e di tutto quel complesso mondo che ruota intorno ai supereroi è davvero molto molto limitata.

Da profana qualche sono, certamente salvo due sequenze del film:

- quella in cui il basso e mingherlino Steve Rogers (Chris Evans) viene messo nella macchina inventata dal dottor Erskine (Stanley Tucci) e ne esce – grazie allo sviluppo cellulare indotto dalla macchina – alto, muscoloso, possente e con una tartaruga da far invidia al più accanito dei palestrati; sfido chiunque sia andato a vedere il film a negare di aver pensato: “La voglio!!”

- quella in cui l’ormai trasformato Steve Rogers viene convinto da un Senatore a indossare una ridicola tutina rossa, bianca e azzurra e uno scudo finto che riproduce la bandiera americana e ad esibirsi col nome di Captain America, circondato da una schiera di ballerine, con scena finale di pugno – finto! – alla controfigura di Hitler (siamo negli anni dello scoppio della seconda guerra mondiale e gli Stati Uniti sono impegnati nella campagna a sostegno della partecipazione alla guerra).

Queste due sequenze apportano quella dose di ironia che, invece, mi pare complessivamente manchi nel resto del film e forse in generale fa un po’ difetto a questo primo vendicatore. Eh sì, perché a giudicare da tutto il resto, a farla da padrona è invece una forte componente patriottica, una ideologia machista e militarista, che non solo mi è sembrata inconcludente e poco credibile, ma che francamente mi ha fatto anche un po’ orrore.

Insomma, ridatemi il lato oscuro di Batman, ridatemi l’umanità complessa e la fragilità di Spiderman! Ma forse Christopher Nolan e Sam Raimi sono registi con un approccio diverso rispetto a Joe Johnston e in mano a loro anche Captain America avrebbe acquisito qualche chiaroscuro in più.

Ciò detto, la divisa di Captain America, non quella degli spettacoli, ma quella realizzata per le azioni di guerra, è davvero molto bella e lo scudo indistruttibile è un gadget un po’ ingombrante, ma che a volte potrebbe fare comodo.

Però non credo possa bastare per convincermi ad andare a vedere le prossime puntate della saga.


Voto: 2,5/5


domenica 24 luglio 2011

Paris des enfants

Si trattava della mia - credo - terza visita (breve!) a Parigi e, dunque, tutte le mete turistiche più classiche erano state praticamente esaurite nelle occasioni precedenti.

Ma una città come Parigi lascia sempre spazio a nuove scoperte e a percorsi alternativi. E così, questa volta, anche in virtù di una serie di coincidenze, il mio è stato un giro che sarebbe stato particolarmente adatto a una bambino (o bambina) di età compresa tra i 7 e i 12 anni.

Non avevo con me i nipoti. E... lo so, quell'età è passata da tempo.

Ma - sarà perché ho conservato uno spirito un po' bambinesco - niente mi diverte di più che gli intrattenimenti pensati per i bambini (si veda anche la mia autentica passione per i cartoni animati e i fumetti!), soprattutto se si tratta di intrattenimenti non banali e che stimolano la scoperta e le nuove conoscenze.

Insomma, ne è venuta fuori una piccola guida alternativa a Parigi per chi è bambino e per chi si sente ancora tale!

Prima tappa: la Cité des Science e de l'Industrie a La Villette, attualmente oggetto di grandi lavori di ampliamento di adeguamento per una struttura che - quando è stata inaugurata nel 1986 - rappresentava una primizia assoluta per l'originalità della sua concezione, confermata dalla fortuna che avrebbe avuto in seguito.

Si tratta di uno spazio espositivo enorme che ospita mostre permanenti e temporanee su tutta la gamma dei temi scientifici, dall'astronomia alla tecnologia, dalla matematica alla medicina.

All'interno di questo spazio espositivo si trova anche l'area del Planetarium dove sotto una cupola si assiste a brevi documentari divulgativi sull'universo, il sole, le stelle. All'esterno troneggia la cosiddetta Géode, un enorme globo con la superficie a specchio al cui interno si proiettano filmati 3D e si fanno altre attività immersive. In questo periodo nello spazio esterno c'è anche un vero sottomarino che è possibile visitare per scoprirne tutti i segreti.

Noi - in una intera giornata - siamo riuscite a malapena a visitare le mostre e ad assistere a uno spettacolo nel Planetarium!

La cosa più bella e divertente della Cité des sciences è che tutte le mostre sono pensate in maniera interattiva, non solo per quanto è consentito dai computer e dalle nuove tecnologie, ma anche in un significato più primitivo, ossia per la possibilità che esse offrono di toccare oggetti, di mettersi alla prova, di giocare in maniera intelligente ed istruttiva.

Ad esempio, ai "giochi della salute" ci si doveva mettere alla prova su una carrozzella per disabili su un percorso accidentato, fatto di curve, di porte da aprire e di terreni sconnessi; o ancora nella sezione dedicata alla matematica si doveva trovare l'intruso in un gruppo di oggetti tridimensionali toccandolo con la mano, o nella sezione dei suoni si dovevano distinguere dei suoni decontestualizzati, o in quella delle illusioni ottiche si doveva comprendere il meccanismo retrostante sperimentandolo in prima persona.

Il divertimento e il coinvolgimento sono continui e assicurati. Il tutto in mezzo a bambini divertiti e urlanti, altri curiosi e concentrati, adulti con gli occhi illuminati, altri conquistati anche loro da tutto questo.

E così, tra un gioco di specchi, un'illusione ottica, un fenomeno sonoro sconosciuto, un quiz matematico, una prova di produzione manuale dell'energia elettrica e molto altro si sono fatte le 17 ed è dunque arrivata l'ora di tornare verso l'albergo e di prepararsi per la cena.

Lunedì, molti musei ed anche molti negozi sono chiusi. E dunque, quale idea migliore se non andare al giardino botanico di Parigi, il jardin des plantes?

Appena attraversato il cancello si apre davanti agli occhi un mondo incantato, dove piante e fiori sono collocati per affinità di colore e di tipologia in lunghe file circondate dal prato. Un sottopassaggio conduce al guardino alpino con le sue piante basse che si estendono su ogni superficie utile rendendo difficile individuare il passaggio.

Nella grande serra a vetri le pianti tropicali, protette all'interno di un artificiale clima caldo e umido.

Qua e là saltellano bambini con le loro macchine fotografiche al collo e la mano in quella di nonni e genitori. La concentrazione di bambini aumenta verso la fine del lungo viale del giardino botanico, e capiamo presto il perché.

Lì c'è l'ingresso della Grande galleria dell'evoluzione (che dispone di un'area appositamente dedicata ai bambini), una reinterpretazioone in chiave contemporanea del vecchio museo di storia naturale, ospitato in un'affascinante struttura di ferro e legno, che sembra quasi una stazione o un capannone industriale.

Quattro piani illustrano nell'ordine animali ed esseri viventi che popolano i mari e gli oceani, animali che popolano le terre emerse nei loro diversi ambienti naturali, l'uomo e il suo rapporto con la flora e la fauna nel corso dei secoli, infine una storia dell'evoluzione.

Tutto questo raccontato per mezzo di veri scheletri di animali, riproduzioni a dimensione naturale, vetrine illustrative (che spesso espongono anche insetti, farfalle, alghe ecc.), curiosi sgabelli con schede tecniche antiche montate su bastoni di legno e modernissimi monitor touchscreen da cui è possibile ottenere tutte le informazioni del caso.

E anche qui un contorno di bambini entusiasti che si muovono tra custodi del museo sorridenti e rilassati.

Considero parte integrante di questo mio particolarissimo tour di Parigi la visita alla mostra Paris sur Seine, ospitata in alcune sale dell'Hotel de Ville, la sede storica del Comune di Parigi.

Sì, perché pur trattandosi di una mostra serissima, con tanto di stampe e disegni antichi che ricostruiscono le attività nel tempo svoltesi sulla Senna, c'è anche una interessante componente ludica lì dove si illustrano con foto e video d'epoca le attività sportive e ricreative che avevano protagonista il fiume parigino. C'è dunque un piacere quasi infantile nel guardare questi video un po' accelerati (che sembrano quelli dei film muti degli anni Venti) e queste foto che raccontano di un tempo vicino (anni '50 e '60) e che pure sembra lontano, che mostrano facce che potrebbero essere quelle dei nostri genitori in un tempo che aveva un ritmo e uno spirito oramai perduti.

Insomma, Parigi sarà anche la città della moda, delle baguettes, dei grandi monumenti e dei quartieri a dimensione umana, delle squallide banlieue e dei lussuosi palazzi cittadini, delle grandi mostre e degli enormi musei (e tutto questo merita certamente una visita!). Però, se volete guardare questa città concedendovi l'opportunità - per una volta - di tornare bambini, quello che vi ho raccontato è il weekend che fa per voi!

venerdì 22 luglio 2011

La costa della Vandea e le sue isole

Non ve ne ho mai parlato, ma questa è l'occasione buona per confessare che sono un'accanita cicloturista. Quello di quest'anno è stato il mio decimo viaggio in bicicletta, il sesto in Francia.

No, non vado in Francia in bicicletta; la bicicletta la trovo nel posto dove comincia il tour.

No, non mi porto i bagagli dietro; l'ho fatto solo la prima volta (in Olanda, primo e unico viaggio auto-organizzato), ma dall'anno successivo ho ritenuto che sarebbe stato molto meglio affidarsi a un'agenzia specializzata per la prenotazione degli alberghi, il trasporto dei bagagli, la definizione del percorso e la documentazione relativa, al fine di potersi muovere in tutta libertà e sicurezza.

Di agenzie di questo tipo in Italia ce ne sono almeno tre, Due ruote nel vento, Girolibero (ramo dell'associazione Zeppelin) e Verde Natura (tutte sperimentate in prima persona), che a loro volta si appoggiano - per i viaggi all'estero - alle numerose agenzie locali specializzate nello stesso tipo di viaggi.

Di viaggi che possano essere fatti individualmente (ossia in autonomia, senza doversi aggregare a un gruppo) ce ne sono centinaia (in Europa e nel mondo), e ogni anno l'offerta si amplia e diversifica. Basta dare un'occhiata ai cataloghi delle agenzie succitate per rendersene conto. Peccato che i viaggi realmente affrontabili, per chi come me non ha alcuna preparazione specifica e durante l'anno non va quasi mai in bicicletta, non siano poi infiniti!!

Le variabili che determinano la difficoltà del viaggio sono numerose; non è soltanto un fatto di km giornalieri (di solito in questi viaggi si fanno dai 45 agli 80 km al giorno, per un totale di circa 300-350 km in una settimana), bensì anche di tipologia del percorso e di condizioni atmosferiche: salite e discese, sterrati, vento, pioggia e così via. E così, 50 km possono essere una vera passeggiata in scioltezza, ovvero una faticosa prova atletica, che si sconterà l'indomani.

Certo, sugli stessi percorsi si incontrano arzilli vecchietti che sfrecciano a velocità per me inimmaginabili e che si ritrovano la sera a cena freschi come rose, mentre io alle 21,30 sono già atterrata distrutta sul lettino. Ma - come si sa - si assiste a un peggioramento della specie e le generazioni diventano sempre meno resistenti alla fatica... o almeno così ne concludo dopo un po' di esperienze di questo tipo.

I percorsi possono essere, a seconda dei casi, circolari ovvero lineari (terminando dunque in un posto diverso da quello di partenza). In ogni caso, l'area coperta è sempre piuttosto limitata, diciamo corrispondente a una provincia italiana non troppo estesa. Se, dunque, volete vedere tutto, questa non è la vacanza per voi.
D'altra parte, il viaggio in bicicletta consente di entrare nello spirito di un luogo molto di più di quanto la velocità di una macchina o la preselezione operata da un treno non consentano.

Con la bicicletta si attraversano alla stessa velocità luoghi molto turistici e pieni di gente e sperduti paesi i cui abitanti non sembrano essersi mai mossi di lì, strade importanti e oscuri sentieri che tagliano boschi e campagne, piste ciclabili attrezzate e stradelli ghiaiosi.

In un'area così piccola si può avere un assaggio di moltissime cose e di paesaggi molto diversi. Ad esempio, durante il viaggio di quest'anno sulla costa atlantica della Vandea, ci sono state le dune sull'oceano - come immaginabile - ma anche la campagna con i girasoli, le saline, le paludi, i laghi, i canali, le foreste, i paesi. Il sole e il vento hanno accompagnato ogni pedalata.

Il viaggio in bicicletta è un'occasione per stare in contatto con la natura, per sentire il proprio corpo (tutto l'anno costretto su una sedia di fronte a un computer), per apprezzare l'enogastronomia locale (e la Francia da questo punto di vista è splendida!), per dormire profondamente, stremati da una stanchezza sana, per sospendere la quotidianità e l'ordinario in maniera originale, per sperimentare il gusto dell'avventura.

Quest'anno ci è toccato cambiare due camere d'aria forate, trasportare quasi a spalla le biciclette con le ruote piene del fango di uno sterrato dopo una notte di pioggia, pedalare con una ruota deformata a causa di tre raggi spezzatisi l'uno dopo l'altro, aspettare il raro passaggio di una automobile per chiedere indicazioni stradali dopo aver toppato il percorso indicato sulla road map.
In altri viaggi ci è toccato pedalare un'intera giornata sotto la pioggia bagnandoci fino al midollo nonostante l'attrezzatura, ovvero temere di non avere forze sufficienti per percorrere gli ultimi chilometri.

Quest'anno a scandire il nostro percorso sono stati Les Sables d'Olonne, St Gilles Croix de Vie, Bouin, il Passage du Gois, l'Ile de Noirmoutier e l'Ile d'Yeu. Forse a distanza di qualche settimana non ricorderemo perfettamente in quale paesino avevamo scattato la foto di quella chiesa gotica o di quella spiaggia atlantica, ma la memoria dello spirito della Vandea rimarrà indelebile nelle nostre menti.

giovedì 21 luglio 2011

Il bacio della Medusa / Melania G. Mazzucco

Il bacio della Medusa / Melania G. Mazzucco. Milano; Rizzoli, 2008.

Il bacio della Medusa è un libro carico, sovrabbondante nella lingua e nei contenuti, chiaramente il primo romanzo della Mazzucco, quello in cui lo scrittore un po' acerbo non riesce a filtrare la totalità delle suggestioni letterarie e di vita che ha accumulato. E così il romanzo ne viene fuori come la somma di tanti romanzi e di tanti stili differenti.

Del resto, la stessa Mazzucco ce lo racconta con dovizia di particolari nella postfazione a questa edizione, svelando genesi e retroscena della scrittura.

Eppure, nonostante l'immaturità che sembra emergere in alcuni passaggi, il libro ha una potenza che prefigura le qualità narrative della Mazzucco di Vita. Di quest'ultimo ritroviamo qui il gusto documentaristico, l'ambientazione storica, il groviglio dei sentimenti, i rapporti tra le classi sociali e tra i generi, la cultura contadina, l'ineluttabilità del destino.

Anche in questo romanzo al centro dell'intreccio c'è una storia d'amore impossibile, quella tra Norma, di buona società, sposata con l'onorevole Argentero, e Medusa (al secolo Maddalena Belmondo), figlia di una famiglia contadina numerosa della Valle Stura, con un'infanzia difficile alle spalle, segnata dall'incontro col vagabondo Peru.

Siamo all'inizio del Novecento, nella provincia piemontese, tra valli e montagne, e l'esito, pur mitigato da un finale ipotetico alternativo, è inevitabilmente drammatico.

Nel frattempo, siamo trascinati nel fiume in piena di pensieri, parole ed eventi, cui solo il narratore - che qua e là viene allo scoperto - impone un freno. La sensazione di essere in balia di qualcun altro, storditi dal flusso disordinato della coscienza ci mette talvolta in una condizione di inferiorità e di passività quasi insopportabile che, da un lato ci impedisce di staccarci dalla storia e dai personaggi, dall'altro suscita il desiderio di sostituirsi al narratore.

Potenza della scrittura nel darci l'illusione di poter riscrivere anche la vita.

Voto: 3/5

giovedì 7 luglio 2011

FUORI TEMA: Un matrimonio alla pugliese

Lo sapete. Sono orgogliosamente pugliese.

Però, essendomi allontanata dalla Puglia dall'ormai lontano 1991, il mio sguardo nei confronti della mia terra oscilla tra il critico e il commosso, in un'altalena infinita tra il recupero delle tradizioni e il rifiuto di alcuni tratti propri della mentalità locale.

Ebbene, è proprio con questo sguardo che vi introdurrò a una vera e propria istituzione della cultura pugliese, il matrimonio. Una specie di "Guida all'uso di" che potrebbe tornarvi utile qualora doveste mai essere invitati a parteciparvi.

Andiamo per ordine. A differenza che nel resto dell'Italia, i matrimoni dalle mie parti non si celebrano quasi mai di domenica (perché la domenica è il giorno del Signore e va dedicato ai riti domenicali!), mentre è prassi fissare la data durante la settimana. Vige il concetto "né di Venere, né di Marte", ma ormai anche quello è superato perché i giorni della settimana quelli sono e bisogna pur sempre sfruttarli tutti...

Seconda differenza rilevante. Il matrimonio serale - pur cominciando a diffondersi come conseguenza delle turpi abitudini delle barbariche nuove generazioni - è un po' sacrilego rispetto alla tradizione e, comunque, non è guardato di buon occhio dal "parentame" che non ha alcun problema a impegnare un'intera giornata per il matrimonio, ma non ha intenzione di cenare tardi la sera e stare in piedi fino alle 3 di mattina.

E così, la celebrazione in chiesa (perché sposarsi in Comune è ancora più sacrilego che sposarsi di sera!) si tiene di solito verso le 11 di mattina, fatto salvo che la sposa può arrivare in un orario variabile tra le 11 e mezzogiorno.
In chiesa tutti composti, tirati a lucido, spalle coperte, commozione, sacerdote spesso amico, applauso quando i novelli sposi sono dichiarati marito e moglie.

All'uscita le porte della chiesa vengono letteralmente sbattute alle spalle degli sposi, per evitare che l'enorme quantità di riso lanciata sugli sposi invada la chiesa e si infili ovunque...


Sono le ore 13,30 circa. A questo punto tutti liberi. Gli sposi saranno impegnati per un tempo che può andare dall'una alle due ore (secondo quanto è puntiglioso il fotografo!) per il reportage fotografico. Un tempo si usavano romanticissime foto sugli scogli, con lo sfondo del mare. Ora siamo diventati tutti più radical-chic e quindi vai di centri storici, di intonaci bianchi e di chiese romaniche!

Intanto, gli invitati si spostano verso la sala ricevimenti con le macchine addobbate con le coccarde bianche per far sapere a tutti che stiamo andando a un matrimonio. Un tempo avremmo anche strombazzato per strada, ma oggi sarebbe troppo kitsch, o - come diremmo noi - da "cozzali".

Le sale ricevimenti sono un altro interessante capitolo del matrimonio alla pugliese, anche quelli oggetto di un'evoluzione nel tempo. Negli anni Settanta e Ottanta andavano le sale ricevimenti sul mare, con la terrazza per guardare l'orizzonte, perché la campagna faceva "povero". Oggi è il boom di masserie ristrutturate e agriturismi nel verde, più scenografiche e più adatte allo spirito del nostro tempo.

Sono le 15,30. Degli sposi di solito non si vede neppure l'ombra.
Per fortuna le sale si sono attrezzate con drink e tartine di intrattenimento... capaci di calmare i morsi della fame. Il suonatore di chitarra, pianoforte, flauto o quant'altro ci tiene compagnia con le sue melodie d'annata.

Ed eccoli: gli sposi! In tutto il loro splendore!
Trionfale ingresso nella sala degli antipasti. Qui gli invitati sono attesi da 4-5 tavolate a buffet, dove è possibile trovare qualunque ben di dio, nella migliore tradizione pugliese: dal pesce crudo, ai prodotti caseari (mozzarelle fatte al momento, burrate, scamorze, primo sale e pecorini), torte rustiche, affettati e specialità di norcineria, sushi, insalate di mare e di polipo, per finire con la zona della brace: dal polipo, alla salsiccia pugliese ai "torc'nidd" (una specie di involtini fatti con le interiora di agnello). C'è sicuramente di che mangiare per un esercito (e di solito gli invitati ai matrimonio sono un vero e proprio esercito, per quanto scomposto).

Vi risparmio la questione della composizione dei tavoli (di solito previsti per 8-9 persone), operazione che richiede una pianificazione attentissima da parte degli sposi e certamente li impegna un tempo esagerato. Salvo che alla fine ci sarà sempre qualcuno scontento...

Il buffet sazierebbe anche un bufalo inferocito dalla fame, ma noi - in Puglia - siamo solo all'inizio! Così, dopo uno spostamento nella sala da pranzo e ballo, e non prima della processione degli auguri agli sposi e alle famiglie, eccoci attaccare i primi, di solito due (quasi sempre rielaborazioni su piatti della tradizione), inframmezzati dal primo ballo degli sposi sulle note della canzone che si sono scelti per suggellare il loro amore.

Dopo la seconda pasta, il dj di mezza età e la cantante di pianobar partono col tormentone dei balli di gruppo. Tre quarti della sala partecipa, perché negli ultimi anni in Puglia giovani e meno giovani hanno avuto come principale attività del loro tempo libero la scuola di ballo. Comunque il tempo e lo spazio per un liscio e una Gloria Gaynor d'annata lo si troverà... Così come non potrà mancare il trenino sulle note di Disco Samba, il girotondo intorno agli sposi, gli sposi sollevati in alto perché si diano un bacio davanti a tutti (!).

Sono le 18,30. Siamo al secondo piatto (pesce o carne a seconda dei casi), seguito o accompagnato dal sorbetto... La maggior parte di noi non ha più posto nello stomaco neppure per un'oliva, però tocca preservare uno spazietto per... i dolci!!

E infatti eccoci tutti catapultati sul prato dove è allestito un altro fantasmagorico buffet, dove ci sono frutta (soprattutto esotica) e dolci di ogni forma, colore, gusto e dimensione. Non dovrebbe mancare neppure il banchetto del gelato e delle crepes espresse... :-)

Intanto si allestisce la torta nuziale. Seguono le foto di rito. Mentre le espressioni dei commensali e degli sposi si fanno sempre più provate!

Ancora musica, frizzi, lazzi. Sono arrivate le 22,30.

Il "parentame" - soddisfatto - comincia a sloggiare e così comincia la processione al tavolo della bomboniera e dei dolci. Saluti agli sposi, ritiro del pacco e dritti a letto. Ma gli amici no!!

Quelli si presuppone che stiano fino all'ultimo, a sorseggiare un rum e pera, a fumare un sigaro e a posare per le ultime foto. A questo punto anche gli sposi hanno perso l'aplomb iniziale e quasi sempre la sposa ha mollato le scarpe col tacco altissimo.

I più resistenti e temerari tra gli sposi possono addirittura concludere la serata in qualche locale insieme agli amici più stretti. Ma abbiamo ormai tutti una certa età e la tenuta si è ormai considerevolmente ridotta ;-)

Tutti a casa. A domani i commenti, le foto, le telefonate che terranno banco per qualche giorno fino a quando l'eco del matrimonio celebrato non sarà esaurito.

Tenetevi pronti, però: vi attende la visione del filmino e delle foto.
Non potete mancare!