Quelli della Pixar, anche dopo essere stati assorbiti dal gigante Disney, continuano ad essere tra i creatori più originali nel settore dei film di animazione, sebbene di tanto in tanto perdano qualche colpo e non sempre dimostrino di essere all'altezza delle aspettative, di fronte a un mercato cinematografico che costringe a sfornare film in continuazione e che anticipa troppi contenuti attraverso trailer e teaser proposti per mesi prima dell'uscita del film.
Nel caso di Inside out l'idea di fondo è brillante: raccontare un anno della vita di una bambina undicenne, Riley, facendone protagonista non veramente lei, bensì le emozioni che la governano dall'interno della sua psiche: gioia, tristezza, rabbia, paura, disgusto, rappresentate sotto forma di ominidi variamente caratterizzati.
Gioia è una ragazza magra con i capelli corti in cui prevalgono i toni solari del giallo, Tristezza è una ragazza occhialuta e sovrappeso in cui dominano le tonalità del blu, Disgusto è ancora una donna, molto puntuta, che prende i colori del verde, Paura è un omino filiforme di colore viola, Rabbia è un uomo basso e tozzo di colore rosso, che esplode in fiamma nei momenti topici.
I cinque, dal loro quartier generale ultratecnologico collocato nella mente di Riley, governano tutti i processi che presiedono all'archiviazione dei ricordi e alla costruzione della personalità, quest'ultima incentrata per la bambina undicenne su cinque pilastri: la famiglia, l'amicizia, l'onestà, lo sport e la "stupidera", ossia la componente giocosa e infantile di Riley (cosa quest'ultima che ho trovato tenerissima e verissima).
A un certo punto Gioia e Tristezza finiscono per errore nel labirinto dei ricordi, in un momento molto delicato della vita della bambina, ossia quando lei deve affrontare il trasloco in una nuova città, quindi una nuova casa, una nuova scuola, nuovi amici. Cosicché le due emozioni perdute dovranno trovare la strada - attraverso conscio e subconscio – per tornare al quartier generale e riprendere in mano la situazione.
In questo percorso, Riley passerà dall'infanzia, governata prevalentemente dalla gioia, all'adolescenza, l'età della vita nella quale si scopre la tristezza ma si capisce anche che la tristezza è in qualche modo funzionale alla gioia e non va demonizzata a tutti i costi. Quell'adolescenza che deve accettare la distruzione dei capisaldi su cui è costruita l'infanzia per consentire la nascita di una personalità nuova e più complessa.
Mio nipote P. mi fa notare che il film racconta questo passaggio anche attraverso il confronto visivo tra le emozioni di Riley e quelle degli altri personaggi, lì dove ci vengono mostrate. Mentre ad esempio in Riley l'emozione guida è la gioia, negli adulti spesso l'emozione dominante è un'altra, ad esempio la rabbia nel caso del padre o la tristezza nel caso della madre; inoltre negli adulti le emozioni sono più uniformi nell'aspetto e hanno una identità di genere più chiara, oltre a risultare complessivamente meno radicali e anarchiche nelle reazioni. Inevitabile però la fastidiosa impressione che la psiche degli adulti – che in teoria dovrebbe essere molto più complessa – sia tendenzialmente standardizzata e omogenea.
Perché certo è vero che tutti ricordiamo un'età della vita nella quale le emozioni prendevano il sopravvento in maniera disordinata e incontrollabile, ma fosse vero che poi in età adulta le cose si semplificano!
Il film alterna momenti esilaranti – si veda ad esempio la conversazione a tavola tra madre, padre e figlia, attraverso il punto di vista delle emozioni di tutti – a momenti molto commoventi, come quello in cui l'amico d'infanzia immaginario di Riley, Bing Bong, accetta di finire nel dimenticatoio per consentire a Gioia di tornare alla sua postazione e a Riley di crescere.
Personalmente, di fronte a un film quasi interamente incentrato sulle emozioni di Riley e sul viaggio di Gioia e Tristezza per tornare al quartier generale, avrei forse preferito maggiormente una interazione tra le emozioni dei diversi personaggi, che forse avrebbe reso più vivace e interessante la narrazione.
Alcune trovate, per esempio i motivetti pubblicitari che si installano nella mente e vengono richiamati quasi involontariamente, ovvero la fabbrica che produce i sogni notturni, sono strepitosi.
Resta però alla fine la sensazione di un film in cui gli autori sono stati talmente attenti a una qualche verosimiglianza scientifica di quanto raccontato da perdere a tratti un po' di spontaneità e di profondità emotiva.
Non griderei dunque al capolavoro, come ho letto in giro. Ma certo in un panorama di film per bambini che appare sempre più piatto Inside out rappresenta certamente una bella boccata di ossigeno.
E poi scusate, ma dove sono finiti i bellissimi corti che introducevano i film Pixar? Perché questo Lava mi è sembrato davvero un pochino "loffio"... :-((
Voto: 3,5/5
mercoledì 30 settembre 2015
venerdì 25 settembre 2015
Ebridi in salsa greca: le isole Fourni (e Samos) - Parte II

Arrivate quasi a Kampi Chrisomilia (la parte sul mare del borgo), vediamo sotto di noi due spiagge bellissime, e andiamo un po' su e giù per capire come ci si arriva. Poi un motorino parcheggiato vicino a un bidoncino dell'immondizia ci indirizza nella giusta direzione. Ed eccoci in quest'altra bellissima spiaggia dall'acqua verdissima e limpidissima, con i ciottoli e le immancabili tamerici, nonché pochissima gente (se si escludono i greci che arrivano in spiaggia verso le 18,30! ;-) ). Sulla via del ritorno facciamo tappa verso Bali (non quella thailandese, eh! ;-) ), dove ci fermiamo per un ultimo bagno su una spiaggia dove non c'è nessuno, in verità una strana spiaggia fatta di ciottoli e terra, con un mare pulitissimo ma un fondale strano.

Il giorno successivo, dopo aver cambiato scooter (perché il precedente era prenotato), con il nostro assurdo Typhoon col manubrio storto (!) decidiamo di andare alla spiaggia di Petrokopio, in realtà non la parte che prende il nome dalla cava di epoca antica e su cui ci sono pezzi di pietra bianca già parzialmente lavorati, ma in quella immediatamente successiva. Qui ci sono un po' di campeggiatori (abusivi) che infatti vengono ripresi dalla polizia locale, anche se poi alla fine restano lì. Boh! A un certo punto, quando i nostri asciugamani utilizzati per creare un po' d'ombra non bastano più e visto che le tamerici sono tutte occupate dai campeggiatori, decidiamo di spostarci a Kamari per un ultimo bagno pre-cena, cena che faremo ovviamente alla taverna, questa volta piena di italiani vocianti e con il solito cameriere che sembra totalmente fatto.











Con la scorta del nostro ouzo preferito di Samos (l'ouzo Giokarinis), siamo pronte a farci portare al piccolo aeroporto di Pythagorion e a tornare in Italia.
Ma anche questa volta la Grecia si è confermata la nostra meta del cuore.
P.S. E vabbè, volevo essere più brillante e divertente, ma volevo anche raccontare quante cose belle ci sono in questo arcipelago. E alla fine il risultato è stato una galoppata tra spiagge e ristoranti! ;-))
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lunedì 21 settembre 2015
Una città o l’altra / Bill Bryson
Una città o l’altra / Bill Bryson; trad. di Silvia Cosimini, Sonia Pendola e Giorgio Rinaldi. Milano: TEA, 2004.
Ci ho messo una vita a leggere questo libro. E non perché sia brutto, ma solo perché ha seguito il destino di quei libri iniziati nel momento sbagliato (alla fine di una vacanza), quelli che ci si incaponisce a finire, anche se poi li si legge in maniera talmente frammentaria da perdere il piacere della lettura.
E dire che si tratta di un libro molto brillante e divertente, come spesso accade per i libri di Bryson. Un libro di viaggi, in cui l'autore racconta di un suo viaggio attraverso l'Europa che ricalca in parte il percorso fatto decenni prima - quando era giovane - insieme all'amico Katz (viaggio del quale pure vengono raccontati gli episodi più esilaranti).
L'occasione è ghiotta non solo per raccontare bellezze e curiosità delle città europee, ma anche per ridere delle idiosincrasie e di alcune caratteristiche proprie delle diverse culture e dei diversi popoli. Devo dire che, in certi passaggi, non si può fare a meno di concordare con Bryson e di riconoscersi nelle sue considerazioni rispetto a realtà con cui siamo venuti a contatto. La cosa buffa però è che quando Bryson parla del nostro paese e delle caratteristiche di noi italiani e della nostra cultura quello che dice ci sembra (chissà come mai! ;-) ) stereotipato e frutto di una lettura alquanto superficiale, tanto che non possiamo fare a meno di pensare "Che vuoi che ne sappia un americano trapiantato in Inghilterra?".
Insomma, il libro è divertente, anche se un po' frammentario e in certi passaggi non del tutto lineare, e anche in qualche modo istruttivo, perché l'ironia che lo pervade ci costringe all'autoironia, e questo è un grande merito.
In generale, devo dire che la prima parte - quella sull'Europa settentrionale e occidentale - mi ha preso e divertito di più, forse perché sono luoghi che conosco maggiormente e dunque posso cogliere i riferimenti di Bryson, sia quelli con cui sono d'accordo sia quelli che invece mi vedono su posizioni diverse. La parte dedicata all'Europa dell'Est l'ho trovata invece un po' meno brillante o forse per me meno comprensibile; tra l'altro il giudizio tendenzialmente negativo su Istanbul mi ha lasciato un po' di amaro in bocca, visto che si tratta di una delle città che più mi è rimasta nel cuore.
Certo, rispetto ai classici libri di viaggi - di solito noiosissimi - in questo caso vi assicuro che non solo non vi annoierete ma vi verrà voglia di partire immediatamente, e magari proprio accompagnati da Bill. Se non fosse che la sua sostanziale incapacità di apprezzare realmente il buon cibo e di esplorare le abitudini culinarie locali a me personalmente creerebbe non pochi problemi di convivenza ;-)
Voto: 3/5
Ci ho messo una vita a leggere questo libro. E non perché sia brutto, ma solo perché ha seguito il destino di quei libri iniziati nel momento sbagliato (alla fine di una vacanza), quelli che ci si incaponisce a finire, anche se poi li si legge in maniera talmente frammentaria da perdere il piacere della lettura.
E dire che si tratta di un libro molto brillante e divertente, come spesso accade per i libri di Bryson. Un libro di viaggi, in cui l'autore racconta di un suo viaggio attraverso l'Europa che ricalca in parte il percorso fatto decenni prima - quando era giovane - insieme all'amico Katz (viaggio del quale pure vengono raccontati gli episodi più esilaranti).
L'occasione è ghiotta non solo per raccontare bellezze e curiosità delle città europee, ma anche per ridere delle idiosincrasie e di alcune caratteristiche proprie delle diverse culture e dei diversi popoli. Devo dire che, in certi passaggi, non si può fare a meno di concordare con Bryson e di riconoscersi nelle sue considerazioni rispetto a realtà con cui siamo venuti a contatto. La cosa buffa però è che quando Bryson parla del nostro paese e delle caratteristiche di noi italiani e della nostra cultura quello che dice ci sembra (chissà come mai! ;-) ) stereotipato e frutto di una lettura alquanto superficiale, tanto che non possiamo fare a meno di pensare "Che vuoi che ne sappia un americano trapiantato in Inghilterra?".
Insomma, il libro è divertente, anche se un po' frammentario e in certi passaggi non del tutto lineare, e anche in qualche modo istruttivo, perché l'ironia che lo pervade ci costringe all'autoironia, e questo è un grande merito.
In generale, devo dire che la prima parte - quella sull'Europa settentrionale e occidentale - mi ha preso e divertito di più, forse perché sono luoghi che conosco maggiormente e dunque posso cogliere i riferimenti di Bryson, sia quelli con cui sono d'accordo sia quelli che invece mi vedono su posizioni diverse. La parte dedicata all'Europa dell'Est l'ho trovata invece un po' meno brillante o forse per me meno comprensibile; tra l'altro il giudizio tendenzialmente negativo su Istanbul mi ha lasciato un po' di amaro in bocca, visto che si tratta di una delle città che più mi è rimasta nel cuore.
Certo, rispetto ai classici libri di viaggi - di solito noiosissimi - in questo caso vi assicuro che non solo non vi annoierete ma vi verrà voglia di partire immediatamente, e magari proprio accompagnati da Bill. Se non fosse che la sua sostanziale incapacità di apprezzare realmente il buon cibo e di esplorare le abitudini culinarie locali a me personalmente creerebbe non pochi problemi di convivenza ;-)
Voto: 3/5
venerdì 18 settembre 2015
L’amore giovane / Ethan Hawke
L’amore giovane / Ethan Hawke; trad. di Martina Testa. Roma: minimum fax, 2010.
Secondo me, Ethan Hawke è uno dei personaggi più affascinanti dell'attuale mondo dello spettacolo: un attore che è cresciuto in capacità attoriali e fascino, e soprattutto ha dimostrato di essere dotato di numerose altre qualità, non ultima quella della scrittura; un attore che ha saputo fare scelte cinematografiche (e non solo) intelligenti, che gli hanno consentito di ritagliarsi un posto privilegiato nell'immaginario cinematografico di ogni cinefilo che si rispetti.
L'amore giovane è la sua prima prova letteraria, che come ci spiega lo stesso Hawke nella prefazione, è stata scritta quando aveva praticamente la stessa età del protagonista, ossia poco più di vent'anni, spinto a scrivere da un amico quasi come terapia, mentre tentava i primi passi nel mondo della recitazione.
Di quella età - che accomuna scrittore e protagonista - si sente tutta l'intensità e tutta l'acerbità.
Il protagonista, William, incontra in un locale Sarah, un'aspirante musicista e se ne innamora perdutamente. Da lì inizierà una storia appassionata e tormentata, in cui William dovrà sperimentare l'instabilità affettiva di Sarah, o forse semplicemente la non adeguatezza di entrambi a una vera storia di amore, o ancora il fatto che a Sarah lui non piace abbastanza, ovvero il fatto che non è il momento giusto per una storia d'amore tra loro due.
Ne seguirà quella disperazione assoluta e senza via d'uscita che si può vivere anche in altre età della vita, ma che a vent'anni acquista caratteri di drammaticità e di testardaggine, a causa della propria immaturità e scarsa esperienza affettiva.
Quando incontriamo per la prima volta William e Sarah siamo conquistati e rapiti dall'intensità e dalla purezza dell'affezione che si crea tra questi due giovanissimi, che ancora hanno le idee confuse su quello che vogliono essere, su cosa vogliono fare della vita e hanno poche difese rispetto al mondo circostante, sono ancora "senza pelle".
Fin dai primi momenti del loro incontro, a noi che guardiamo dall'esterno è chiaro che questo amore non sopravviverà e porterà molto dolore, nella difficoltà di lasciare e di essere lasciati. Ma comprendiamo anche perfettamente che a 20 anni è difficile sottrarsi a queste esperienze affettive e che in qualche modo esse fanno parte della nostra educazione sentimentale (ammesso che si impari mai a gestire l'essere abbandonati o l'abbandonare!).
Cosicché quando arriviamo alle ultime pagine e incontriamo la rassegnazione di fronte a qualcosa che in ogni caso non potrebbe funzionare, è inevitabile un senso di tristezza e di sconfitta, che certo sappiamo essere tanto più provvisorio - ma anche profondamente lacerante - come solo le cose che avvengono a quell'età della vita possono essere.
Il pensiero corre - fors'anche per il legame determinato da Ethan Hawke - al film di Linklater Prima dell'alba, a quegli amori che avrebbero potuto essere e non sono stati, a quegli appuntamenti col destino che abbiamo mancato. O forse no. E - più in generale - a quanto sono difficili l'amore, il desiderio, l'attrazione, il bisogno degli altri, a qualunque età della vita, al contempo straordinaria iniezione di energia ma anche a volte fonte inesauribile di dolore, sempre occasione insostituibile per sentirsi vivi.
Voto: 3/5
Secondo me, Ethan Hawke è uno dei personaggi più affascinanti dell'attuale mondo dello spettacolo: un attore che è cresciuto in capacità attoriali e fascino, e soprattutto ha dimostrato di essere dotato di numerose altre qualità, non ultima quella della scrittura; un attore che ha saputo fare scelte cinematografiche (e non solo) intelligenti, che gli hanno consentito di ritagliarsi un posto privilegiato nell'immaginario cinematografico di ogni cinefilo che si rispetti.
L'amore giovane è la sua prima prova letteraria, che come ci spiega lo stesso Hawke nella prefazione, è stata scritta quando aveva praticamente la stessa età del protagonista, ossia poco più di vent'anni, spinto a scrivere da un amico quasi come terapia, mentre tentava i primi passi nel mondo della recitazione.
Di quella età - che accomuna scrittore e protagonista - si sente tutta l'intensità e tutta l'acerbità.
Il protagonista, William, incontra in un locale Sarah, un'aspirante musicista e se ne innamora perdutamente. Da lì inizierà una storia appassionata e tormentata, in cui William dovrà sperimentare l'instabilità affettiva di Sarah, o forse semplicemente la non adeguatezza di entrambi a una vera storia di amore, o ancora il fatto che a Sarah lui non piace abbastanza, ovvero il fatto che non è il momento giusto per una storia d'amore tra loro due.
Ne seguirà quella disperazione assoluta e senza via d'uscita che si può vivere anche in altre età della vita, ma che a vent'anni acquista caratteri di drammaticità e di testardaggine, a causa della propria immaturità e scarsa esperienza affettiva.
Quando incontriamo per la prima volta William e Sarah siamo conquistati e rapiti dall'intensità e dalla purezza dell'affezione che si crea tra questi due giovanissimi, che ancora hanno le idee confuse su quello che vogliono essere, su cosa vogliono fare della vita e hanno poche difese rispetto al mondo circostante, sono ancora "senza pelle".
Fin dai primi momenti del loro incontro, a noi che guardiamo dall'esterno è chiaro che questo amore non sopravviverà e porterà molto dolore, nella difficoltà di lasciare e di essere lasciati. Ma comprendiamo anche perfettamente che a 20 anni è difficile sottrarsi a queste esperienze affettive e che in qualche modo esse fanno parte della nostra educazione sentimentale (ammesso che si impari mai a gestire l'essere abbandonati o l'abbandonare!).
Cosicché quando arriviamo alle ultime pagine e incontriamo la rassegnazione di fronte a qualcosa che in ogni caso non potrebbe funzionare, è inevitabile un senso di tristezza e di sconfitta, che certo sappiamo essere tanto più provvisorio - ma anche profondamente lacerante - come solo le cose che avvengono a quell'età della vita possono essere.
Il pensiero corre - fors'anche per il legame determinato da Ethan Hawke - al film di Linklater Prima dell'alba, a quegli amori che avrebbero potuto essere e non sono stati, a quegli appuntamenti col destino che abbiamo mancato. O forse no. E - più in generale - a quanto sono difficili l'amore, il desiderio, l'attrazione, il bisogno degli altri, a qualunque età della vita, al contempo straordinaria iniezione di energia ma anche a volte fonte inesauribile di dolore, sempre occasione insostituibile per sentirsi vivi.
Voto: 3/5
mercoledì 16 settembre 2015
La distanza / Colapesce e Baronciani

Il graphic novel dell'inedita coppia Colapesce (al secolo Lorenzo Urciullo) e Alessandro Baronciani è una storia fortemente caratterizzata sia sul piano geografico che su quello generazionale.
La distanza è, infatti, la storia di Nicola, un trentenne o poco meno, che vive in Sicilia e che alla Sicilia sente di appartenere fortemente. Il protagonista ha una storia a distanza con una ragazza che vive a Londra. È estate e Nicola si appresta a partire per raggiungere la sua fidanzata, ma decide di colmare la distanza tra lui, che sta nel sud della Sicilia, e l'aeroporto di Palermo facendo alcune tappe, tra cui quella all'Ypsigrock, un evento musicale a Castelbuono cui vorrebbe partecipare insieme all'amico Piero.
Il caso gli metterà davanti Francesca prima, e poi la sua amica francese Charlotte, e l'inedito trio inizierà un vero e proprio tour della Sicilia che li porterà a Marzamemi, a Pantalica, a Noto, poi a Catania. Durante questo viaggio le cose prenderanno pieghe inaspettate e confuse, e Nicola si ritroverà da solo al concerto di Castelbuono.
Arrivato a Punta Raisi, dovrà prendere delle decisioni e fare una scelta, percependo tutta la precarietà della propria esistenza, delle proprie emozioni e dunque della vita sentimentale (che si può sintetizzare in questa ironica riflessione: "Mia nonna ha aspettato sette anni mio nonno senza sapere se fosse morto in guerra; oggi un cellulare lasciato in bagno per mezza giornata può mettere in crisi una storia").

Qua e là il racconto è punteggiato di citazioni più o meno famose che hanno a che fare con la Sicilia o con le donne, e in alcuni casi mettono insieme entrambi questi concetti.
In ogni pagina si respirano i profumi dell'estate e si ha la sensazione di sentire il sole sulla pelle. Né mancano frammenti di colonna sonora scelti accuratamente dai due autori, accomunati dalla stessa passione per la musica.
Nicola e anche le figure femminili che lo circondano sono dei credibilissimi testimoni non solo di un'età della vita, ma anche di un'epoca. Sono i trentenni di oggi, istruiti (e spesso andati via dall'Italia: ben due personaggi nell'albo), ironici e cinici al contempo, pieni di interessi e di passioni, legati alla loro terra e alle loro origini, ma anche capaci di vederne tutti i limiti, desiderosi di sentimenti stabili, ma anche alla ricerca continua di emozioni, intenti a riempirsi la vita di cose e di pensieri perché incapaci di gestire le pause, i vuoti, i momenti declinanti, resi insicuri dall'impossibilità di guardare con fiducia al futuro e non solo per limiti oggettivi e di contesto, ma anche per una soggettiva e generazionale adesione al "qui e ora".
Il risultato è un graphic novel caratterizzato da ironia, sensibilità e profondità, ma anche un po' ammiccante e piacione, due caratteristiche che forse sono anch'esse molto rappresentative di questa stessa generazione.
Voto: 3,5/5
lunedì 14 settembre 2015
Blast
Blast: un'esplosione, uno scoppio, ma anche baldoria, sballo.
Nel titolo di questo film greco c'è buona parte di quello che in esso è raccontato.
L'esplosione è quella di Maria (Aggeliki Papoulia), una giovane donna con tre figli, avuti da un marito marinaio che sta via per buona parte dell'anno, ma con il quale la passione è ancora molto forte, sebbene lui la tradisca regolarmente e non solo con donne.
La famiglia di origine di Maria ha una situazione complicata: una madre in sedia a rotelle, un padre passivo, una sorella con un ritardo mentale, un minimarket da portare avanti a causa del quale Maria deve abbandonare l'università. E infine la scoperta tragica che la famiglia è piena di debiti e molte migliaia di euro di tasse non pagate.
Da qui l'esplosione. Maria è di fronte alla sua vita in pezzi e reagisce rabbiosamente nei confronti di chi ha permesso che venisse rovinata; e per questo decide di fare un gesto estremo e poi di sparire. Verso dove e per fare cosa non lo sappiamo e non lo sapremo mai.
Il film di Syllas Tzoumerkas è fatto di emozioni violente, positive e negative, affastellate l'una sull'altra. La narrazione si sviluppa su almeno tre piani temporali, che però non sono mai resi espliciti allo spettatore, che dunque è disorientato da un racconto che si muove avanti e indietro nel tempo senza preavviso.
Gli eventi che riguardano Maria e la sua famiglia (di origine e presente) sono accennati, ma spesso non approfonditi. Molti restano i dubbi nella mente di chi guarda.
È invece sempre presente la sensazione di una contraddizione fortissima nella persona di Maria (e non solo) tra una vitalità istintiva e potente e una progressiva disgregazione materiale, emotiva e psicologica.
Tutti i recensori accennano al fatto che il regista utilizza questa famiglia per raccontare la Grecia contemporanea e le conseguenze della crisi, forse addirittura la vicenda di Maria e della sua famiglia è una metafora della situazione nazionale. Personalmente trovo che il film - pur essendo profondamente caratterizzato sul piano socio-culturale e dunque affondando fortemente le proprie radici nella Grecia contemporanea - si muova anche su un piano più universale e meno storicamente determinato.
Dalla sala si esce sconvolti e con mille interrogativi. Alcune scene sono destinate a restare impresse nella mente per giorni. E forse questo era l'obiettivo del regista. Trasmettere uno stato d'animo. Quello di un cappio che si stringe intorno al collo e da cui la protagonista cerca di liberarsi e di liberare la propria vitalità e tutta l'energia - positiva e negativa - che ha dentro.
E da questo punto di vista il film è estremamente efficace. Mi rendo conto però che non a tutti possa piacere o essere congeniale questo modo di comunicare cinematograficamente.
Voto: 3/5
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