lunedì 18 novembre 2013

La gabbia dorata (La jaula de oro)


Quello di Diego Quemada-Diez è un film sincero, come non è facile vederne al cinema.

A metà strada tra un documentario e un romanzo di formazione, racconta la storia di un gruppo di adolescenti che decide di lasciare la bidonville dove vive in Guatemala per inseguire il sogno di raggiungere l’America e una vita migliore.

Da un lato dunque c’è una storia di emigrazione con tutte le illusioni e le tragedie che si porta dietro: una terra lontana che nel desiderio assume tratti mitici e molto diversi da quelli della terra da cui si proviene, i meccanismi di sfruttamento che i flussi migratori generano ad ogni livello, la disumana guerra tra poveri, la solitudine, la paura, la disperazione, ma anche la speranza di chi decide di intraprendere questo viaggio, le insidie e il costante pericolo che una scelta di questo genere porta con sé.

Il confine tra il Messico e gli Stati Uniti diventa così il simbolo e la rappresentazione di tutte le frontiere che tutti i giorni i governi presidiano e gruppi di disperati tentano di superare a rischio delle loro stesse vite.

Dall’altro lato c’è la storia di tre ragazzi, Juan (Brandon López), Sara (Karen Martínez) e Samuel (Carlos Chajon) che - zaino in spalla - decidono di mettersi in viaggio, cui si aggiungerà Chauk (Rodolfo Dominguez), un indio del Chiapas. Al primo tentativo fallito, Samuel decide di restare a casa, mentre gli altri tre ripartono. Il gruppo sarà il luogo della gelosia, della competizione, del conflitto, ma anche dell’amicizia, della solidarietà e della crescita individuale, perché di fronte alle numerose, difficili situazioni che i tre dovranno affrontare e nella quotidiana lotta per la sopravvivenza a poco a poco si lasceranno alle spalle la loro adolescenza per guardare in faccia il mondo adulto.


Una piccola storia dentro una grande storia.

Quello di Quemada-Diez è un film in cui le parole contano poco eppure sono importantissime. Chauk non parla lo spagnolo: né i suoi compagni di viaggio, né gli spettatori potranno capire quello che dice. Eppure i suoi stati d’animo e i suoi sentimenti sono chiarissimi e le poche parole che Chauk potrà scambiare con Juan e Sara (apprendendole e insegnandole) costituiranno una specie di filo conduttore del racconto.

Non è giusto raccontare di più di questo film, perché il viaggio di Juan, Sara e Chauk è avvincente come un’avventura, ma anche imprevedibile e talvolta doloroso come la realtà.

Voto: 3,5/5


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