venerdì 11 maggio 2018

Festival del cinema spagnolo. Cinema Farnese, 3-8 maggio 2018

Il Festival del cinema spagnolo al Cinema Farnese è ormai diventato un appuntamento fisso del maggio romano e personalmente cerco di non perdere l'occasione di vedere qualche pellicola tra quelle che ho perso al momento dell'uscita o che probabilmente non arriveranno mai nelle nostre sale.

Quest'anno in particolare mi pare che la selezione operata sia particolarmente interessante, oppure - questa è la mia conclusione - il livello del cinema spagnolo (e sudamericano) negli ultimi anni sta crescendo molto.

Io riesco a vedere solo tre film, anche perché un paio (Una mujer fantastica e Poesia sin fin) li avevo già visti negli scorsi mesi; però quel poco che seguo è di un livello veramente alto ed esco con grande soddisfazione da questo fine settimana di immersione nel cinema spagnolo.

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Contratiempo

Il primo film che seguo, venerdì sera, è Contratiempo, un vero "giallone" come non ne vedevo da tempo. La storia è quella di un giovane manager rampante e di successo, Adrián Doria (Mario Casas), che si trova a essere il principale accusato dell'omicidio di Laura Vidal (Bárbara Lennie), la sua amante. Laura è stata trovata morta nella stessa camera d'albergo - chiusa dall'interno - dove Adriàn è stato ritrovato privo di sensi.

Adriàn ha un appuntamento con Virginia Goodman, l'assistente del suo avvocato, per fare il punto della situazione prima dell'udienza. Da qui comincia prima il racconto in flashback di Adrián, poi le domande dell'avvocato che - a poco a poco - portano alla luce una realtà diversa da quella raccontata, in un rovesciamento di prospettive e un susseguirsi di colpi di scena che tiene lo spettatore incollato alla sedia e lo costringe - come nella migliore tradizione dei gialli psicologici - a essere costantemente attento a quei dettagli di cui Virginia Goodman parla continuamente al suo cliente, per stare dietro alle ricostruzioni della storia e saggiarne la credibilità.

La pellicola di Paulo Oriol - pur a tratti un pochino forzata e sopra le righe, come mi fa notare la mia amica F. - è costruita come un meccanismo a orologeria perfetto che inizia raccontandoci una versione dei fatti e dei personaggi credibile per poi costringerci a rivedere tutte le nostre convinzioni e a cambiare continuamente punto di vista. Alla fine del film niente sarà come avevamo immaginato, noi stessi spettatori vittime dello straordinario raggiro ordito dallo sceneggiatore.

Voto: 3,5/5



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Vivir es fácil con los ojos cerrados

"Living is easy with eyes closed" è il primo verso della canzone dei Beatles Strawberry fields forever. La scelta nasce dal fatto che il protagonista di questo film di David Trueba è un professore di latino e inglese, Antonio (Javier Cámara), che è un appassionato dei Beatles e in particolare di John Lennon e insegna l'inglese ai suoi ragazzi utilizzando i testi delle loro canzoni.

Siamo nel 1966, la Spagna è in pieno franchismo, mentre nel mondo i Beatles sono all'apice del successo e John Lennon vive una grande crisi personale rispetto alla musica tanto da decidere di partecipare come attore a un film girato ad Almeria.

Antonio non può perdere l'occasione di incontrare il suo idolo e parte con la sua macchina verso Almeria. Ben presto raccoglie come compagni di viaggio Belén (Natalia De Molina), una giovane ragazza incinta che i genitori hanno mandato in un istituto per il periodo della gravidanza per evitare le chiacchiere della gente, e Juanjo (Francesc Colomer), un ragazzo di sedici anni in fuga dalla famiglia e in particolare da un padre poliziotto e autoritario che non lo capisce.

Il viaggio sarà per tutti l'occasione di scoprirsi reciprocamente e di scoprire se stessi sotto una luce nuova. Antonio è un personaggio commovente per la sua purezza e la sua generosità d'animo, un inno all'idea stessa dell'insegnante come modello di civismo, di dignità e di gentilezza, che acquista un valore ancora maggiore in una Spagna che deve fare i conti con gli effetti collaterali della dittatura. Con un'ironia e un'autoironia inesauribile nonché con la sua ingenuità irresistibile, Antonio condurrà Belén e Juanjo a fare i conti con le proprie vite e a riprenderle in mano senza più condizionamenti. Ma anche Antonio troverà in Belén e Juanjo una risposta alla sua solitudine e un senso alla sua vocazione che va ben al di là delle classi scolastiche.

Un film non solo bello visivamente e godibile, ma anche commovente, leggero e profondo al tempo stesso, pieno di spunti di riflessione. Non sorprende che abbia vinto sei premi Goya e che venerdì ci fosse la sala piena a Roma a distanza di quattro anni dalla sua prima uscita. Del resto, sentendo poi parlare il regista presente in sala sia del film che del suo ultimo libro, La canzone del ritorno, si percepisce la perfetta consonanza tra i toni del film e quelli del suo creatore, un uomo gentile e pacato, che comunica umiltà ma consegna al pubblico piccole perle di saggezza.

Voto: 4/5



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Estiu 1993 = Verano 1993

La mia tre giorni di cinema spagnolo si conclude con la visione di un film catalano, Estiu 1993, vincitore del premio come miglior opera prima al Festival del cinema di Berlino nel 2017.

Carla Simòn racconta una storia che affonda le radici nella propria autobiografia. Protagonista è la piccola Frida (Laia Artigas), una bambina di sei anni che nell'estate del 1993 perde la madre (morta di AIDS, lo si capirà dopo), dopo aver già perso il padre in precedenza. In quell'estate (e per volontà della stessa madre) Frida viene mandata a vivere con gli zii, il fratello della madre che vive in un casale di montagna insieme alla moglie e alla figlia, poco più piccola di Frida.

Inizia così per Frida un difficile percorso di metabolizzazione del dolore e di adattamento alla sua nuova famiglia. Carla Simòn ce lo racconta mettendosi all'altezza di questa bambina e compiendo uno straordinario percorso di regressione all'infanzia e di immedesimazione nei pensieri e nei sentimenti di una bambina e dei pochi - ma potenti e non mediati - mezzi che questa ha per reagire al senso di abbandono, alla paura, alla rabbia che la travolgono.

Come ha detto la mia amica R., coi suoi silenzi Frida ci comunica un intero, ingarbugliato e complesso, mondo interiore che è stato completamente messo sotto sopra. I capricci, le cattiverie, le piccole e grandi ribellioni, i ricatti affettivi sono gli strumenti che i bambini (e talvolta anche gli adulti) hanno a disposizione per gestire i propri sentimenti. Di fronte a lei una bimba ancora più piccola, Anna (Paula Robles), che - forte di una famiglia che la ama e che è presente - crede istintivamente in questa sorella maggiore acquisita e le offre un affetto puro, nonostante la competizione affettiva di cui è oggetto. Il rapporto tra queste due bambine strappa sorrisi e risate e insieme stringe lo stomaco in una morsa che non molla la presa fino all'ultimo fotogramma.

Fuori dal mondo delle due bimbe, che sono poi le uniche che sembrano capirsi sul serio e fin da subito, i due genitori, Marga ed Esteve, che comprendono il dolore e il profondo bisogno di affetto di Frida e non si tirano indietro, ma devono anche salvaguardare l'equilibrio affettivo della propria figlia e anche educare Frida come qualunque altra bambina della sua età.

In questo film, la rappresentazione dell'infanzia - pur in un frangente così difficile e delicato - non concede nulla ad alcuna visione romantica ed edulcorata, scegliendo la strada di una sincerità e di una adesione alla realtà che ti strappano il cuore dal petto, inducendo un senso di pietas umana profonda verso tutti i protagonisti di questa storia, umanissimi e fragili di fronte alla vita che a volte mette di fronte a sfide più grandi di noi.

Spero che Estiu 1993 esca in Italia perché è un film da non perdere.

Voto: 4,5/5

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