martedì 15 ottobre 2024

Un piano B di tutto rispetto: la Scania, con sosta a Copenhagen (Seconda parte)

Riserva presso il lago di Ivö 
Leggi qui la prima parte del racconto di viaggio.

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La zona orientale: Kivik, riserva di Haväng, Yngsjö, Åhus, lago di Ivö e Kristianstad 

Il nostro primo approccio con la parte orientale della Scania è una festa svedese a Furuboda, in un casotto sulla spiaggia. Si festeggia la bimba di un'amica svedese, che vive in Italia, e per un’incredibile coincidenza noi siamo a dormire a pochi chilometri da lì (tra Åhus e Yngsjö) proprio nel giorno in cui è previsto il festeggiamento. Lo scopriamo quando siamo già in Scania e l’esperienza è davvero molto bella, con tanto di momento 'fika'(la pausa caffè e dolci che è una vera e propria istituzione per gli svedesi) e di momento “dopp” (calata nelle gelide acque del Baltico) che solo io e uno svedesone ci attentiamo a fare. 

Nella pineta a sud di Åhus
Durante la permanenza nella zona di Yngsjö, facciamo diverse escursioni.

La prima verso il lago di Ivö, a nord di Kristianstad, che al suo interno ha un'isola che si raggiunge con un battellino che trasporta auto e persone. Nell'isoletta all'interno del lago c’è una riserva e una bella chiesetta, la più antica in pietra della Scania. Sulla terraferma, poco lontano dal lago, merita una visita il castello di Bäckaskog: se fate una passeggiata nel parco potrete arrivare a una propaggine dove dondolare su un'altalena che guarda verso l’acqua.

Nel paesino di Kivik
A Kristianstad ci fermiamo per un pranzo da Smäca, nella piazza centrale, e per una breve passeggiata, ma niente attira particolarmente la nostra attenzione.

Molti ci hanno consigliato una gita a Kivik, il paese delle mele. I dintorni sono effettivamente molto belli, e le campagne sono piene di meleti e bellissime case; il paese in sé non ci ha fatto una grande impressione; infatti ci limitiamo a una puntatina al porto e dopo ci dirigiamo verso la riserva di Haväng.

Nella riserva di Haväng
Fallito il tentativo di arrivare al faro della riserva di Stenshuvud – capiamo solo dopo che non esiste un sentiero per arrivarci – facciamo invece una lunga passeggiata sulla spiaggia di Haväng, fino al capanno di pesca dismesso e poi, tornando indietro, risaliamo al promontorio dove c’è un piccolo dolmen. La spiaggia è piena di ragazzoni con i costumi neri che ipotizziamo essere militari della vicina base.

Una giornata intera la dedichiamo a una gita in bicicletta a Åhus. Nel cottage nella pineta dove siamo a dormire (e dove una mattina facciamo scattare l’allarme del rilevatore antifumo facendo bruciare le brioche nel tostapane!) sono a disposizione degli ospiti due biciclette e così imbocchiamo la bella pista ciclabile che, attraverso la pineta e in circa un’oretta, ci porta nella cittadina di Åhus, dominata dalla grande fabbrica di Absolute vodka
Il gelato da Otto & GlassFabriken
Il centro storico è molto carino, e nella piazza ci fermiamo a comprare un gelato di Otto & GlassFabriken, come tutti ci hanno consigliato. Il chioschetto emana un gran profumo di cialda e c’è un gran viavai di gente. La cialda è effettivamente ottima, il gelato insomma, e le dimensioni sono abominevoli. S. non riuscirà a finirlo, io arriverò a fatica in fondo ma solo perché non voglio privarmi della cialda. Insomma, i gelati non sono proprio la specialità degli svedesi!

Sempre in bici ci allunghiamo fino alla spiaggia a nord del paese, Täppet, con una bella pineta alle spalle, le casette colorate e un grande pontile, cosa a cui ormai la Svezia ci ha abituate.

Spiaggia di Täppet
Åhus sarà anche il primo posto dove entriamo in un Systembolaget, praticamente un supermercato di soli alcolici, monopolio di stato in Svezia (nei supermercati normali si trovano solo alcolici sotto i 3,5°).

Al cottage dove dormiamo faremo il nostro ormai classico esperimento vacanziero di accendere un barbecue, e come al solito finirà con innervosimenti generali, gran dispendio di energia e tanta fatica per cuocere due filetti e due fette di halloumi (buoni eh!).

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Verso la penisola di Bjäre
Il nord-ovest: Båstad, penisola di Bjäre, Kullaberg ed Helsingborg


La nostra ultima sistemazione prima della breve sosta a Copenhagen è in una bella casetta – con tanto di giardino d’inverno – nella campagna vicino Grieve, al centro della penisola di Bjäre. Il nostro appartamento è parte di una ex fattoria dove vivono anche i proprietari che si sono trasferiti qui da un’altra zona della Svezia più a nord. Lei, Linda, ha adibito la vecchia stalla ad atelier dove vende i quadri che realizza, ma anche numerosi prodotti di design svedese, tra cui degli splendidi tessili di Ekelund di cui faremo man bassa (anche perché ci sono i saldi e dunque il costo è abbordabile).

Rössjön
Prima di arrivare nella penisola di Bjäre, in una giornata piuttosto grigia e in parte piovosa, incrociamo lungo la strada due laghi, Rössjön e Västersjön, dove ci fermiamo per un po’ di foto. L’atmosfera, per quanto e forse proprio perché cupa, è davvero magica.

Quando arriviamo nel nostro appartamentino il sole ha fatto capolino tra le nubi e dunque decidiamo di cominciare l'esplorazione della penisola, che si rivelerà davvero bella, forse ancora di più di quella più a sud, dove c’è la riserva naturale di Kullaberg.

Lungo le strade della penisola di Bjäre 
Il giro di Bjäre lo iniziamo da Ängelsbäckstrand, poi proseguiamo per Rammsjöstrand. Dopo un po’ di soste nella campagna e sulla strada per fare fotografie e guardare un cielo incredibile - con un nuvolone che ci fa pensare che da quale parte stia piovendo e presto la pioggia ci raggiungerà - arriviamo a Torekov, dove ci fermiamo per una passeggiata per le viuzze e sul porto: molto affascinante. Poi proseguiamo verso Kattvik e da qui verso Båstad, dove facciamo una lunga passeggiata alla ricerca di un negozio che alla fine non ci sarà utile e torniamo indietro attraverso il parco sul mare fino al Kallbadhus dell'hotel Skansen, il casotto con la sauna sul mare che è una specie di simbolo della città (e dove c’è un gran viavai di persone in accappatoio), insieme al campo da tennis collocato in pieno centro per il famoso torneo del circuito ATP.

Tramonto a Torekov
Verso l’ora del tramonto, sempre per ammirare questo cielo quasi atlantico che ci ha accompagnate per tutta la giornata, decidiamo di andare verso il mare e alla fine torniamo a Torekov, dove guardiamo il sole tramontare sull'isola di Hallands Väderö che sta proprio di fronte.

Il giorno successivo è dedicato alla penisola di Kulla. La sosta a Höganäs si può anche evitare a meno che non vogliate andare a fare un giro all'outlet delle ceramiche nella zona industriale della città (cosa che noi faremo successivamente); sulla strada per Kullaberg ci fermiamo prima al castello di Krapperup - che però vediamo solo dall'esterno - e poi a Mölle, dove facciamo una passeggiata sul porto.

Faro di Kullaberg
La nostra destinazione per oggi è il faro di Kullen (che io avevo già visto dieci anni fa quando, durante un tour della Danimarca, avevamo fatto una breve puntatina svedese, ma era un’altra stagione e la percezione era completamente diversa). A questo giro il cielo è grigio e dunque la scenograficità del luogo ne è abbastanza penalizzata. Facciamo anche il breve sentiero che ci porta al piccolissimo faro proprio sulla punta della penisola. 
Sulla strada del ritorno sostiamo brevemente nei paesi di Skaret e Arild, caratteristici luoghi di villeggiatura per gli svedesi, che però – complice il tempo quasi autunnale – sembrano deserti.

Helsinborg
Nella zona di Kullaberg facciamo una sosta gourmet al bistrot Havsveranda di Randsvik, un ristorantino che si sviluppa sul fianco della collina e scende fino ad una spiaggia privata, e dove si mangia in una veranda a vetri che si affaccia direttamente sul mare. Il cibo è particolare, ma buono, un po’ caro: d’altra parte è inevitabile pagare in questo caso anche la location.

L’ultima tappa del nostro giro in Scania è Helsingborg, dove – dopo una passeggiata alla torre di quello che resta del castello e al porto –  facciamo una bella visita guidata della biblioteca (grazie a un’amica svedese), dove c’è un progetto di rinnovamento della sede e di ampliamento con la costruzione di una nuova ala che si svilupperà nel parco verso il mare. Insieme a lei andremo a prendere un aperitivo nella zona del porto e poi a mangiare in un pub. 

Castello di Kronborg
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Danimarca: Helsingør e Copenhagen

A Helsingborg ci imbarchiamo sul traghetto per Helsingør. Dopo una ventina di minuti siamo in Danimarca e andiamo al castello di Kronborg (quello dove è ambientato l’Amleto di Shakespeare e infatti non mancheremo di comprare souvenir a tema shakesperiano), che però visitiamo solo dall'esterno perché non abbiamo molto tempo. 
Imboccando la strada lungo la costa andiamo al Louisiana Museum, che avevo visto nel mio primo viaggio danese e mi era piaciuto moltissimo. Quando arriviamo capiamo subito che c’è qualcosa di strano: il parcheggio è esaurito e le macchine sono parcheggiate ovunque. Inoltre vediamo scendere da una macchina elegante una donna di mezza età con tanto di chauffeur. Parcheggiare è impossibile e decidiamo di procedere oltre. 

A Copenhagen
Capiremo solo dopo che siamo capitate in uno dei giorni del festival della letteratura e forse quella che abbiamo visto scendere dall'auto era Rachel Cusk, di cui proprio quel giorno a quell'ora era prevista l’intervista.

A Copenhagen restituiamo la macchina in aeroporto perché dall'esperienza precedente so che parcheggiare in città è molto caro e comunque i mezzi di trasporto pubblici sono efficientissimi. Il nostro b&b è a 5 minuti a piedi dalla fermata della metro di Amagerbro, zona a 15 minuti di metro dal centro e a 15 minuti di metro dall'aeroporto. Strategico, oltre che davvero molto carino. In questo quartiere, oltre a passeggiare e perdervi nelle strade, consigliamo due ottimi posti dove mangiare: Th. Sørensen Dinér Transportable, un posticino specializzato in smørrebrød dove andremo a mangiare per ben due volte, e la Meyers Bageri, un panificio/caffetteria un po’ hipster, ma con prodotti e caffè davvero molto buoni.

La Water Culture House in costruzione sulla paper island
Per girare dentro Copenhagen facciamo un biglietto 24 ore per i mezzi pubblici e con quello risolviamo tutti i nostri problemi di spostamenti. Il pomeriggio del nostro arrivo andiamo prima al centro, nella zona di Nyhavn, che però trabocca di turisti (tantissimi italiani!!) in ogni dove, al punto che non si può praticamente camminare. Per questo decidiamo di andare a esplorare la Paper Island, un’isola che sta di fronte a Nyhavn e a questa è collegata da un ponte, dove è tutto un fermento di nuove architetture residenziali, commerciali e culturali davvero sorprendenti, tra cui la Water Culture House ancora in via di realizzazione. Da qui a piedi andiamo fino a un altro edificio notevole, l’Opera House, che non so perché non avevo notato dieci anni fa, oppure non me la ricordavo. Quando siamo all'Opera House, dove c'è il ricevimento di un matrimonio, scopriamo che esiste un traghettino che possiamo prendere con il nostro biglietto giornaliero e che fa un giro tra alcune delle isole che compongono la città, ma i nostri tentativi di prenderlo falliscono perché il traghetto ha un numero di posti limitato e noi rimaniamo a terra due volte.

Nordhavn
Per sfuggire alla pazza folla, il pomeriggio/sera decidiamo di trascorrerlo a Nordhavn, un quartiere in grande sviluppo. Effettivamente quando arriviamo vediamo un sacco di belle architetture contemporanee, localini molto radical chic e sul mare è stata creata una struttura in legno a gradoni e una casupola che si affaccia su un’area del canale che è stata delimitata ed è diventata una piscina pubblica. Sul pontile in legno è pieno di gente che chiacchiera, mangia e fa il bagno, anche perché nel frattempo è uscito il sole. Proseguiamo poi il giro fino all'estremità nord del quartiere, continuando ad ammirare edifici residenziali da lasciare a bocca aperta, e infine al capolinea riusciamo finalmente a prendere il traghetto che, nell'ora tra il tramonto e il crepuscolo, ci fa attraversare i canali della città fino alla fermata Black Diamond, dove c’è la biblioteca nazionale, e dove scendiamo per prendere la metro e tornare a casa.

La metro verso Ørestad
L’ultima mattina prima di ripartire – dopo aver portato le valigie a un deposito bagagli nella zona del nostro b&b – esploriamo un altro quartiere periferico in grande fermento, Ørestad, dove scendiamo a tutte le fermate della metro per vedere i vari edifici di architettura contemporanea realizzati negli ultimi anni tra cui 8-house, Vm-mountain e la DR Concert hall. Siamo praticamente alla periferia sud della città eppure queste zone risultano non solo belle, ma anche vivibili e piene di servizi, tra cui la possibilità di essere in centro in massimo 15 minuti.

Tornando in centro con la metro, ci fermiamo per un ultimo giro nella zona di Nørreport, dove ci affacciamo al mercato di Torvehallerne che, rispetto a come lo ricordavo, si è turisticizzato tantissimo e ha perso moltissimo del fascino che ricordavo.

Ancora Ørestad
Di Copenhagen trovo sorprendente la capacità di trasformarsi con una rapidità incredibile, il fatto di essere sempre avanti su moltissimi fronti, la presenza di tantissimi giovani, la raffinatezza delle scelte, l’efficienza delle soluzioni. Però i danesi – c’è poco da fare – non mi sono simpatici: tutti mediamente in forma, in abbigliamento tecnico, con figli bellissimi al seguito e quasi sempre in bicicletta o di corsa! So che è una generalizzazione, ma non ci posso fare niente.

In questo senso devo dire che la Scania è molto più rilassante e accogliente: noi ci siamo sentite davvero a nostro agio. 
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Note finali - in ordine sparso - sul viaggio
Tramonto a Copenhagen
- A parte a Copenhagen (e in misura enormemente inferiore a Malmö) italiani ne abbiamo incontrati pochissimi.
- Mai vista così tanta gente in accappatoio per strada come in Svezia.
- I contanti qui non servono praticamente a nulla, anzi molti negozi non li accettano proprio.
- Dopo le sigarette vere e quelle elettroniche, mi aspetto che anche da noi arrivi la nicotina da bocca, in Svezia diffusissima.
- Di alci – nonostante i numerosi cartelli per strada che invitavano a prestare attenzione – non ne abbiamo incontrato nemmeno uno, e un po’ mi dispiace, ma forse non era stagione.
La campagna della Scania
- Se il cambiamento climatico continua a questo ritmo, tra qualche anno toccherà venire l’estate al mare in Svezia (dove comunque le spiagge sono bellissime e per il momento molto libere!). 
- Amici svedesi, che caspita di asfalto usate per le strade cosicché appena piove andarci in macchina diventa un incubo e sorpassare i camion è quasi impossibile perché si viene investiti da un pericolosissimo getto d’acqua?

Infine: grazie Scania, perché ci hai salvato dalla depressione di un viaggio saltato, e ci hai comunque regalato un viaggio bellissimo, fresco e caloroso al tempo stesso.
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Per una selezione più ampia di foto del viaggio in Scania si veda qui sul mio profilo Behance.

domenica 13 ottobre 2024

Martin Parr. Short & Sweet. Bologna, Museo Civico Archeologico, 29 settembre 2024

Il nome di Martin Parr è comparso nel mio percorso fotografico più e più volte, ma è solo di recente - grazie al mio avvicinamento alla street photography - che ho cominciato a guardare al suo lavoro con maggiore attenzione.

Volevo già andare a Milano dove la mostra ha iniziato il suo tour italiano, ma non ce l'ho fatta, e dunque quando ho saputo che la mostra sarebbe stata visitabile a Bologna fino a gennaio non mi sono fatta sfuggire l'occasione in una delle mie puntate bolognesi.

Short & sweet è una mostra curata dallo stesso Parr - che tra l'altro ha anche girato un po' per la penisola per questa occasione - in cui lo spettatore ha la possibilità di percorrere la sua intera carriera, a partire dai primi progetti in bianco e nero degli anni Settanta fino ad arrivare ai lavori più recenti, come quelli nel settore del fashion.

La mostra si compone di 60 fotografie a cui si aggiungono le 250 che vanno a formare l'installazione Common sense, in cui le foto sono stampate su carta formato A3 con stampante a getto di inchiostro (cosa che produce colori ancora più saturi di quanto non siano normalmente le foto di Parr) e sono combinate a formare quattro pareti fotografiche. L'effetto è potente e permette di venire a contatto con alcune delle tematiche più tipiche della poetica di Parr: il kitsch, il consumismo, il capitalismo, l'ironia e molto altro.

Io però devo dire che ho apprezzato particolarmente la prima parte della mostra, quella delle foto degli anni Settanta in bianco e nero - che sono quelle che meno conoscevo - e poi l'intervista che viene proposta al visitatore a metà percorso, in cui - attraverso le domande dell'intervistatrice, la storica e critica della fotografia Roberta Valtorta - viene fuori la personalità semplice, ironica e autoironica di Martin Parr, e si ha inoltre la possibilità di capire meglio il suo approccio documentaristico e antropologico alla fotografia e al mondo. Parr dice che il suo interesse è sempre stato focalizzato sul modo in cui le persone trascorrono e occupano il tempo libero, perché secondo lui tanto dice della società quello che la gente sceglie o pensa di scegliere al di fuori dei doveri familiari e lavorativi.

È in questa ottica che va guardata e interpretata l'intera mostra che comprende anche una sezione dedicata agli aspetti più grotteschi del turismo di massa, un'altra alle foto scattate nelle spiagge inglesi ma anche nel resto del mondo durante l'intera carriera di Parr, un'altra dedicata al ballo, nonché le sue più recenti foto di moda (che Parr tratta sempre in modo originale e divertente). Da molti dei lavori esposti emerge il suo rapporto ambivalente con gli inglesi, il popolo a cui appartiene e di cui conosce le grandi virtù ma anche le tante caratteristiche oggetto della sua bonaria ironia.

Proprio sulle opere fotografiche focalizzate su Gran Bretagna e Irlanda si concentra anche il lavoro della Martin Parr Foundation di Bristol, che - come lui stesso ci dice nell'intervista - non ha solo lo scopo di preservare la sua collezione e la sua eredità fotografica, bensì anche di dare spazio al lavoro di altri fotografi più o meno conosciuti che, con i loro lavori, permettono di costruire un grande affresco per immagini della società inglese nel corso del tempo.

Vi consiglio di non perdere questa occasione.

Voto: 3,5/5

giovedì 10 ottobre 2024

Quando muori resta a me / Zerocalcare

Quando muori resta a me / Zerocalcare; con i toni di grigio di Alberto Madrigal. Milano: Bao Publishing, 2024.

Ed eccomi alla lettura dell'ultimo albo di Zerocalcare, quello che tante preoccupazioni aveva suscitato nella personalità nevrotica di Michele Rech convinto che il suo tempo stia passando o sia addirittura passato (se volete farvene un'idea ascoltate il podcast del Post in cui Luca Sofri lo intervista).

Quando muori resta a me appartiene al filone sicuramente più ricco della produzione di Zerocalcare, ossia quello delle storie personali e familiari, che talvolta incrociano storie più ampie ma fondamentalmente appartengono all'universo affettivo di Zero.

La vera novità rispetto agli albi precedenti è il fatto che al centro di questo racconto per la prima volta c'è la figura del padre di Zerocalcare e della famiglia di lui. L'occasione per indagare nel complesso rapporto tra Zero e suo padre è data da un viaggio che i due fanno insieme in un paesino delle Dolomiti dove c'è una piccola casa di famiglia, ereditata dal padre, e a cui è legata una storia che risale ai tempi della prima guerra mondiale, ma che c'entra anche con vicende che invece appartengono al periodo compreso tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta e che vedono coinvolta una donna misteriosa con un occhio bendato.

Come sempre, Zerocalcare è straordinario nel tenerci incollati alle pagine e alla storia, e in questo caso - oltre ad avere ritrovato le sue caratteristiche più tipiche, che si sostanziano in alcune uscite geniali e divertenti, nonché in alcune riflessioni per nulla scontate - ho apprezzato l'affinamento dell'impianto narrativo (forse anche grazie all'esperienza nella realizzazione della serie TV) che produce un'aspettativa e una suspence crescente nel corso della lettura.

Io l'ho divorato in qualche ora di ozio sul divano, in una situazione che con qualunque altra lettura sarebbe probabilmente finita in una 'pennica' pomeridiana. E invece Zerocalcare mi ha tenuto sveglissima fino all'ultima pagina.

Se un difetto devo trovare in questo nuovo albo è forse la sproporzione tra l'aspettativa suscitata dalle linee narrative del racconto e lo scioglimento finale che - anche forse inevitabilmente in quanto ha a che fare con la vita reale delle persone - è molto meno eclatante di quello che ci si potrebbe immaginare.

Alla fine si può dire che la forza di questo racconto sta nello svolgimento, e - come sempre - nelle chicche autoironiche, ironiche, riflessive, paranoiche, esilaranti, commoventi con cui Zerocalcare condisce qualunque narrazione, mettendo sempre davanti a tutto una pietas profonda verso qualunque essere umano, di cui si sforza sempre di comprendere fragilità e debolezze.

Voto: 3,5/5

martedì 8 ottobre 2024

Un piano B di tutto rispetto: la Scania, con sosta a Copenhagen (Prima parte)

La spiaggia di Skanör
Doveva essere l'anno del Giappone, viaggio sognato e programmato da lungo tempo, ma il pomeriggio prima della partenza per l'agognato viaggio arriva l'allerta megaterremoto emanato dalle autorità giapponesi, dopo che qualche giorno prima c'era stato un terremoto di magnitudo 7.1 nel Kyushu, una delle destinazioni previste del nostro viaggio. A me viene il panico e dopo una notte insonne, un'ora prima della partenza del trenino per Fiumicino faccio saltare tutto. Seguono tre giorni catatonici, durante i quali dobbiamo metabolizzare una scelta difficile e forse sbagliata. (Alla fine ci diremo che abbiamo fatto la scelta giusta, e non per il terremoto, ma perché, a causa dei due tifoni, Ampil e Shanshan, avremmo dovuto cambiare itinerari almeno un paio di volte e forse saremmo rimaste bloccate qualche giorno). Comunque, una volta risorte dallo scoramento, cominciamo a cercare una meta alternativa per un viaggio più breve e più vicino, e a questo punto anche più fresco. Bingo, andremo nella Svezia meridionale, nella contea della Scania (Skåne), arrivando e partendo da Copenhagen che è collegata alla Scania grazie al ponte di Øresund, magnifico visto dall'alto dell'aereo prima di atterrare, con la magia che a un certo punto verso Copenhagen si inabissa in mare.

Nel centro di Malmö
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Aspetti organizzativi e pratici

Organizzare una vacanza in Scania è quanto di più facile si possa fare, tanto che noi lo abbiamo fatto in poche ore e a due giorni dalla partenza. Abbiamo scelto di volare su Copenhagen perché in quel momento il volo era più economico che per Stoccolma e anche per la maggiore vicinanza alla Scania. All'aeroporto di Copenhagen abbiamo preso a noleggio un'auto (e abbiamo trovato un'ottima offerta) e da lì in poi ci siamo sempre mosse in macchina con grande semplicità. Guidare in Svezia è super rilassante, state solo attenti ai limiti di velocità e agli autovelox (ce ne sono tantissimi!). All'arrivo - come già detto, siamo andate da Copenhagen alla nostra prima destinazione passando per il ponte, al ritorno abbiamo invece deciso di prendere il traghetto – imbarcando la macchina - a Helsingborg, in modo da andare a vedere il castello di Amleto sulla costa danese.

La spiaggia di Malmö
Per quanto riguarda l'itinerario, visto che si tratta di un territorio non particolarmente esteso, abbiamo deciso di non fare programmi dettagliati né troppo serrati, ma semplicemente abbiamo scelto tre posti dove alloggiare in tre punti diversi della regione, da usare come base per esplorare l'area circostante.  Abbiamo prenotato gli alloggi tramite Airbnb. Nella scelta dei posti da visitare ci ha aiutati molto il sito Visit Skåne che è molto ben fatto.

Nelle prime tre notti eravamo in una specie di bungalow/cottage nella zona di Falsterbo, nelle seconde tre notti in un altro bel bungalow (più grande) in una specie di villaggio di case di legno (penso per gran parte seconde case) in una pineta a ridosso della spiaggia a sud di Åhus (vicino Yngsjö), nelle ultime tre notti infine in un vero e proprio appartamento (confinante con quello dei proprietari) nella campagna vicino a Grevie, nella penisola di Bjäre. Poi l'ultima notte l'abbiamo prenotata a Copenhagen per darci la possibilità anche di una piccola visita della città, e abbiamo scelto un b&b nell'isola di Amager, vicino la fermata della metropolitana AmagerBro, a metà strada tra l’aeroporto e il centro della città, zona che non conoscevamo e che invece ci ha conquistate.

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Riserva naturale di Falsterbo e faro
Il sud-ovest: Falsterbo, 
Skanör e il tour vichingo

La penisola dove si trovano Falsterbo e Skanör è la prima area che esploriamo ed è una lingua di terra che si protende sullo stretto di Øresund, nel mar Baltico. Luogo di vacanze e di spiagge molto belle: e io faccio subito il bagno nell'acqua gelida calandomi dal pontile in legno, insieme alle ragazzine svedesi dall'aspetto vichingo. In particolare, la zona della spiaggia di Skanör, oltre a offrire bei posticini dove mangiare e ovviamente una sauna sul mare e un pontile vicino da cui tuffarsi (com'è tipico di molti posti della Svezia), ha un mare pulitissimo e una spiaggia di sabbia bianchissima, su cui si affacciano tante casettine di legno colorate molto fotogeniche, usate come spogliatoi e punti di appoggio per i vacanzieri e i bagnanti, e alle sue spalle ha un’area umida molto bella, dove è possibile osservare la tipica fauna di questi ambienti.

Skanör
A Skanör andiamo anche due volte a mangiare, la prima da Lindas Fingermat dove mangiamo due empanadas e delle specie di tortillas da comporre con insalata e carne, la seconda da Fiskhuset (che avevamo adocchiato già la prima volta), dove prendiamo un piatto di di salmone con patate e un piatto con pane nero e un milione di gamberetti conditi con salse (una specie di smørrebrød gigante).

Sull'estremità della penisola, lì dove inizia una bellissima riserva naturale, è possibile fare una visita al faro (salendo su di esso per ammirare il panorama) e una passeggiata attraverso i sentieri che costeggiano la laguna e il mare fino al punto di osservazione, dove molte persone vanno a fare birdwatching (mentre dall'altra parte si estende un grande campo da golf, sport in Svezia molto diffuso).

Al Foteviken Museum
Nella zona di Falsterbo da vedere anche il Foto Art Museum, una struttura moderna in legno e vetro immersa nella pineta e a due passi dalla spiaggia. Si tratta di una collezione privata di fotografie di moda, e oltre a una collezione permanente propone periodicamente delle mostre temporanee. Nel momento in cui ci andiamo noi ci sono le fotografie di Herb Ritts e Richard Avedon e abbiamo il privilegio di avere la proprietaria del museo come guida nella prima parte del percorso.

Sempre in quest'area della Scania è possibile anche fare tour a tema vichingo: noi siamo andate al Fotevikens museum, un villaggio vichingo ricostruito dove non so se vi consigliamo la visita guidata (il signore vestito da vichingo è troppo verboso) ma sicuramente vale la pena indossare i vestiti vichinghi all'ingresso e farsi le foto nell'angolo apposito! Il tour vichingo prosegue poi verso Trelleborg dove c'è la ricostruzione di una parte della fortezza vichinga.

Malmö
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Le due città più grandi: Malmö e Lund

Andando verso nord da Falsterbo, sicuramente merita dedicare una giornata intera alla città più grande della Scania, Malmö. Parcheggiate non proprio in centro perché altrimenti il parcheggio per l’intera giornata vi costerà un botto.

Il nostro giro della città comincia con una passeggiata attraverso lo Slottsparken fino ad arrivare alla City library, che si compone dell’edificio storico e di un ampliamento contemporaneo a vetri, molto grande e luminoso, occupato da una sala di lettura a tutta altezza intorno alla quale si sviluppano ballatoi che permettono di consultare le collezioni a scaffale aperto e di gettare lo sguardo sia fuori sia sulla sala di lettura sottostante.

Nella biblioteca di Malmö
Dopo la visita alla biblioteca, andiamo nel centro storico che si sviluppa intorno a tre piazze principali, Lilla Torg, Gustav Adolfs Torg e la Stortorget (la più grande). Su queste piazze e nelle strade circostanti si affacciano alcune case medievali a graticcio molto caratteristiche. Niente di strabiliante ma un centro molto gradevole e accogliente.

Nella zona centrale vale la pena fare una sosta al
Lilla Kafferosteriet
, una caffetteria di specialty coffee (cosa che in Svezia è la normalità), dove mangiamo un bun al cardamomo eccezionale, e fare un giro di shopping al Formargruppen, che vende prodotti di design svedese realizzati da artisti locali (non economico, ma molto molto bello).

Malmö
Merita una visita anche la Sankt Petri kyrka (che all'ingresso ha in bella mostra le bandiere LGBTIQ+). Con grandi aspettative ci dirigiamo attraverso la Östergatan al Moderna Museet, che dalla descrizione ci aspettiamo come una specie di Centrale Montemartini svedese. Ma ne usciremo piuttosto deluse, sia dal punto di vista architettonico che per le opere in mostra.

Poi con l’autobus andiamo al Turning Torso, il grattacielo di Calatrava costruito nel quartiere che si sviluppa sul mare che è ormai diventato molto caratteristico dello skyline di Malmö. In generale, il quartiere nel quale si trova il grattacielo merita una passeggiata tra gli edifici di architettura contemporanea, alcuni dei quali molto affascinanti. Ci fermiamo a un certo punto su un pontile a gradoni sul mare per riposarci prima di arrivare alla spiaggia e durante il tempo che stiamo qua, mentre il cielo è ancora grigio dopo la pioggia e non fanno più di 19°, arrivano uno dopo l’altro un sacco di svedesi (molti dei quali in accappatoio) per quello che scopriremo chiamarsi “dopp”, in pratica un breve bagno, dopo il quale si rivestono e tornano a casa, mentre noi li osserviamo con le nostre maglie, pantaloni lunghi e giacche a vento e antipioggia.

Lilla Kafferosteriet di Malmö
Dopo questa esperienza per noi surreale raggiungiamo la spiaggia e da qui arriviamo al pontile che porta alla Ribersborgs Kallbadhus, il casone verdino sul mare dove è possibile fare la sauna e mangiare, ma che con questo cielo grigio fa un po’ effetto Alcatraz.

Tornando verso il centro scendiamo alla fermata Triangeln (dove c’è un grande centro commerciale) e da qui ci dirigiamo verso Davidhalltorg, una piazza bella e piena di vita e di locali, vicino la quale si trova il posto dove mangeremo, ossia Riket, osteria trendy nella quale veniamo accolti da un cameriere pugliese-marchigiano. La cucina è una rivisitazione fusion dei sapori svedesi: noi mangiamo patate novelle con aneto e panna acida, tartare con chimichurri e insalata, spiedino di pancetta con corn flakes e cavolo, e infine cetriolo grigliato con funghi e nocciole. Il tutto accompagnato da un ottimo rosso portoghese. Tutto buono e conto assolutamente onesto.

Lund
Andando a riprendere la macchina per tornare al b&b la città è piena di gente perché è l’ultimo giorno di un festival di musica; peccato che dopo qualche minuto (noi siamo già in macchina) viene giù una gran pioggia, a cui però gli svedesi sono molto più abituati di noi. Rientrando a Falsterbo ci sembra di vedere dei riflessi rosa nel cielo che ci illudiamo siano una specie di aurora boreale, ma forse è solo il vino! 

Ancora più a nord, ma verso l’interno, merita certamente una visita la cittadina di Lund, dall'anima fortemente universitaria. Tutto qui ruota intorno agli edifici universitari medievali (tra le più antiche università della Svezia) che si sviluppano accanto alla famosa cattedrale. In realtà non riusciamo a vedere granché se non dall'esterno, perché arriviamo in città verso le 17 e a quell'ora in Svezia chiude praticamente tutto. L’unica cosa che possiamo apprezzare pienamente di Lund è la caffetteria Love coffee sulla Klostergatan. Per il resto riusciamo a fare solo una passeggiata tra le belle strade della città che però, forse anche per il periodo e il giorno della settimana (sabato pomeriggio), ci appare un po’ sonnacchiosa.

Ales stenar
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La costa meridionale: Ystad e le Ales stenar

Chiunque sia appassionato di gialli svedesi non può non conoscere almeno di nome Ystad, la città dove vive e lavora il commissario Kurt Wallander, il personaggio creato dalla penna di Henning Mankell. Che siate o meno lettori di Mankell, una visita alla cittadina di Ystad vale la pena. Noi ci trascorriamo un’oretta passeggiando un po’ a caso tra le strade del centro medievale su cui si affacciano sequenze di case colorate e a graticcio, davanti alle quali crescono piante e fiori colorate e alle cui grandi finestre si affacciano oggetti di vario design con cui gli svedesi amano ornare i davanzali. È domenica e in questa cittadina – pur essendoci un minimo di movimento turistico – è tutto chiuso, e prevalentemente si incontrano abitanti che fanno sport oppure la loro passeggiatina domenicale.

Ystad
Proseguendo lungo la costa merita una visita il sito di Ales Stenar (le pietre di Ale), un monumento megalitico funerario risalente probabilmente al 500 d.C. dove è sepolto il capo dei vichinghi Åle, i cui 59 massi sono disposti in modo da formare il profilo di una barca. La macchina va lasciata in un parcheggio che dista circa venti minuti a piedi dal sito, ma è una passeggiata molto bella attraverso un villaggio e dei campi, poi fino a un promontorio su cui sorge il monumento e da cui si domina il mare circostante. Il posto è più pieno di turisti di quanto abbiamo visto fino a questo momento in Scania, ma numeri assolutamente gestibili e accettabili. Quando arriviamo al monumento, oltre ai bambini che giocano intorno e sulle pietre, siamo attirate da un hipster scalzo e con gli occhi chiusi che sta fermo nel punto segnato come centrale del monumento, forse ad assorbire le vibrazioni celesti!

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Leggi qui la seconda parte del racconto.

Per una selezione più ampia di foto del viaggio in Scania si veda qui sul mio profilo Behance.

venerdì 4 ottobre 2024

Da Venezia a Roma. Parte 2: Youth, Ainda estou aqui, Love

Per la prima parte delle recensioni vedi qui.

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Youth - Homecoming

La visione di questo documentario di circa due ore e mezza di Wang Bing - che leggo essere il terzo di una trilogia dedicata agli operai dei laboratori tessili cinesi di Zhili (capitale mondiale nella produzione di abbigliamento per bambini) e frutto di cinque anni di girato al seguito di questi lavoratori - è un'esperienza che non mi sentirei di consigliare a chiunque, ma che personalmente ho trovato molto forte sul piano sensoriale e conoscitivo.

In questo terzo capitolo della trilogia il regista segue le storie di alcuni lavoratori di età compresa tra i 16 e i 30 anni, originari di alcune zone rurali della Cina, tra cui lo Yunnan e non solo, durante il periodo del Capodanno cinese, periodo nel quale chi riesce a ottenere la paga torna a casa dalle proprie famiglie.

Assistiamo dunque a lunghi viaggi in condizioni piuttosto difficili (vagoni di treni strapieni di persone, pulmini e mezzi di fortuna che percorrono strade sterrate e ghiacciate sui costoni di montagne), e poi a scene di vita familiare all'interno di case povere e a volte fatiscenti in cui vivono famiglie allargate con bambini molto piccoli e persone molto anziane, a occasioni di vita collettiva all'interno di questi villaggi (matrimoni, processioni, e altri eventi), ma anche alla vita di questi lavoratori una volta che rientrano nei loro laboratori a Zhili, dove lavorano a cottimo con macchinari vetusti e vivono in cubicoli di cemento senza finestre all'interno di edifici fatiscenti.

Lo squallore, il degrado e la bruttezza degli ambienti e dei luoghi dove questi giovani trascorrono gran parte delle loro giovani vite è angosciante e aberrante, ma devo dire che più ancora degli ambienti di lavoro mi hanno colpito i luoghi dai quali provengono. Per noi il concetto di ruralità è spesso collegato a povertà, ma comunque a una qualità estetica e a una natura piacevole: in questo caso ci troviamo di fronte a orrori ambientali e interventi umani deteriori che per queste popolazioni sono la normalità e l'orizzonte nel quale si muovono. Mi sono chiesta più volte, durante la visione del film, come si può diventare crescendo in un ambiente non solo povero e arretrato e igienicamente molto discutibile, ma anche privi di qualunque esposizione alla bellezza e alla cura. Per me - e questa non è la prima volta che lo penso leggendo o vedendo prodotti culturali cinesi - la Cina rappresenta quanto di più misterioso e lontano culturalmente da me ci possa essere, e certamente questo mi rende difficile se non impossibile comprendere appieno e produce sicuramente pregiudizi.

Devo infatti anche riconoscere che questo film ha il merito di avermi fatto riflettere sul fatto che, nonostante questo contesto che a me ha lasciato un senso di angoscia e degrado, i giovani protagonisti di queste piccole storie e di queste difficili vite sono pieni di vitalità, di energia, anche di ironia, e per molti versi - pur vivendo situazioni non paragonabili ai loro coetanei in altre parti del mondo - non sono molto diversi da quello che ci si aspetterebbe da ragazzi di queste età.

Infine, una notazione tecnica: non andate a vedere questo film se soffrite la telecamera a mano, perché qui il cameraman letteralmente segue e insegue i suoi protagonisti, a piedi e nei mezzi di trasporti, e il mal di mare e la nausea del movimento della macchina sono decisamente importanti, per quanto funzionali anch'essi allo scopo.

Voto: 3,5/5



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Ainda estou aqui = Sono ancora qui

Il film brasiliano di Walter Salles, tratto dal romanzo omonimo di Marcelo Rubens Paiva, dedicato alla storia della sua famiglia, racconta un periodo difficile della storia brasiliana, gli anni della dittatura militare.

Il regista ha voluto farlo attraverso la storia dei Paiva, famiglia che ha conosciuto direttamente e di cui ha frequentato la casa (da cui era molto ammirato). Il capofamiglia Rubens (Selton Mello) è un ex deputato che ha abbandonato la politica dopo il colpo di stato e svolge la professione di ingegnere. Vive in una casa a Rio de Janeiro insieme alla moglie Eunice (la bravissima Fernanda Torres) e ai suoi cinque figli, quattro femmine Veroca, Eliana, Nalu, Babiu, e un maschio, il più piccolo, Marcelo. Rubens e sua moglie hanno acquistato un terreno dove progettano di realizzare una nuova casa, quando la loro vita viene sconvolta dall'arresto di Rubens e dalla sua successiva sparizione; anche Eunice ed Eliana saranno interrogate, ma poi rilasciate. Da questo momento in poi per Eunice ci saranno due obiettivi su tutti: scoprire la verità sulla sorte di Rubens e portarla a conoscenza di tutto il paese, e occuparsi della sua famiglia consentendo ai suoi figli di sopravvivere e portare avanti i loro percorsi.

È una storia nel suo complesso non nuova, ma ha il pregio di gettare luce sul periodo della dittatura brasiliana e sulle uccisioni e sparizioni che l'hanno caratterizzata (forse meno noti delle vicende simili avvenute in altri paesi dell'America Latina), nonché di raccontare una storia familiare vera con al centro un personaggio eccezionale come Eunice, di cui nel film avremo modo - seppure in maniera sintetica - anche di conoscere la storia successiva alla fine della dittatura (la laurea in legge, le battaglie politiche, la malattia). Quello di Salles è un film decisamente riuscito, emotivamente potente grazie soprattutto alla modalità in cui è narrata la dimensione familiare e i rapporti tra i componenti di questa famiglia, nonché esteticamente davvero godibile: la ricostruzione degli anni Settanta realizzata con grande cura, i filmini in Super 8 girati dalla figlia Veroca, l'effetto visivo della grana e le scelte di gradienti di colori diversi a seconda del mood e del momento narrativo. A me è arrivato dritto e potente, e un film del genere questo deve fare.

Voto: 3,5/5



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Kjӕrlighet = Love

L'ultimo film che riesco a vedere della rassegna Da Venezia a Roma è Love (Kjӕrlighet) del regista norvegese Dag Johan Haugerud che con questo film chiude la sua personale trilogia, i cui capitoli precedenti erano Sesso e Sogno.

Siamo a Oslo, città che - insieme ai personaggi in carne e ossa - è certamente protagonista di questo film, in quanto non fa solo da sfondo indifferente, ma in qualche modo partecipa con la sua identità alla narrazione, al punto che ne esce quasi un vero e proprio spot per la città. Tra l'altro, uno dei personaggi, Heidi, è una dipendente del Comune di Oslo che deve presentare un progetto per il centenario della città e attraverso di lei vengono fuori alcuni caratteristiche tipiche delle politiche urbane.

I due personaggi principali sono però Marianne (Andrea Bræin Hovig), una dottoressa che lavora nel reparto di urologia oncologica dell'ospedale, e Tor (Tayo Cittadella Jacobsen) che è infermiere dello stesso reparto. La prima è single e, se da un lato cerca una relazione stabile, dall'altro non vuole essere ingabbiata in modelli relazionali troppo rigidi, cosicché dopo aver conosciuto Ole, separato con figlie, con il quale avvia una relazione, si concede l'avventura di una notte con uno sconosciuto incontrato sul traghetto. Tor è omosessuale e ha una vita affettiva e sessuale molto libera: incontra uomini con Grindr, ma senza esserne ossessionato.

Mentre dunque Marianne e Tor proseguono le loro vite professionali che si incrociano con le storie di pazienti a cui spesso viene data una diagnosi di cancro, i due parlano tra loro e con le persone che stabilmente ovvero occasionalmente popolano il loro mondo, riflettendo su sé stessi, sui propri desideri, su quello che è giusto e che non lo è, sui modelli relazionali e affettivi.

Non che il film di Haugerud voglia dare delle risposte su un tema su cui l'umanità si interroga da sempre, però non c'è dubbio che il suo film manifesti un'urgenza di discutere di questo tema, l'amore, e soprattutto come va evolvendosi all'interno di contesti sociali sempre più liberi e fluidi.

Ne viene fuori un film un po' schematico e piuttosto verboso, non sgradevole, ma che dal mio punto di vista non aggiunge moltissimo a quanto su questo tema è già stato detto più o meno recentemente da altri film e libri.

Apprezzo la delicatezza dell'impianto complessivo, ma temo che il film non sia destinato a rimanere nella storia del cinema.

Voto: 2,5/5



mercoledì 2 ottobre 2024

Da Venezia a Roma. Parte 1: Nonostante, Mon inséparable, Peacock, Leur enfants après eux

E anche quest'anno noi che viviamo a Roma e che alla Mostra del cinema di Venezia non ci andiamo attendiamo con ansia la settimana delle anteprime di Venezia a Roma. Ho letto che si è trattato di un Festival di Venezia un po' mainstream e non all'altezza di altri anni, però personalmente non posso perdere l'occasione di vedere film che chissà se e quando arriveranno in sala.

In circa una settimana di full immersion riesco a vedere ben sette film. Qui i primi quattro. 

(La seconda parte delle recensioni è qui)

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Nonostante 

Devo essere sincera: del primo film di Mastandrea da regista, Ride, che pure avevo visto, non ricordavo praticamente nulla. Dopo la visione di quest'ultimo film, sono andata a rileggermi il post che avevo scritto a suo tempo, e ci ho ritrovato alcune delle sensazioni provate anche durante la visione di Nonostante.

Innanzitutto va detto che Mastandrea deve avere una specie di ossessione per la morte, visto che entrambi i film ruotano intorno a questo evento, e quest'ultimo è dedicato al padre Alberto, morto nel 2014.

Come ci spiegano Mastandrea e il cosceneggiatore Audenino, questo è un film immaginifico, non realistico, e per trattare di un tema così concreto come la morte sceglie di mettere al centro della narrazione coloro che sono tra la vita e la morte, ossia in uno stato di coma, facendoli interagire tra loro e con il mondo circostante.

Sarebbe un peccato dire di più della trama di questo film che in parte punta sulla scoperta progressiva dell'universo narrativo da parte dello spettatore. E va detto che sicuramente l'idea di fondo è davvero molto buona ed è un modo estremamente originale di riflettere sulla vita stessa, che in fondo è una parentesi tra due oblii, quello precedente alla nascita e quello successivo alla morte, oblii attenuati solo dal tenue e caduco ricordo di chi ci ha conosciuti e amati.

Non vi immaginate però un film tetro e angosciante, perché Mastandrea - con la complicità di gente come Lino Musella e Laura Morante - sa introdurre ironia e leggerezza in questa storia, sia grazie alla sceneggiatura che grazie alla recitazione.

Date per acquisite le cose che mi sono piaciute, devo però dire che il film non mi è sembrato pienamente riuscito da molteplici punti di vista: alcuni passaggi narrativi, come ad esempio la storia d'amore, mi sono sembrati un po' forzati; in generale la meccanica del film non risulta totalmente fluida e oliata, e alcune cose appaiono un po' didascaliche. Anche la colonna sonora - pur gradevole - mi è risultata un po' appiccicata da un lato, e un po' troppo parlante e convenzionale dall'altro. La protagonista femminile, Dolores Fonzi, non mi è sembrata particolarmente convincente, soprattutto nell'interazione con Mastandrea. Alla fine, fatte salve le ottime intenzioni, l'idea molto originale e alcune trovate molto carine, personalmente ho trovato questa prova registica ancora un po' acerba.

Voto: 3/5

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Mon inséparable

Avevo già avuto modo di ammirare il talento di Laure Calamy in un altro film francese, Full time - Al cento per cento, che avevo apprezzato particolarmente e che ora, dopo la visione del film di Anne-Sophie Bailly, mi è sembrato quasi un ideale prequel di quest'ultimo.

In Mon inséparable Laure Calamy ancora una volta interpreta una madre single, Mona, ma questa volta al centro c'è il rapporto con un figlio grande, circa 30 anni, con un ritardo cognitivo, Joel (Charles Peccia), cui la donna ha evidentemente dedicato tutta la propria esistenza, barcamenandosi tra il lavoro, la gestione della casa e le necessità del figlio. I due sono inevitabilmente legati a doppio filo, in maniera tenera e forte al contempo.

Questo legame viene sconvolto dalla notizia - del tutto inaspettata per Mona - che Joel ha messo incinta Océane (Julie Froger), una giovane donna con disabilità che frequenta lo stesso centro dove lavora Joel.

A partire da questa notizia si innesca una serie di reazioni che riguardano molte persone (tra cui ad esempio i genitori di Océane), ma soprattutto è il rapporto tra Mona e Joel a essere in qualche modo messo in discussione, come sempre accade nei rapporti di co-dipendenza, quando una delle due persone produce uno strappo. In questo caso, di mezzo c'è anche la disabilità di Joel, la difficoltà ad accettare le sue scelte, in generale la tendenza a infantilizzare e a non considerare capaci di decisioni autonome e responsabilità le persone con disabilità, e ovviamente il senso di tradimento e di abbandono di Mona, che in parte ha rinunciato a costruirsi una propria vita per occuparsi del figlio.

E tutto questo viene reso in maniera estremamente realistica (grazie a una regia attenta, a un'ottima direzione di attori e a una sceneggiatura molto ben scritta) e proprio per questo arriva in maniera forte allo spettatore dal punto di vista emotivo. Oltre a Laure Calamy, ho apprezzato particolarmente gli attori che interpretano Joel e Océane, che sono effettivamente persone con disabilità (come raramente si vede al cinema anche nei ruoli di personaggi con queste caratteristiche) per le quali il film si è avvalso di una figura di accessibility coordination manager, Margault Algudo-Brzostek, che si è occupata di creare le condizioni di lavoro giuste per questi attori (bella l'intervista in cui spiega alcuni aspetti del lavoro per questo film).

Un film su una tematica che si sarebbe prestata a tanta retorica e ad altrettanto melodramma riesce invece ad essere asciutto, teso, diretto e anche a suo modo ironico. Per me è un sì.

Voto: 3,5/5



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Peacock

L'opera prima del giovane regista austriaco Bernhard Wenger ha come protagonista Matthias (il bravo Albrecht Schuch), un giovane che lavora in un'agenzia che noleggia esseri umani che dovranno interpretare un ruolo secondo le esigenze e le finalità del cliente: un fidanzato colto e raffinato, un figlio devoto e di successo, un padre pilota di aereo, un amico di vecchia data. 

All'interno dello staff di questa agenzia, Matthias è il più bravo e il più richiesto, quello che ottiene sempre le recensioni più positive dai clienti, quello in grado di controllare ogni dettaglio della sua "performance", però - man mano che il suo lavoro procede e la sua capacità mimetica migliora - il confine tra  il sé stesso vero e quello che di volta in volta finge di essere si fa sempre più labile, e la capacità di avere propri punti di vista, opinioni, pensieri va svanendo.

Quando la sua fidanzata lo lascia, abbandonando la bellissima, ma asettica casa nella quale vivono insieme (anch'essa senz'anima e fatta per piacere solo agli altri), e successivamente il marito di una cliente comincia a perseguitarlo perché la moglie lo ha lasciato dopo aver fruito dei servizi dell'agenzia, nella vita controllatissima di Matthias cominciano a manifestarsi delle crepe che si allargano sempre di più, producendo una crisi che l'uomo non sa nemmeno come gestire, se non utilizzando gli stessi strumenti che usa per lavoro.

Lo sguardo di Wenger però non è solo concentrato sul suo personaggio, ma si allarga a una società intera che vive sempre più di apparenze e di performance, che finge le emozioni ed è incapace di provarne di vere, che fa fatica a gestire l'imprevisto e la variabilità.

Il tono del film - che sicuramente ha come punto di riferimento il cinema di Östlund, e che in alcuni passaggi lo omaggia persino - oscilla tra l'angosciante e il grottesco: si ride molto di fronte alle avventure e disavventure di Matthias, ma si prova anche un'angoscia crescente o quantomeno un senso di turbamento profondo che - a differenza che verso alcuni personaggi di Östlund - muove anche una empatia e una pietas non scontate.

Una bella prima prova che a questo punto fa venire curiosità sul prosieguo del lavoro di questo cineasta.

Voto: 3,5/5

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Leur enfants après eux = E i figli dopo di loro

Tratto dal romanzo di Nicholas Mathieu, tradotto in Italia con il titolo E i figli dopo di loro (che a questo punto mi è venuta curiosità di leggere), il film dei fratelli Ludovic e Zoran Boukherma, per me assolutamente sconosciuti anche se pare siano al quarto lungometraggio, ma al primo non di genere, è ambientato negli anni Novanta in una piccola cittadina immaginaria della Lorena, dove una grande fabbrica che ha dato lavoro a molte persone è ormai in dismissione e la maggior parte delle famiglie che hanno vissuto grazie al lavoro nella fabbrica si trovano a barcamenarsi con lavori temporanei e a fare i conti con difficoltà economiche.

In questo contesto si muove Anthony (Paul Kircher, vincitore a Venezia del Premio Mastroianni per l'attore emergente, e che io avevo già apprezzato ne Le Lycéen), che nell'estate del 1992 ha quattordici anni e, insieme al cugino coetaneo, gira in bici per il paese e i suoi dintorni in cerca di diversivi e per sfuggire alla noia. In questa estate molte cose segneranno il futuro di Anthony: la conoscenza di Steph, che diventerà la sua ossessione amorosa per molti anni a venire, la festa per andare alla quale il ragazzo prende di nascosto la moto del padre, il furto della moto da parte di Hacine, un giovane immigrato marocchino che vive con suo padre alla periferia del paese insieme ad altri immigrati, e tutte le conseguenze che questo comporterà. Seguiremo poi l'andamento della vita di Anthony in quattro estati successive, nel 1994, nel 1996 e nel 1998, accompagnati dalla musica di quegli anni che ha un posto centrale (diegetica ed extradiegetica) in questo film. Anthony crescerà, così come Steph, Hacine, e gli altri giovani che vivono nel paese, dentro un mondo dalle prospettive incerte, mentre intanto i loro genitori invecchiano annaspando in vite spesso costellate di sconfitte e fallimenti.

Alla fine non ci saranno vincitori, ma solo perdenti in varie gradazioni, perché la vera protagonista del film dei Boukherma è la microprovincia postindustriale in cui tutto si compone (anche le tragedie), ma anche tutto soffoca nella frustrazione e nell'assenza di prospettive.

Il film è interessante e, nonostante la durata non breve, si segue con passione. Mi pare però si faccia troppo "manierista" nell'inseguimento di alcuni stilemi e strutture narrative, e alla fine ciò che veramente illumina lo schermo è la straordinaria faccia da schiaffi di Paul Kircher, un cattivo ragazzo di provincia che però non può non ispirare tenerezza ed empatia.

Voto: 3/5